Costante Girardengo, il primo Campionissimo
Morì 40 anni fa dopo aver vinto centinaia di corse, ma è famoso anche per la canzone di De Gregori e per il bandito di cui (forse) fu amico
di Gabriele Gargantini
Lo sa anche chi di ciclismo sa molto poco: il soprannome di Fausto Coppi era “Campionissimo”, superlativo di un sostantivo che potrebbe anche farne a meno. Prima che lo attaccassero a Coppi, il soprannome “Campionissimo” era però stato di Costante Girardengo, ciclista della prima metà del Novecento che morì quarant’anni fa, il 9 febbraio 1978. Aveva 85 anni e il giorno dopo Cesare Pesenti scrisse sul Corriere della Sera che in 26 anni di gare aveva percorso «536mila chilometri su strada e su pista, vincendo 1.007 volte». Girardengo aveva vinto due Giri d’Italia (e trenta tappe), tre Giri di Lombardia, nove campionati italiani e sei Milano-Sanremo: la prima nel 1918, l’ultima nel 1928. Il soprannome “Campionissimo” glielo aveva dato nel 1919 Emilio Colombo del Corriere della Sera, definendolo «il più talentuoso ciclista che il suolo italico ha mai visto pedalare». E se non lo conoscete per le sue imprese sportive, forse Girardengo lo conoscete per una famosa canzone di Francesco De Gregori.
Girardengo era nato il 18 marzo 1893 a Novi Ligure, in una cascina in cui i genitori facevano i contadini. Era il quarto di sette figli e andò a scuola fino alla sesta elementare. Nei primi anni del Novecento comprò a rate, per 160 lire, una vecchia bicicletta, per andare a lavorare. Capì presto di cavarsela bene e iniziò a partecipare alle prime gare. Non solo contro altri ciclisti: nel 1908 vinse per esempio una gara contro Dorando Pietri, che era diventato famosissimo per come, esausto, aveva perso la maratona olimpica di Londra e, tornato in Italia cercò di raccogliere soldi sfidando ciclisti. Al tempo le biciclette erano pesanti e più complicate: non era così scontato che permettessero di andare più veloce di un maratoneta.
Girardengo era piccolo – prima di Campionissimo il suo soprannome era stato omin – ed era fortissimo in pianura e in volata. «Non lo si vedeva mai arrivare. Appariva di colpo», scrisse di lui Mario Soldati. In salita non era il migliore, ma si difendeva. Iniziò a fare il ciclista per lavoro nel 1912 e si capì presto che era davvero forte. Luigi Ganna, il vincitore del primo Giro d’Italia, quello del 1909, disse che era «Spettacolare, una tal supremazia in tutti i campi di una gara ciclistica mai si era vista». Quando gli chiesero chi fosse più forte, tra lui e Girardengo, Ganna disse: «Senza dubbio Girardengo è migliore, migliore di chiunque abbia corso sinora. Ma io sono stato il primo, quindi tutti gli altri seguiranno nell’elenco». Girardengo era anche apprezzato per come riusciva a gestire le corse, a capire i momenti: «Era un tattico, sapeva reggere il ritmo di Ganna e sapeva anche umiliare lo spunto dei più accreditati velocisti del tempo», scrisse Cesare Pesenti sul Corriere della Sera.
Nel 1915 Girardengo arrivò primo al termine della Milano-Sanremo – una delle più importanti corse di un giorno del ciclismo, ora come cent’anni fa – ma lo squalificarono perché a Imperia sbagliò strada, evitandosi qualche centinaio di metri. Girardengo vinse la sua prima Milano-Sanremo nel 1918, dopo una fuga solitaria di 200 chilometri, con la pioggia. Nel ciclismo era ed è usanza che, quando il gruppo passa vicino a casa di un ciclista, quel ciclista chieda di potersi avvantaggiare per fermarsi a salutare parenti e amici. Girardengo disse che chiese quel permesso, ma non glielo diedero. «Non mi volevano far passare. Ed allora mi feci prendere dal nervoso e me ne andai. Si era appena dopo Tortona». Arrivò primo con 13 minuti di vantaggio sul secondo, Gaetano Belloni, che veniva chiamato “il Giolitti in bicicletta” e fu uno dei principali rivali di Girardengo. Nonostante vinse diverse corse, divenne noto come uno dei primi “eterni secondi” della storia del ciclismo.
Nel 1919, l’anno in cui iniziarono a chiamarlo Campionissimo, Girardengo vinse il Giro d’Italia, vincendo sette tappe su dieci. Intervistato nel 1963 disse: «Il più grande anno della mia carriera. In classifica sono arrivato con 42 minuti di vantaggio sull’amico Belloni», che arrivò ancora secondo. Girardengo vinse nonostante qualche mese prima si fosse preso la spagnola, l’influenza che in quegli anni uccise milioni di persone.
