Sabato siamo andati vicini a una nuova guerra
Israele ha abbattuto un drone dell'Iran, poi la Siria ha tirato giù un F-16 israeliano dentro Israele: tutte le cose da sapere, spiegate bene
di Elena Zacchetti – @elenazacchetti
Sabato mattina si è pensato che potesse iniziare una nuova guerra in Siria. Nel giro di poche ore è successo un po’ di tutto: tra le altre cose, Israele ha abbattuto un drone iraniano che era entrato nel suo spazio aereo e la Siria ha abbattuto un F-16 israeliano che aveva appena colpito una base aerea siriana. «Siamo arrivati a un passo dalla guerra», ha scritto Amos Harel su Haaretz. «Una delle più pericolose escalation nella lunga e brutale guerra siriana è avvenuta lo scorso fine settimana», ha scritto Ishaan Tharoor sul Washington Post. Alla fine non è successo niente di più, forse grazie a un intervento del governo russo, che avrebbe calmato entrambe le parti. Ma gli attacchi e i contrattacchi di sabato potrebbero avvenire di nuovo – avverranno quasi certamente, dicono diversi analisti – e le cose potrebbero non finire sempre così bene.
Quello che è successo sabato non è stato improvviso. Da mesi la situazione al confine tra Siria, Libano e Israele è tesissima: il governo israeliano sta infatti cercando di proteggere a ogni costo il suo confine con la Siria e tenere lontane le milizie sciite appoggiate dall’Iran e alleate del presidente siriano Bashar al Assad. Negli ultimi anni Israele è rimasto fuori dalla guerra siriana, ma non del tutto: considera Hezbollah e l’Iran come minacce dirette alla propria sicurezza nazionale, e per questo ha continuato ad attaccare depositi e convogli di armi diretti a Hezbollah, gruppo libanese sciita alleato all’Iran e ad Assad. Ma come succede in altre zone della Siria, raggiungere un obiettivo non è per niente facile: si rischia di far saltare alleanze, pestare i piedi agli amici o fare un passo di troppo che potrebbe provocare l’inizio di un nuovo conflitto.
Gli eventi di sabato mostrano nella loro completezza tutte queste difficoltà e ci dicono parecchio di quello che bisogna tenere d’occhio nelle prossime settimane.
Le cose sono andate così: sabato mattina Israele ha abbattuto nel suo spazio aereo quello che ha detto essere un drone iraniano partito da una base militare siriana vicino a Palmira, nel sud della Siria.
Israele ha definito il volo del drone una «violazione della propria sovranità» e ha risposto anche attaccando la base militare siriana da cui era partito il drone: uno degli F-16 israeliani impiegati nell’attacco però è stato abbattuto da un missile siriano mentre stava tornando alla base, quando era già rientrato nello spazio aereo israeliano. Erano decenni che un aereo militare israeliano non veniva abbattuto dal fuoco nemico, per giunta dentro Israele.
Israele ha risposto nuovamente e ha compiuto attacchi aerei contro otto obiettivi militari siriani e quattro iraniani, tutti in Siria. Nel giro di qualche ora la situazione si è calmata: Haaretz ha scritto che Israele stava valutando di proseguire l’attacco, ma poi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ricevuto una telefonata del presidente russo Vladimir Putin, che l’avrebbe convinto a lasciare perdere e non aggravare la situazione.
Ci sono diverse cose importanti da dire su quello che è successo sabato, e la più rilevante riguarda il ruolo della Russia in tutto questo trambusto. Come avrebbe fatto Putin a convincere Netanyahu a lasciar stare? E più in generale, quanta importanza ha la Russia nel gestire la tensione cresciuta tra Israele e Iran in territorio siriano?
Anzitutto va detta una cosa. La Russia è intervenuta in Siria per garantire la sopravvivenza del regime di Assad, e il suo impegno militare degli ultimi due anni e tre mesi si è dimostrato decisivo, ma questo non significa che il governo russo condivida gli obiettivi dell’Iran, anch’esso alleato di Assad. I due paesi vedono le cose in maniera diversa su parecchie questioni, per esempio sul ruolo che l’Iran dovrebbe avere in Siria una volta finita la guerra: la Russia non è contenta dell’aggressività iraniana e preferirebbe che l’Iran avesse una presenza molto più marginale di quella attuale. Al momento, però, non è possibile cambiare le cose: gli attacchi aerei russi non sono sufficienti da soli a riconquistare i territori perduti e consolidare il potere di Assad su quelli riconquistati; c’è bisogno anche delle numerose milizie sciite appoggiate dall’Iran.
