In Turchia l’alcol è diventato un bene di lusso
Negli ultimi anni il governo turco ha alzato tantissimo le tasse sugli alcolici, spingendo alcuni giovani a farsi la birra in casa
In Turchia negli ultimi 15 anni il prezzo della birra è aumentato del 618 per cento. Quello del raki, una bevanda alcolica tradizionale turca al sapore di anice, del 725 per cento, secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica turco. Sono aumenti notevoli, se si considera per esempio che il prezzo del succo di frutta è aumentato nello stesso periodo del 121 per cento. L’aumento del prezzo delle bevande alcoliche è stato una precisa scelta del governo turco che dal 2003, seppur in forme diverse, è guidato da Recep Tayyip Erdoğan, prima come primo ministro e ora come presidente della Turchia. Il risultato, ha raccontato Politico in un articolo di Zia Weise, è che in Turchia l’alcol è diventato una specie di bene di lusso. Diversi giovani turchi hanno cominciato a prodursi in casa il raki e la birra, per evitare di pagare le tasse altissime imposte dal governo.
Weiss ha parlato per esempio con Kerem, 29enne di Istanbul che ha preferito non dare altre informazioni sulla sua identità. Kerem ha cominciato poco tempo fa a produrre in casa la birra, trasformando il suo appartamento in una specie di piccolo birrificio: «Si può produrre una buona bottiglia di birra per circa un quarto del suo prezzo normale», ha raccontato Kerem a Politico, aggiungendo che il materiale per iniziare il processo si può recuperare facilmente su Internet a un prezzo contenuto (circa 200 lire turche, poco più di 40 euro). Qualche problema in più arriva dal processo di vendita. Kerem ha raccontato di vendere la sua birra solo agli amici più stretti e a qualche cliente occasionale, soprattutto perché è consapevole dei pregiudizi esistenti in Turchia relativi all’uso di alcol.
Una situazione più complicata riguarda la produzione in casa di raki, che a differenza di quella della birra e del vino è illegale. A causa dell’aumento dei prezzi, molti turchi hanno cominciato a produrre il proprio raki in maniera artigianale, mischiando alcol etilico – venduto a metà prezzo rispetto al raki – con aroma o olio di anice. Il risultato è stato l’aumento della vendita di prodotti contraffatti, con gravi conseguenze: negli ultimi anni diverse persone sono morte di avvelenamento dopo avere bevuto bottiglie di raki contenenti metanolo.
La Turchia è un paese musulmano. Più dell’80 per cento della popolazione non beve alcol, e negli ultimi anni questa percentuale è aumentata ulteriormente. Il governo turco sostiene di avere voluto tutelare la salute dei propri cittadini, ma molti pensano che queste politiche facciano parte del più ampio progetto di islamizzazione della Turchia portato avanti ormai da anni da Erdoğan e dal suo partito, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, più conosciuto con la sigla turca AKP.
Erdoğan, leader di un partito islamista, non ha mai nascosto il suo disgusto per l’alcol: una volta ha detto che «chiunque beva alcol è un alcolizzato». Negli ultimi anni il suo partito non ha aumentato solo le tasse sulla vendita dell’alcol, ma ha anche introdotto delle restrizioni sulla vendita: dal 2013, per esempio, i negozi non possono più vendere alcolici dopo le 22 e in nessun caso si possono vendere alcolici nel raggio di 100 metri da una moschea. Come ha fatto notare Weise, l’approccio di Erdoğan nei confronti dell’alcol è in netto contrasto con quello di Mustafa Kemal Atatürk, il fondatore della Turchia moderna che era spesso ritratto con un bicchiere di raki in mano.
Molti giovani turchi temono ora che il governo possa introdurre restrizioni anche per la produzione artigianale di alcolici. Da marzo entreranno in vigore le prime nuove norme per limitare la produzione di raki, ma Erdoğan potrebbe anche decidere di andare oltre e cercare di bloccare la vendita online del materiale per produrre la birra a casa propria.