Nei Giri successivi si ritirò per sfortune varie e nel 1923 vinse otto tappe e la classifica generale, con solo 37 secondi di vantaggio sul secondo, Giovanni Brunero (non Belloni, per una volta). La Gazzetta dello Sport lo definì «invitto e invincibile» e come ha fatto notare lo storico Mimmo Franzinelli, sono aggettivi notevoli per quegli anni perché «solitamente riservati al capo delle camicie nere, Benito Mussolini».
Sempre nel 1923, l’ideatore e organizzatore del Tour de France, Henri Desgrange, disse che per essere davvero il più forte, Girardengo avrebbe dovuto vincere anche all’estero (ma allora non era così comune, che gli italiani corressero in Francia o i francesi in Italia). Girardengo rispose con una lettera alla Gazzetta dello Sport: «Invito tutti i corridori del mondo a incontrarsi con me in una corsa a cronometro di 300 chilometri. ad esempio sul percorso Milano-Sanremo. Se si ritiene che le strade italiane mi siano favorevoli, accetto anche di correre su strade in suolo neutro, da 300 a 600 km, che ci siano anche salite tipo Galibier o Izoard. Posta per ciascuno incontro 50mila lire. Epoca a scelta degli avversari». All’inizio nessuno accettò, poi si organizzò per il Natale del 1923 una gara, al velodromo d’inverno di Parigi, tra lui e Henri Pélissier, il francese più forte di quegli anni. Vinse Girardengo.
Sempre a Parigi, ma nel settembre 1925, ci fu l’incontro tra Girardengo e Sante Pollastri, il bandito. Pollastri era nato a Novi Ligure, lo stesso paese di Girardengo, ma sei anni dopo. In molti casi il suo cognome fu storpiato in Pollastro: anche perché lui disse che nel fare le firme, la O gli veniva meglio della I. Aveva fatto anche lui il ciclista per un po’ ma poi aveva preso un’altra strada. Da ragazzo era soprannominato rangugin, attaccabrighe. Per «antica miseria o un torto subito», come canta De Gregori, Sante divenne un ladro, poi un bandito, infine un assassino e un gangster. Negli anni Cinquanta lui disse che tutto iniziò per colpa di una caramella, nei primi anni Venti: «Uscendo dal bar masticavo una caramella. Era amara, troppo amara, e la sputai. Sul marciapiede era un gruppo di fascisti: essi credettero che il mio gesto volesse essere offensivo nei loro confronti. Seguì una lite». Disse anche: «Quel piccolo sassolino, determino la mia valanga. Potrà sembrare una favola ma io credo che un passo sbagliato sovente decida, e per sempre, il destino di un uomo».
Fatto sta che Pollastri divenne «un feroce bandito» e fuggì dall’Italia e andò a vivere a Parigi. Lì nel 1925 andò a vedere Girardengo che correva al velodromo: non è chiaro se i due fossero amici o se solo Pollastri fosse tifoso di Girardengo. Fatto sta che Biagio Cavanna – massaggiatore di Girardengo e ex allenatore di Pollastri – capì che tra il pubblico c’era Pollastri. Lo capì perché gli abitanti di Novi Ligure erano famosi per farsi tra loro un particolare fischio, il cifulò. Lo sentì, vide Pollastri e dopo la gara andò a cenare con lui e Girardengo. Lì Pollastri raccontò la sua vita e i suoi delitti. Secondo la versione di Girardengo, Pollastri gli confessò anche che, in Italia, due innocenti erano stati accusati di un omicidio che invece aveva commesso lui, e che Pollastri gli chiese, una volta tornato, di aspettare qualche tempo e poi dire la verità. Nel 1925 si pensava che Pollastri fosse morto. Probabilmente per colpa (o merito) di Girardengo, che ne parlò una volta tornato in Italia, si scoprì che invece era vivo e la polizia riprese a cercarlo.
Non c’è una chiara versione sulle premesse, ma nel 1927 Pollastri fu arrestato a Parigi. Le soffiate per trovarlo arrivarono forse da Girardengo, forse da una delle tante donne che frequentava, forse dal giro anarchico di cui si diceva facesse parte. Pollastri fu riportato in Italia e fu condannato a diversi ergastoli. In uno dei processi contro di lui testimoniò anche Girardengo.
Nel frattempo Girardengo vinse qualche altra gara, prima di ritirarsi nel 1936. Costruì biciclette e fece l’allenatore: tra gli altri di Gino Bartali e Fausto Coppi. Coppi correva in realtà per la squadra di Cavanna, ma Girardengo riuscì a stapparglielo in modo non proprio correttissimo. Nel 1943, Pollastri guidò una rivolta di detenuti, ma la fermò prima che alcuni di loro si sfogassero contro i secondini. Iniziò a fare richieste di grazia e l’ultima, nella seconda metà degli anni Cinquanta, gli fu concessa dopo un incontro privato con l’allora ministro della Giustizia, Aldo Moro. Girardengo morì il 9 febbraio 1978; Pollastri il 30 aprile 1979. Pare che dopo che Pollastri uscì dal carcere, lui e Girardengo si incontrarono una volta.
La canzone, quella cantata da De Gregori, fu in realtà scritta da suo fratello Luigi Grechi (il cognome della madre).