Allo stesso tempo, però, la Russia ha continuato a mantenere buone relazioni con Israele. Dall’inizio dell’intervento russo in Siria, nel novembre del 2015, Russia e Israele hanno raggiunto un tacito accordo: i russi avrebbero permesso agli israeliani di attaccare in territorio siriano il gruppo Hezbollah – alleato del regime siriano, e quindi dalla stessa parte della Russia – solo se questi attacchi non avessero indebolito troppo Assad. In pratica per tutti questi anni la Russia ha cercato di tenere un piede in due scarpe: sia in quella dell’alleanza con Assad che in quella dell’amicizia con Israele. Finora la Russia è riuscita con grande abilità a gestire la situazione, e soprattutto a tenere a bada la minaccia iraniana, ma gli eventi di sabato potrebbero avere cominciato a cambiare le cose: con l’aumentare della tensione tra Israele e Iran, la Russia potrebbe a un certo punto essere costretta a dover decidere da che parte stare (qualcuno potrebbe vedere qualche somiglianza con quello che sta capitando agli Stati Uniti nel nord della Siria, dove il governo americano è in balia della rivalità tra Turchia e curdi siriani: la storia è spiegata qui).
Gli eventi di sabato, però, ci dicono almeno tre cose che non riguardano il ruolo della Russia in Siria.
Primo: l’abbattimento di un F-16 israeliano è stata un’enorme sorpresa praticamente per tutti. L’ultima volta che un aereo militare israeliano fu abbattuto da fuoco nemico era il 1982. Come ha scritto Alon Ben-David sul giornale israeliano Maariv, gli israeliani «sono cresciuti abituati all’idea che nessuno nella regione potesse minacciare» un loro aereo militare. L’abbattimento è stato usato dall’Iran e dalla Siria per fare propaganda contro Israele: un modo per non parlare del fatto che l’intelligence israeliana era stata in grado nel giro di pochissimo tempo di individuare la base militare di partenza del drone iraniano.
Secondo: il fatto che Assad abbia sparato contro gli F-16 israeliani è una dimostrazione di forza e di rinnovata fiducia, ha scritto David Halfbringer sul New York Times. Secondo Ofer Zalzberg, analista del centro di analisi International Crisis Group, vedremo sempre più spesso tensioni e scontri di questo tipo, soprattutto se Assad continuerà a consolidare il suo potere in Siria indebolendo i ribelli siriani, che controllano ancora una parte di territorio nel nord-ovest del paese.
Terzo: in tutta questa storia non sono mai venuti fuori gli Stati Uniti, ed è una cosa rilevante. L’obiettivo principale del governo americano in Siria è sempre stato sconfiggere lo Stato Islamico (o ISIS): è un discorso che valeva per l’amministrazione di Barack Obama e che sembra valere anche per quella di Donald Trump, anche se capire quale sia la strategia di Trump in Medio Oriente non è cosa facile. Gli americani sono impegnati per lo più a combattere l’ISIS e a gestire la crisi tra turchi e curdi nel nord della Siria, mentre la sicurezza di Israele, almeno per il momento, è stata messa in secondo piano.
Non è chiaro cosa succederà ora, o quando sarà la prossima grande escalation di tensione tra Israele e Iran in Siria. Ofer Zalzberg, analista di International Crisis Group, ha detto: «Stiamo vedendo una rinegoziazione delle regole del gioco riguardo al tipo di attività militari che ciascuna parte è disposta a tollerare dall’altra». Il pericolo è che possa iniziare una nuova guerra in Siria, al confine occidentale, che peggiorerebbe ancora di più una situazione disperata. Le prime settimane del 2018 sono state infatti uno dei periodi con più morti della guerra, con centinaia di civili uccisi negli attacchi aerei, circa 300mila persone senza casa nel nord-ovest del paese e altre 400mila a rischio malnutrizione a causa degli assedi compiuti dal regime nell’area a est di Damasco.
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