La guerra delle borsette di lusso
Sono il cuore del fatturato dei marchi del lusso, in particolare di Louis Vuitton, Gucci e Prada: queste sono le loro strategie per vendere più dei rivali
Le borse a mano sono spesso il cuore delle vendite delle aziende di lusso di tutto il mondo, che poggiano il 70-90 per cento del loro fatturato sulla vendita di articoli di pelle.
Secondo una recente ricerca dell’analista Mario Ortelli del centro Stanford C. Bernstein, riportata dalla rivista Business of Fashion (BoF), la pelletteria copre anche fino al 90 per cento delle vendite dei grandi marchi: l’88 per cento a Bottega Veneta, famosa soprattutto per borse e accessori in pelle di lusso, con una linea di abbigliamento donna dal 2005 e uomo dal 2006; l’80 per cento a Louis Vuitton, che nasce come bottega di valigie di lusso ma che da tempo vende anche occhiali, profumi, gioielli e abbigliamento; il 68 per cento di Prada, nata come negozio di cuoio, borse e accessori da viaggio; e il 57 per cento di Gucci.
Le borsette vendono molto perché sono un investimento a lungo termine: possono essere portate ogni giorno abbinate a marchi e stili diversi e durano nel tempo, contrariamente a un paio di scarpe o una maglietta che rischiano di rovinarsi o finire fuori moda. Hanno vantaggi anche per le aziende: rendono un marchio più riconoscibile e sono raramente vendute a prezzo scontato coi saldi. Il loro mercato è quindi «un campo di battaglia», come lo definisce BoF, dove la concorrenza è agguerrita e dove dominano poche aziende con strategie studiatissime. Ortelli racconta come si stanno muovendo Louis Vuitton, Prada e Gucci, dove le vendite delle borse pesano rispettivamente il 75, il 45 e il 40 per cento del totale.
Louis Vuitton: i classici
Louis Vuitton ha inventato alcune celebri it-bag, borse che hanno avuto un tale successo nel tempo che le aziende di moda continuano a venderle e riproporle, con novità e aggiornamenti: tra queste ci sono la Speedy, un bauletto col monogramma introdotto negli anni Trenta, e la Neverfull, che probabilmente è la shopping bag più conosciuta e plagiata al mondo, introdotta nel 2007. Fare affidamento sulla vendita di questi e altri grandi classici è stata la strategia dello stilista Marc Jacobs, direttore creativo di Louis Vuitton dal 1997 al 2014, che ha introdotto pochi nuovi modelli più cari, dai prezzi superiori ai mille euro.
Il suo successore Nicolas Ghesquière, arrivato nel 2014, ha ampliato l’offerta di borse rinnovando i classici con nuovi materiali, colori, stampe e ricami, come la Manhattan e la Capucine, rilanciata nel 2013 e venduta istantaneamente nei negozi a Londra, Milano e Parigi. Ghesquière ha anche introdotto nuovi modelli, spesso più cari, che nel tempo sono diventati nuovi classici. Quello che ha avuto maggior successo è la Petite Malle, presentata nella collezione autunno/inverno 2014 alla Settimana della moda di Parigi, che da allora è diventato uno degli articoli più venduti di Louis Vuitton.
Nel gennaio 2018 Kim Jones, direttore creativo della linea maschile dal 2011, ha introdotto nella sua ultima collezione per l’azienda una versione maschile. Negli ultimi otto mesi, Louis Vuitton ha presentato molti nuovi modelli dal costo compreso tra i 1.500 e i 2.000 euro. Secondo Ortelli nei prossimi mesi questo ritmo – da fine 2016 a inizio 2017 è arrivata a quattro nuovi modelli a stagione – sarà rallentato. La strategia dell’azienda, dice, è comunque ottima: dovrà continuare a ravvivare i grandi classici e cercare di inventarne di nuovi.
Gucci: il successo del momento
Con l’arrivo del direttore creativo Alessandro Michele nel 2015, Gucci è diventato il marchio di moda del momento, e sta cercando di capitalizzare questo successo anche nelle vendite delle borse. Contrariamente a Louis Vuitton, che ha introdotto una linea di abbigliamento e di scarpe da pochi anni e ha una lunga tradizione soprattutto nella pelle, Gucci è ben posizionato da anni anche nel mercato dell’abbigliamento e delle scarpe, e può quindi contare su settori diversi per le sue entrate. Michele ha provato a disegnare nuovi classici, come la Dionysus e la Sylvie, e poi le più recenti Ophidia e Ottilia, in grado di replicare il successo della Bamboo Bag degli anni Cinquanta e della Jackie O degli anni Sessanta.
Il prezzo per ogni modello varia in base a materiale, stampe e applicazioni, e va dai 1.500 ai 3.000 euro, a cui si aggiungono proposte più esclusive e ricercate come la Totem, fino a 3.500 euro. Secondo Ortelli continuare a sfornare nuove borse con un ventaglio di prezzi medio-alto può sostenere la crescita di Gucci anche per il 2018.
Prada: abbassare i prezzi
Delle tre, Prada – famosa per gli zaini in pocono degli anni Novanta – è quella con le borse più care: una classica Galleria costa per esempio 1.100 euro, mentre la Speedy di Louis Vuitton si trova a 650 euro e una piccola Gucci da portare a spalla a 690 euro. Negli ultimi mesi Prada ha cercato di allargare i suoi prezzi rendendoli più accessibili e introducendo nuovi modelli che vanno dai 750 euro ai 2.000 euro: è così riuscita a rafforzare le vendite nel breve periodo. Secondo Ortelli però la strategia di Prada non è solida come quella di Gucci e Louis Vuitton, soprattutto non ha saputo inventare nuovi modelli di fascia medio alta in grado di replicare il successo della Galleria, del 2015.
Prada sta attraversando un momento di difficoltà: i dati finanziari del primo semestre 2017 hanno mancato le aspettative degli analisti e nel 2016 sono stati chiusi alcuni negozi. Puntare sulle borsette è il modo per riprendersi e, dice Ortelli, proporne di più economiche da un lato, e introdurne di esclusive e molto costose dall’altro potrebbe tener alte le vendite nel 2018. Quello che Prada dovrà fare quest’anno sarà soprattutto «difendere e possibilmente conquistare pezzi di mercato da Louis Vuitton e Gucci».
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