Per aiutare la ricerca bisogna rendere gli animali da laboratorio più felici?
Sempre più ricercatori pensano che animali che vivono senza stimoli portino a risultati meno affidabili
Gli animali da laboratorio sono spesso costretti a un’esistenza monotona, confinati in gabbie e piccole scatole di plastica dove ricevono pochi stimoli. Secondo buona parte dei ricercatori, questa condizione è necessaria per ridurre al minimo le variabili nel corso di studi ed esperimenti, ottenendo risultati più affidabili, ma da tempo altri sono convinti del contrario: un ambiente privo di stimoli vizia i risultati, perché gli animali non conducono una vita normale come i loro simili fuori dai laboratori e, in senso più esteso, come noi. Uno studio pubblicato su Lab Animal, rivista scientifica curata da Nature sugli animali da laboratorio, porta ora elementi più concreti ed evidenzia i risultati delle prime ricerche sul rapporto tra le condizioni di vita di topi, ratti, pesci, conigli, cavie e l’affidabilità dei risultati nei test.
Cavie e laboratori
Le prime esperienze con animali di laboratorio in ambito scientifico risalgono alla metà dell’Ottocento. Per molti decenni gli spazi dedicati a loro erano ampi ed equipaggiati con diversi strumenti, come labirinti, giochi e ruote per correre, nel caso dei piccoli roditori. Le cose cambiarono nei primi anni Sessanta del Novecento, quando si pensò che fosse necessario standardizzare il più possibile i modi in cui venivano tenuti gli animali in laboratorio, in modo da ridurre le variabili e avere risultati più affidabili e confrontabili tra loro negli esperimenti. Le gabbie divennero più piccole, spesso meno grandi di una scatola da scarpe, e con nessun particolare stimolo per gli animali: né per svagarli né per facilitare le loro interazioni.
Oggi topi, ratti e altre cavie da laboratorio vivono in piccoli contenitori con poco spazio per muoversi, migliaia di volte in meno rispetto a quello che avrebbero a disposizione in natura. In alcuni casi le gabbie sono così piccole da non permettere di spingersi verso l’alto e tirarsi in piedi su due zampe. Questi animali vedono raramente la luce solare e passano quasi tutta la loro esistenza sotto le luci artificiali, che sfasano i loro ritmi naturali di sonno e veglia. Per metterla come ha scritto David Grimm su Science, la rimozione di variabili e imprevisti ha reso le cavie una sorta di “provette fatte di pelo”.
Più stimoli, più felici?
Tra i primi a mettere in dubbio i metodi di conservazione degli animali nei laboratori ci fu lo psicologo danese Donald Hebb. In un articolo pubblicato nel 1947 scrisse che i ratti che aveva allevato con sua figlia, e che vivevano liberi nella sua casa, si erano dimostrati in media migliori nell’apprendimento rispetto a quelli cresciuti in laboratorio. Negli anni Sessanta, quando si iniziava a discutere degli standard per i laboratori, altre ricerche dimostrarono che i ratti che vivevano in gabbie più ampie, con labirinti e giochi al loro interno, tendevano ad avere un maggiore sviluppo delle aree del cervello legate al movimento e alle esperienze sensoriali.
Nell’ultima ventina di anni sono emersi indizi più consistenti sull’utilità di fornire maggiori stimoli agli animali da laboratorio. Grimm cita il caso di Anthony Hanna, ricercatore dell’Università di Melbourne (Australia) che nel 2000 fornì ai topi usati per i suoi test diverso materiale, come cartoncino per creare le tane, palle colorate per giocare, scalette e corde per arrampicarsi. Gli animali non solo dimostrarono di gradire i maggiori stimoli, ma resero evidente uno sviluppo molto più lento dei sintomi legati alla malattia di Huntington, rispetto ai loro colleghi che invece non erano stati inseriti in un ambiente altrettanto stimolante. Quello studio fu una delle prime dimostrazioni che per valutare la malattia – che porta a una degenerazione dei neuroni – si devono tenere in considerazione diversi fattori ambientali oltre a quelli genetici.
