Il padrone della Cina
Xi Jinping controlla tutto e – dopo l'annuncio di domenica sui mandati illimitati – potrebbe restare presidente ancora per moltissimi anni
Domenica scorsa il Partito comunista cinese ha annunciato l’intenzione di abolire il limite costituzionale di due mandati previsto per la carica di presidente. La notizia è stata ripresa da tutti i giornali del mondo perché in pratica significa che Xi Jinping, presidente cinese dal 2013, potrà teoricamente governare a vita o comunque molto oltre i termini previsti fin qui. Nella Cina di oggi la parola governare vuole dire controllare moltissimi settori senza opposizione, se non eventualmente quella interna al Partito comunista: la politica, l’economia, l’esercito, il partito e anche i piani sul futuro del paese. Xi Jinping sembra avere un potere quasi illimitato su tutte queste cose, come non si vedeva dai tempi di due importanti e potenti presidenti cinesi del passato: Mao Zedong e Deng Xiaoping.
Nonostante fosse inatteso, l’annuncio dell’eliminazione del limite dei due mandati presidenziali non è stato improvviso: il progressivo aumento dei poteri di Xi in Cina è iniziato praticamente dai primi giorni della sua presidenza. Negli ultimi anni Xi è riuscito a presentarsi come una specie di “padre” buono, rassicurante, ma allo stesso tempo come un politico capace e sicuro di sé, in grado di far diventare la Cina una grande potenza – la più grande? – del mondo. Nella propaganda governativa Xi è spesso stato mostrato come un politico capace di tenere fuori la Cina dal caos del resto del mondo, una specie di “zio Xi”, come viene chiamato dagli abitanti di molte aree rurali del paese.
Xi non è un politico qualunque, come dimostra la sua storia. Figlio di Xi Zhongxun, leader rivoluzionario e vice primo ministro sotto la presidenza di Mao Zedong, Xi fu sottoposto a diversi abusi durante la Rivoluzione culturale, negli anni Sessanta e Settanta, dopo che suo padre era stato estromesso dal potere nell’ambito delle purghe promosse da Mao. Fu mandato a lavorare nelle campagne e quando la Rivoluzione culturale finì chiese al partito che gli fosse assegnato un incarico in un’area rurale povera, prima di spostarsi nelle due province costiere di Fujian e Zhejiang, dove stabilì importanti legami con il mondo degli affari. Nel 2013 divenne presidente e iniziò un’intensa campagna contro la corruzione all’interno del partito, arrestando e processando in maniera arbitraria anche diversi avversari politici. Lo scorso autunno il Partito comunista rivelò i nomi dei nuovi membri del Comitato permanente dell’ufficio politico, il gruppo di lavoro più importante e con maggiori poteri all’interno del Politburo: nessuno di loro sembrava un papabile successore al ruolo di presidente.
Xi ha superato quel modello di leadership collettiva adottato dal Partito comunista cinese dopo gli anni degli eccessi di Mao e Deng. Ma non solo: il “pensiero di Xi Jinping”, cioè le sue idee politiche e il suo progetto per il futuro del paese, si trova ovunque in Cina – nelle scuole, nei giornali, in televisione, nei cartelloni per strada – e si è deciso di inserirlo nel preambolo della Costituzione. Sintetizzando molto, l’obiettivo di Xi è consolidare il potere su tre livelli: quello della nazione, che include tra le altre cose l’ambizioso progetto della “Nuova Via della Seta”, che prevede di fatto di riscrivere l’ordine geopolitico mondiale; quello del partito, secondo il quale l’obiettivo di una Cina potente e unita può essere raggiunto solo se il Partito comunista rimane saldamente alla guida del paese; e il suo, che prevede che non sia possibile proseguire sulla via della crescita globale senza un leader forte e deciso, Xi per l’appunto.
La decisione di rimuovere il limite di due mandati presidenziali ha provocato parecchie reazioni negative sia in Cina che all’estero. In Internet si sono diffusi rapidamente dei meme che mostrano un ritratto gigante di Xi Jinping al posto di quello di Mao in piazza Tienanmen, la principale e più grande piazza di Pechino. Un altro meme riprende una pubblicità dei preservativi Durex e aggiunge la scritta: «Due volte non sono abbastanza», riferendosi al probabilissimo terzo mandato da presidente che Xi otterrà.
Diversi esperti e analisti hanno parlato del rischio di un’ulteriore riduzione delle libertà fondamentali in Cina, misura che Xi ha già mostrato di vedere come una risorsa utile al suo governo. L’Economist ha scritto che la decisione sul limite dei mandati presidenziali «rivela che, in un momento in cui il Partito comunista presenta la Cina al mondo come uno stato moderno, responsabile e affidabile, capace di difendere la globalizzazione, il sistema politico interno di cui il partito è monopolista è premoderno, pericoloso, irresponsabile e brutale». Il New York Times ha scritto che la recente decisione del Partito comunista è «l’ultimo e più significativo segno della decisa virata del mondo verso una governance autoritaria, basata spesso su una forte personalizzazione dell’esercizio del potere».