Gaza sta collassando, di nuovo
L'embargo, i tagli agli aiuti umanitari e la guerra interna tra Hamas e Fatah stanno portando la Striscia a livelli gravissimi di crisi umanitaria e sociale
Il New York Times ha scritto un lungo articolo per raccontare la situazione di grave crisi finanziaria e umanitaria che sta attraversando la Striscia di Gaza. Oltre all’embargo imposto da Israele ed Egitto, che da tempo ha effetti notevoli sull’arrivo di beni di prima necessità nella Striscia, uno dei più recenti problemi è stato l’aggravamento della crisi nei rapporti tra Hamas e Fatah, le due principali forze politiche palestinesi.
Hamas è un’organizzazione palestinese di carattere politico e paramilitare: è considerato un gruppo terroristico da Israele, Stati Uniti e Unione Europea, e controlla la Striscia di Gaza da quando cacciò Fatah con la forza. Fatah guida l’Autorità nazionale palestinese, che governa in Cisgiordania: ha posizioni più moderate di Hamas, per esempio è più favorevole al dialogo con Israele.
Dopo una profonda crisi nei rapporti bilaterali, lo scorso ottobre Hamas e Fatah hanno raggiunto un accordo di riconciliazione firmato al Cairo, in Egitto. L’accordo prevedeva la cessione progressiva di Hamas del controllo della Striscia di Gaza, che sarebbe passato all’Autorità palestinese in cambio della formazione di un governo di unità nazionale e di una più generale collaborazione tra le due fazioni. Le cose però non sono andate così: una serie di scadenze mancate e la rimozione il mese scorso del capo dell’intelligence egiziana, il quale aveva svolto un importante ruolo nei colloqui, hanno fatto crollare piano piano l’accordo, e hanno di fatto messo in crisi il riavvicinamento.
A quel punto la crisi si è riacutizzata, con conseguenze gravi e rilevanti. L’autorità nazionale palestinese ha smesso di pagare lo stipendio alle migliaia di funzionari pubblici assunti da Hamas nella Striscia, circa 50mila persone, e Hamas, in risposta, ha detto che non interromperà la riscossione interna delle tasse, che avrebbe dovuto passare all’Autorità palestinese. Tra le due forze si è creata una situazione di stallo – non certo la prima negli ultimi anni – che potrebbe peggiorare ulteriormente le condizioni degli abitanti della Striscia: potrebbe portare tra le altre cose al prepensionamento di migliaia di funzionari e a una riduzione degli stipendi fino al 40 per cento.
Il riacutizzarsi delle tensioni tra Hamas e Fatah, comunque, non è stata l’unica causa dei recenti problemi della Striscia di Gaza: buona parte della crisi dipende dall’embargo imposto da Israele ed Egitto, che limita l’arrivo nella Striscia di beni di prima necessità.
Il New York Times ha raccontato che le carenze di beni essenziali come acqua e medicine sono frequenti, nei negozi di alimentari si fatica a distinguere i mendicanti dai membri della classe media, i quali hanno cominciato a chiedere di mettere gli acquisti a credito. Le carceri si stanno riempiendo di commercianti arrestati per debiti non pagati, i ragazzi saltano la scuola per raccogliere la menta fresca o pulire i parabrezza delle auto in cambio di qualche moneta, nei mercati all’aperto gli scaffali rimangono pieni con i venditori seduti a leggere il Corano: «Non ci sono acquirenti. Non ci sono soldi». Circa il 70 per cento della popolazione di Gaza vive al di sotto al livello di povertà e la disoccupazione è altissima.
A Gaza c’è anche un’emergenza carburante e alcuni ospedali hanno già cominciato a chiudere: Roberto Valent, a capo del programma di assistenza ai palestinesi dell’ONU, ha spiegato ad Al Jazeera che sono necessari almeno 7,7 milioni di litri di carburante per continuare ad alimentare le attrezzature ospedaliere e circa 6,5 milioni di dollari per fermare l’emergenza. L’acqua è praticamente ovunque non potabile e il rischio di un’epidemia di colera è molto alto.
Israele ha bloccato Gaza per più di un decennio, con severe restrizioni sul flusso di merci e di persone, sperando di contenere e indebolire Hamas. Per anni Hamas ha sfruttato i tunnel sotterranei fra la Striscia, il territorio israeliano e quello egiziano, con cui confina a est, per il contrabbando e per finanziarsi attraverso le tasse imposte sulle merci introdotte clandestinamente. Hamas ha sempre sostenuto che i tunnel clandestini fossero necessari per soddisfare i bisogni degli abitanti della Striscia, Israele ha sempre replicato che l’embargo servisse per ragioni di sicurezza. Negli ultimi anni è diventata più dura anche la posizione dell’Egitto, che ha chiuso per lunghi periodi il suo valico di Rafah, l’unico accesso alla Striscia non controllato da Israele.
Da mesi l’esercito di Israele costruisce un nuovo muro sottoterra lungo tutti i 60 chilometri di confine fra la Striscia e il territorio israeliano: una barriera profonda decine di metri proprio per impedire la costruzione di nuovi tunnel. In questa situazione sempre più critica, Hamas ha ben poche opzioni a disposizione. La questione della barriera, ha scritto il New York Times, rende bene l’idea della condizione in cui si trova attualmente Hamas: senza una buona via d’uscita.
Infine, la situazione a Gaza sta risentendo anche delle decisioni dell’amministrazione americana di Donald Trump, che ha annunciato che dimezzerà la prima tranche di fondi che gli Stati Uniti avevano programmato di destinare nel 2018 all’UNRWA, l’agenzia dell’ONU per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi. Dei 125 milioni di dollari previsti, il governo americano ne darà solo 60 milioni. Questo significa che circa 1,2 milioni di persone che vivono nella Striscia non potranno fare affidamento sulle regolari distribuzioni di farina, olio da cucina e altri alimenti di base.
La combinazione dell’aumento dei controlli e della repressione, il fatto di rendere impermeabile il confine, i disaccordi tra Hamas e Fatah e il taglio dei finanziamenti stanno portando Gaza al collasso, con il rischio dell’inizio di nuove violenze. Qualche giorno fa l’inviato di pace delle Nazioni Unite per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov, ha avvertito che la Striscia di Gaza è sull’orlo della rovina totale: «Gaza rischia di esplodere di nuovo, questa volta in maniera molto più violenta che in passato. Siamo nel bel mezzo di una grave crisi umanitaria».