Studi successivi hanno portato ad ampliare le conoscenze su questi temi, come spiegano gli autori della ricerca pubblicata su Lab Animal, il cui lavoro è stato coordinato da Joseph P. Garner dell’Università di Stanford (California, Stati Uniti). Le esperienze sono di vario tipo e, a seconda dei casi, hanno ricevuto critiche e valutazioni più o meno scettiche da altri ricercatori.
Topi e tumori
Nel 2010 Lei Cao dell’Università statale dell’Ohio (Stati Uniti) ha allestito una gabbia di un metro quadrato con innumerevoli labirinti, percorsi, ruote su cui correre, palline colorate e altri oggetti per far divertire le sue cavie. Dopo avere subito l’impianto di cellule tumorali, questi animali hanno sviluppato tumori dell’80 per cento più piccoli rispetto a quelli dei loro simili, tenuti nelle normali condizioni da laboratorio. L’ambiente più stimolante, scrive Lei, avrebbe attivato meglio alcune aree dell’ipotalamo, parte del cervello coinvolta nella regolazione degli ormoni, che influiscono sull’umore e su diverse altre funzioni dell’organismo, compresa la crescita cellulare.
Studi come quelli di Cao sono diventati frequenti negli ultimi anni, e i loro risultati indicano che animali da laboratorio con più stimoli tendono ad avere meno problemi legati all’epilessia, alla sclerosi multipla e a particolari forme di dipendenza. Non è un dettaglio da poco, se si considera che talvolta ratti, pesci e cavie di vario tipo sviluppano malattie ancora prima che siano avviati i test su di loro, condizionando i risultati.
Il miglioramento degli ambienti è finito anche al centro delle linee guida sull’uso degli animali in laboratorio, per lo meno negli Stati Uniti e in Europa. I regolamenti dicono che dovrebbero essere tenuti in condizioni il più naturale possibile, dando per esempio la possibilità alle specie sociali di restare in compagnia dei loro simili, compatibilmente con gli scopi della ricerca. I centri di ricerca hanno comunque un ampio grado di discrezionalità: se dimostrano che il loro studio richiede condizioni più stringenti e che comportano meno interazioni, è raro che sia negata loro la possibilità di proseguire. L’approccio è indirizzato a tutelare la qualità della ricerca, ma solleva qualche perplessità da parte dei sostenitori del cambiamento come Garner.
Pesci e conigli
Sul sito di Science, Grimm cita l’esperienza del Refinement & Enrichment Advances Laboratory (REAL) dell’Università del Michigan, un programma che coinvolge veterinari e altri ricercatori per capire come reagiscono gli animali da laboratorio in determinate condizioni. Un esperimento prevede per esempio di inserire un pesce (Danio rerio) in una vasca divisa a metà: da una parte c’è solo l’acqua, dall’altra alcune biglie colorate poste sul fondo; il pesce può spostarsi liberamente da una zona all’altra passando attraverso un foro praticato nella parete che separa i due ambienti. Sulla base di quanto tempo trascorre da una parte o dall’altra, i ricercatori possono capire se preferisca l’area con le biglie colorate – che ricordano i colori dei fondali naturali in cui vive solitamente – e di conseguenza da quelle parti stia meglio, soffra di meno stress.
Al REAL vengono condotti numerosi esperimenti di questi tipo coinvolgendo varie specie di animali, tipicamente usate in laboratorio. Un test riguarda una batteria di 50 conigli, alcuni sono tenuti uno per gabbia, altri in gruppo, condizione che di solito viene evitata in laboratorio perché a volte questi animali diventano aggressivi l’uno con l’altro. I ricercatori hanno notato che offrendo giochi e svaghi, nelle gabbie con più conigli non si registrano casi di aggressività e gli animali tendono a essere più mansueti e meno stressati. Non è un risultato da poco, visto che i conigli sono spesso utilizzati nelle ricerche sui problemi cardiovascolari, dove stress e modifica dei cicli sonno/veglia possono falsare i risultati.
