La vita orribile dei netturbini di Kabul
Ogni volta che c'è un attentato suicida, e ce ne sono molti, devono raccogliere pezzi di cadaveri dalle strade e stanno male per giorni
Soltanto nel 2017, in Afghanistan, 3.438 civili sono morti e oltre settemila sono stati feriti nella guerra ancora in corso tra talebani ed esercito afghano e forze della NATO. Molti di questi sono stati vittime di attentati suicidi, e molti di questi sono avvenuti nella capitale Kabul: uno dei più gravi degli ultimi anni è avvenuto soltanto poche settimane fa, a fine gennaio, quando almeno 105 persone sono morte e altre 235 sono state ferite nell’esplosione di un’autobomba. Lo scorso maggio, un altro attentato nella zona delle ambasciate aveva ucciso oltre 150 persone. Oltre alle più intuibili e immediate conseguenze di attentati del genere, il Washington Post ne ha raccontata una probabilmente poco considerata: periodicamente, a Kabul, i netturbini devono fare i conti con le scene di esplosioni cruente e caotiche, che devono essere il più possibile riportate alla normalità. Anche quando vuol dire raccogliere e smaltire pezzi di cadaveri.
Yar Mohammad Mohammadi, un addetto alla pulizia delle strade della città, ha raccontato che quando ha iniziato a lavorare come netturbino sapeva che avrebbe avuto a che fare con tutti i compiti sgradevoli che comporta pulire le strade di una città molto popolosa e inquinata, con infrastrutture arretrate e poco senso civico per quanto riguarda la spazzatura.
Ma dopo l’attentato di fine gennaio, lui e 250 altri suoi colleghi, hanno dovuto raccogliere mani e piedi di persone, e non è riuscito a mangiare per dieci giorni. Hanno iniziato il loro lavoro più o meno cinque ore dopo l’esplosione, quando i feriti erano già stati soccorsi e trasportati in ospedale dai servizi di emergenza. «Fate attenzione, non feritevi. Potrebbero esserci dei cadaveri», ha detto loro il capo del dipartimento della pulizia delle strade Ahmad Behzad Ghayasi. Hanno quindi iniziato a rimuovere calcinacci, vetri e pezzi di auto con le pale, caricandoli sui camion, ma in mezzo c’erano brandelli di carne e frammenti di ossa delle persone coinvolte nell’attentato. I pezzi di cadavere vengono raccolti in sacchi di plastica, e poi sepolti nel cimitero più vicino, per rispetto delle vittime.
Ghayasi ha spiegato che se l’esplosione è piccola, manda delle piccole squadre a ripulire il luogo dell’esplosione. Se invece è un attentato grosso, interviene lui stesso per coordinare le operazioni. Nell’ultimo anno gli è capitato tre volte, e ha detto che «ti rompe in mille pezzi l’anima». Dopo l’attentato dello scorso maggio, ci vollero cinque giorni per ripulire il quartiere delle ambasciate: il presidente afghano Ashraf Ghani diede a chi aveva lavorato un bonus equivalente a un mese di stipendio.
Non esiste un servizio di supporto psicologico per chi ha a che fare con questi attentati: «quando torno a casa dopo aver pulito il luogo di un attentato, mi comporto in modo strano. I miei figli mi chiedono: “Cosa ti succede?”. Ha un effetto negativo sulla nostra salute mentale», ha raccontato Hussain Bakhsh, che ha 60 anni e si è occupato degli ultimi due principali attentati a Kabul.
In città ci sono 3.625 addetti alle pulizie e altre 2.000 persone che lavorano a chiamata, ma sono comunque poche secondo i funzionari con cui ha parlato il Washington Post. Con l’aumento degli attentati dell’ultimo periodo è stata creata una squadra speciale di 250 persone che normalmente fa gli stessi lavori degli altri, ma che interviene immediatamente in caso di attentati. Perlopiù, chi lavora come netturbino a Kabul è poco istruito e non specializzato, guadagna l’equivalente di novanta euro al mese e nella maggior parte dei casi non ha altra scelta.