Altri due candidati del M5S hanno detto che rinunceranno al loro seggio, se saranno eletti
Sono stati scoperti a truccare i conti per versare meno soldi di quelli dovuti al loro partito, ma dimettersi non sarà facile
Giovedì sera, altri due parlamentari del Movimento 5 Stelle candidati alle elezioni del 4 marzo hanno annunciato che, se saranno eletti in Parlamento, rinunceranno al loro incarico. Andrea Cecconi e Carlo Martelli erano accusati di non aver versato completamente la parte del loro stipendio che sono tenuti a consegnare a un fondo istituito dal Movimento 5 Stelle. Sabato, sul sito del Movimento era comparso un post in cui si annunciava che i due parlamentari aveva versato tutto quello che mancava e poi, per alcuni giorni, non erano seguite altre comunicazioni.
Ieri sera, con due post su Facebook sostanzialmente identici, i due parlamentari hanno annunciato che, se eletti, rinunceranno all’incarico, facendo subentrare un altro candidato del Movimento al posto loro. Una volta presentate le liste elettorali, infatti, non è più possibile ritirare la propria candidatura: i due quindi sono costretti a partecipare alle elezioni. Sia Cecconi che Martelli sono candidati in posizioni sicure e saranno quasi sicuramente eletti. «Sono orgoglioso di loro», ha detto il capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio commentando la promessa di rinunciare all’incarico.
Qualche settimana fa i due parlamentari erano stati scoperti a truccare i documenti sui rimborsi dalla trasmissione Le Iene. Secondo il regolamento del Movimento, ogni parlamentare è tenuto a consegnare poco meno di tremila euro al mese, più tutta la parte del rimborso elettorale (circa 9 mila euro al mese) che non riesce a giustificare mostrando scontrini per spese effettuate. Secondo la trasmissione, i due parlamentari avrebbero usato dei trucchi per versare meno di quanto dovuto e sarebbero stati scoperti. Il servizio sarebbe stato girato qualche settimana fa, ma non è ancora chiaro se e quando andrà in onda.
Pochi giorni fa, il Movimento aveva annunciato che anche un altro candidato si sarebbe ritirato dopo l’elezioni. Si tratta di Emanuele Dessì, candidato del M5S al centro di numerose critiche per i suoi rapporti con la famiglia Spada e per la casa popolare dove abita, secondo alcuni, senza averne diritto. Il capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio ha detto che Dessì «ha rinunciato alla sua candidatura e ha rinunciato alla sua eventuale elezione in Parlamento». Dessì ha ammesso di aver firmato un atto in cui promette di rinunciare alla candidatura in caso di elezione, ma ha aggiunto di non averne capito perfettamente il contenuto. Secondo la giornalista di Repubblica Annalisa Cuzzocrea, anche Cecconi e Martelli sono stati costretti a firmare un documento simile.
Il problema è che questo tipo di documenti non serve a nulla. Dimettersi da parlamentare è una questione lunga e complessa, proprio per evitare che un eletto possa facilmente essere costretto a dimettersi. Non è possibile dimettersi automaticamente: bisogna farne richiesta alla propria camera di appartenenza, fornendo le proprie motivazioni, e poi sperare che i propri colleghi votino a maggioranza per accettarla. Per cortesia e rispetto verso il parlamentare su cui si sta votando, di solito alla prima votazione la camera del parlamentare respinge le dimissioni, e quindi avvengono almeno due votazioni.
Inoltre bisogna tenere conto che perché le dimissioni siano accettate serve la maggioranza dei voti, dunque gli altri partiti potrebbero in qualche modo ostacolare le dimissioni per ragioni di strategia. Tutto il processo non è brevissimo, anche perché le votazioni vanno calendarizzate. Un esempio: il senatore Giuseppe Vacciano, uscito dal M5S nel 2015, ha provato per cinque volte a dare le sue dimissioni – il 17 febbraio 2015, il 16 settembre 2015, il 13 luglio 2016, il 25 gennaio 2017 e il 20 aprile 2017 – ma il Senato le ha sempre respinte. Vacciano è rimasto parlamentare fino al termine della legislatura.