Gli animali possono subire traumi nell’esperienza in laboratorio, non necessariamente legati alle condizioni in cui vivono. Immaginate per un momento di essere grandi quanto un topolino e di vivere tranquilli nella vostra gabbietta, che però periodicamente si scoperchia e viene invasa da una mano gigante che vi preleva dalle gambe e vi fa finire in un altro posto, mai visto prima. È probabilmente l’esperienza più stressante per questi animali e influisce sulla qualità della loro vita e, indirettamente, sulle informazioni che ci possono dare per elaborare nuovi protocolli di cura, terapie e farmaci. Al REAL hanno iniziato a sperimentare una soluzione semplice per ridurre traumi di questo tipo: nelle gabbie sono inseriti tubi di plastica trasparenti, che diventano familiari ai topi e una possibilità di svago, infilandocisi dentro. Quando devono prelevare un topo, o spostarlo per ripulire la gabbia, i ricercatori attendono che questo s’infili nel tubo, o lo spingono con delicatezza nella sua direzione, in modo da poter rimuovere l’intero tubo e ridurre lo stress per l’animale.
Costi più alti e benefici
Il problema è che molte delle soluzioni proposte dai gruppi di ricerca come quelli del REAL sono costose, sia in termini economici che di tempo. Se il sistema dei tubi per prelevare i topi fosse applicato in tutte le 49mila gabbiette dell’Università del Michigan, servirebbero migliaia di dollari per sterilizzare il materiale in più e la pulizia delle gabbiette richiederebbe molto più tempo. Le pratiche di arricchimento dell’esperienza degli animali da laboratorio – con l’aggiunta di giocattoli, labirinti e compagnia – comportano costi aggiuntivi che i centri di ricerca spesso non si possono permettere, o che preferiscono affrontare per spese più importanti legate agli strumenti per fare le analisi.
È soprattutto per questo motivo che il lavoro di REAL o gli studi come quello su Animal Lab sono osservati con interesse e al tempo stesso scetticismo dagli altri ricercatori. Prima di passare a sistemi molto più costosi per il mantenimento degli animali da laboratorio, vogliono avere qualche certezza in più sugli effettivi benefici per i loro studi.
I più scettici ricordano inoltre che dagli anni Sessanta si è deciso di creare standard non a caso o per risparmiare, ma per offrire una base comune (per quanto con qualche variabile) quando vengono eseguiti studi simili, ma in laboratori diversi in centri di ricerca in giro per il mondo. Soprattutto per gli studi legati a malattie a carico del sistema nervoso o di quello cardiovascolare, le condizioni di cattività possono influire molto sui risultati, rendendoli meno comparabili tra loro. Non è inoltre detto che aumentare stimoli ed esperienze per gli animali da laboratorio funzioni in tutti i casi, e con tutti i tipi di ricerca.
Quando si parla di test ed esperimenti sugli animali le posizioni sono spesso molto polarizzate, più tra gli osservatori che tra i ricercatori. La ricerca su topi, pesci, conigli, primati non umani e altre cavie ha reso possibile progressi enormi nello studio delle malattie e dei migliori sistemi per curarle, o per lo meno per ridurne i sintomi. La pratica si porta naturalmente dietro problemi di ordine etico e morale complessi e articolati, con i quali fanno i conti ogni giorno i ricercatori. La scarsità di risorse e la necessità di ulteriori studi sul tema renderà lento il passaggio al nuovo sistema, che comunque sembra raccogliere un numero crescente di interessati. Solo nel 2016 gli studi scientifici pubblicati sulle condizioni in laboratorio dei roditori sono stati 160, a fronte delle poche decine pubblicate negli anni precedenti.