La strage di Parkland non sta sparendo come le altre
Negli Stati Uniti se ne parla ancora e qualche politico sta provando a cambiare le leggi sulle armi, ma è quasi impossibile riuscirci
Dopo la strage alla scuola superiore a Parkland, in Florida, durante la quale sono state uccise 17 persone, molti hanno sperato che qualcosa potesse muoversi nel dibattito sulla vendita e il possesso delle armi da fuoco negli Stati Uniti. È una sensazione piuttosto comune nei giorni immediatamente successivi a una strage di queste dimensioni – e negli Stati Uniti ne sono avvenute decine solo negli ultimi anni – ma di solito svanisce poco dopo senza lasciare conseguenze concrete. Stavolta le speranze sono ancora poche, ma le cose sembrano un po’ diverse.
I giornali stanno continuando a parlarne, e anche i dati confermano che gli americani sono più interessati del solito al dibattito sulle armi. Secondo un recentissimo sondaggio di CNN una larga maggioranza degli americani chiede controlli più stringenti sulle armi, con percentuali che non si vedevano dagli anni Novanta. Significa che qualcosa sta per cambiare? Andiamoci piano.
Da almeno trent’anni l’approvazione di leggi più severe sulla vendita e il possesso delle armi – che negli Stati Uniti è protetto dal Secondo emendamento alla Costituzione e da una solidissima tradizione culturale – viene ostacolata dall’influenza della National Rifle Association (NRA), la principale lobby per le armi. Più o meno trent’anni fa la NRA capì che per sopravvivere in un mondo in cui le armi erano sempre meno diffuse doveva politicizzare la questione: da allora finanzia centinaia di politici locali e nazionali, soprattutto Repubblicani, e conduce spesso campagne di comunicazione sul controllo delle armi con toni anche molto aggressivi.
La strategia della NRA ha funzionato, e oggi esiste un blocco di elettori – minoritario ma molto rumoroso e organizzato – contrario a qualsiasi controllo, anche minimo e di buon senso, perché teme possa portare a restrizioni più grandi. Sono contrari per esempio a vietare il possesso di armi a chi è considerato abbastanza pericoloso da non poter salire su un aereo, o a chi ha disturbi mentali. Molti di loro sono politicamente attivi: statisticamente si rivolgono ai loro rappresentanti al Congresso il doppio rispetto agli americani che vorrebbero più controlli sulle armi, e sono circa cinque volte più disposti a finanziare i candidati che appoggiano le loro posizioni. La loro opinione conta tanto al Congresso perché ci tengono più degli altri, in sostanza; chi è favorevole a introdurre maggiori controlli si dà da fare molto meno per far valere le proprie idee.
Il dibattito su Parkland – e più in generale sulle leggi che regolano la vendita e la proprietà delle armi – ha superato il periodo in cui di solito la notizia scompariva dai giornali: forse perché le testimonianze degli studenti coinvolti sono state più efficaci e toccanti del solito, o perché la storia ha avuto diversi sviluppi politici come la proposta di Trump di armare gli insegnanti e vietare i cosiddetti “bump stocks”, o la figuraccia del senatore Repubblicano Marco Rubio durante un dibattito pubblico tenuto a Parkland poco dopo la strage. È vero che se ne sta parlando più del solito, insomma: ma questo non significa che il Congresso si occuperà della vicenda, o che i parlamentari che chiedono leggi più stringenti abbiano un piano di qualche tipo: «i politici non hanno un’opinione diffusa nemmeno sulla necessità di introdurre controlli più severi, figuriamoci leggi più incisive», scrive il New York Times.
Sia i Repubblicani sia i Democratici sono in una posizione piuttosto scomoda per fare materialmente qualcosa. I primi temono che sostenendo leggi più severe sulle armi possano essere insidiati da candidati di estrema destra alle prossime primarie per la Camera e il Senato: anche la promessa di vietare la vendita dei “bump stocks”, sottoscritta persino dalla NRA dopo la strage di Las Vegas, è finita in niente. I Democratici pensano che il rapporto costi/benefici di infilarsi in una battaglia del genere non sia così favorevole: per ottenere un risultato piccolo come l’aumento dell’età minima per comprare i fucili d’assalto, per esempio, dovrebbero comunque mobilitare l’intero partito e mettere in conto l’opposizione di un nemico potente, l’NRA. A questo si aggiunge il fatto che ai parlamentari restano pochi mesi prima di dedicarsi totalmente alla campagna per la loro rielezione, dato che le elezioni di metà mandato si terranno il 6 novembre.
Nelle prossime settimane potrebbe però aprirsi una finestra di condizioni favorevoli, data l’eccezionalità della reazione dell’opinione pubblica e le minime aperture fatte da Trump negli ultimi giorni. Venerdì scorso quindici deputati Repubblicani hanno scritto al presidente della Camera, Paul Ryan, per chiedergli di calendarizzare un voto su una proposta di legge per integrare meglio le notizie sulla salute mentale e sulla fedina penale di ogni americano nel registro che i venditori di armi utilizzano per controllare se una persona può comprarle o meno. La proposta è appoggiata dalla stessa NRA e farebbe poco o nulla per estendere i controlli alla vendita via internet o nelle fiere dei commercianti di armi, che tuttora in molti stati godono di un vuoto normativo. Jeff Flake, un senatore Repubblicano moderato noto per essere molto ostile a Trump, sta preparando un disegno di legge bipartisan per aumentare l’età minima per acquistare un fucile d’assalto: ma aveva già detto mesi fa che non si sarebbe ricandidato, e il suo capitale politico è praticamente nullo.
Diversi governatori, anche Repubblicani, stanno facendo dichiarazioni più aperte del solito a leggi più severe, ma non è chiaro quanti di loro daranno seguito alle proprie parole. Insomma, è ancora troppo presto per capire se davvero succederà qualcosa: «Credo ci sia la tentazione di fare una serie di cose che non risolveranno davvero i problemi, ma che faranno stare meglio le persone che le compiono», ha avvertito il governatore Repubblicano dell’Arkansas, Asa Hutchinson, molto legato all’NRA.