La nube radioattiva dello scorso anno potrebbe essere stata prodotta in Russia
Durante la preparazione del materiale radioattivo da usare in un esperimento nei laboratori del Gran Sasso, dice uno studio francese
Nell’autunno del 2017 per due settimane una nube radioattiva ha coperto parte dell’Europa centrale e occidentale, come rilevato da numerose agenzie per l’ambiente tra Ucraina e Francia, Norvegia e Grecia. La nube conteneva Rutenio-106, un isotopo radioattivo solitamente derivato dal combustibile nucleare esaurito. Era molto rarefatta per essere pericolosa per la salute, ma il semplice fatto che sia esistita continua a essere un mistero per esperti e agenzie nucleari, che da mesi stanno cercando di ricostruire le sue origini. Una nuova ipotesi sostiene che la nube si sia prodotta in Russia, durante la preparazione del materiale radioattivo da inviare in Italia per un discusso esperimento nei laboratori del Gran Sasso, ora cancellato.
I ricercatori dell’Istituto di radioprotezione e sicurezza nucleare (IRSN), in Francia, hanno diffuso un comunicato nel quale spiegano che il rilascio di isotopi potrebbe essere avvenuto nell’impianto russo per il trattamento di rifiuti nucleari di Mayak, a poca distanza dalla città di Ozyorsk, nella Siberia occidentale. Altri esperti avevano fatto ipotesi simili alla fine dello scorso anno, ma le autorità russe avevano negato la circostanza e ancora oggi sostengono che non ci siano legami dimostrabili tra la nube radioattiva e le attività svolte a Mayak. L’Istituto di sicurezza nucleare dell’Accademia delle Science russa (IBRAE) si è riunito a Mosca alla fine di gennaio e, dopo un lungo dibattito, i suoi membri non sono arrivati a una posizione comune sulle origini della nube.
Basandosi su una simulazione al computer, a inizio ottobre 2017 i ricercatori dell’IRSN avevano concluso che la nube contenente Rutenio-106 si fosse originata negli Urali meridionali, circostanza confermata anche dai loro colleghi tedeschi. La simulazione aveva inoltre consentito di escludere un incidente nucleare di maggiore portata in una centrale russa, perché in quel caso la quantità di radioisotopi rilevata nell’aria sarebbe stata molto più alta.
Nella regione russa indicata dall’IRSN c’è l’impianto di Mayak, sito nucleare sulle cui attività il governo russo mantiene uno stretto riserbo e famoso per uno dei più gravi incidenti nucleari della storia, avvenuto nel 1957 quando un suo serbatoio esplose portando alla contaminazione di un’ampia area geografica e all’evacuazione dei centri abitati più vicini.
L’IRSN ipotizza che la perdita sia avvenuta nelle fasi di preparazione di un dispositivo altamente radioattivo, in lavorazione per conto dei laboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare italiano (INFN) per SOX, un nuovo esperimento sui neutrini: le particelle subatomiche elementari con una massa piccolissima e carica elettrica nulla, che viaggiano a velocità prossime a quella della luce e che sono invisibili alla vista (una particella subatomica è molto più piccola di un atomo). Studiandone le caratteristiche, i ricercatori possono capire come funziona l’Universo e avere nuovi elementi per comprendere da dove arriva la materia.
SOX era stato al centro di numerose polemiche a fine 2017 in seguito a un servizio di Nadia Toffa per Le Iene nel quale si sosteneva che al Gran Sasso si stesse predisponendo “un pericoloso esperimento nucleare tenuto nascosto”. In realtà il test era stato ampiamente discusso e raccontato, non solo nella comunità scientifica, e prevedeva una procedura molto severa e accurata per il trasporto della sorgente radioattiva dalla Russia. La produzione della capsula, contenente Cerio-144, era stata affidata a Mayak che aveva assicurato di avere conoscenze e risorse per realizzarla nei tempi richiesti dal Gran Sasso.
L’IRSN ha calcolato che la concentrazione di Rutenio-106 rilevata può essersi prodotta solo in seguito alla lavorazione di diverse tonnellate di scorie radioattive, in un impianto che ne ha molte a disposizione negli Urali meridionali come Mayak. Altri elementi radioattivi rilevati nella nube indicano che le scorie utilizzate fossero “fresche”, derivate quindi da una rimozione prematura del combustibile nucleare esaurito dai reattori di alcune centrali. Questa circostanza suggerisce che a Mayak fossero al lavoro per realizzare un componente con livelli di radioattività superiori al normale, come quelli richiesti dalla capsula per il Gran Sasso. I laboratori dell’INFN avevano infatti bisogno di una fonte piuttosto potente e al tempo stesso concentrata.
Nel 2016 Mayak aveva firmato un contratto con l’INFN per produrre la capsula contenente Cerio-144, con consegna prevista per i primi mesi del 2018. Alla fine dello scorso anno, Mayak ha però comunicato ai laboratori del Gran Sasso di non essere riuscita a produrre una capsula con i livelli di radioattività richiesti. Dopo ulteriori verifiche, a inizio febbraio l’INFN ha confermato la circostanza annunciando di avere annullato l’esperimento SOX per l’impossibilità di avere un componente radioattivo con le specifiche richieste prodotto nello stabilimento russo. Con una minore radioattività, gli strumenti di SOX non sarebbero stati sensibili a sufficienza per rilevare i cambiamenti ed eseguire i test sui neutrini.
I tecnici di Mayak hanno fornito all’INFN diversi dettagli sui tentativi falliti per produrre la capsula con le specifiche ricevute, ma non hanno citato incidenti o errori gravi. L’ipotesi è che temperature più alte del previsto nella fase di separazione del Cerio-144 abbiano portato parte del Rutenio a trasformarsi e alla sua successiva diffusione verso l’Europa occidentale.
Loenid Bolshov, il direttore dell’IBRAE, ha definito l’ipotesi francese “buona”, ma ritiene che non sia corretta. Sostiene che i lavori a Mayak siano stati interrotti prima di raggiungere la fase cruciale (quando aumenta la temperatura) e che comunque le attività più importanti per la capsula destinata al Gran Sasso siano state eseguite alla fine di ottobre 2017, quindi diverse settimane dopo la rilevazione della nube radioattiva. Bolshov dice che la causa potrebbe essere stata un “raro evento meteorologico” che ha trasportato il materiale radioattivo proveniente dagli Urali, da un punto che però non è stato ancora possibile identificare.
Uno dei gruppi di lavoro dell’IBRAE sul tema comprende ricercatori ed esperti internazionali, che trovano invece più solida l’ipotesi francese. La provenienza è dagli Urali meridionali, anche se ammettono che con gli attuali elementi sia difficile dire con certezza se la fonte sia stata lo stabilimento di Mayak. Le attività di controllo da parte russa sull’impianto non hanno segnalato stranezze, ma finora sono comunque mancate relazioni e documentazioni dettagliate su ciò che è stato riscontrato nella zona alla fine del 2017.