Un libro velenoso
È un catalogo di carte da parati vittoriane intriso di arsenico e fatto stampare da un medico dell'Ottocento per nobili ragioni
Shadows from the walls of death è un libro stampato in cento copie nel 1874, largo circa 50 centimetri e alto 70: al mondo ne sono rimaste soltanto quattro e se le toccate potreste stare molto male, se non addirittura morire. Le circa cento pagine che compongono il volume sono infatti intrise di arsenico, come chiesto dall’autore Robert M. Kedzie, un chirurgo unionista durante la guerra civile statunitense e poi professore di chimica al Michigan State Agricultural college (MSU). Kedzie aveva un buon intento: richiamare l’attenzione sulla tossicità della tappezzeria dell’epoca, che impiegava alcuni pigmenti fatti con l’arsenico, pubblicando un libro con i campioni di quelle più comuni e pericolose. Il libro, inviato a circa cento biblioteche pubbliche del Michigan, era accompagnato da un avvertimento del Consiglio per la salute dello stato, di cui Kedzie faceva parte, sui motivi della sua tossicità.
All’epoca si pensava che l’arsenico fosse tossico soltanto se ingerito: è il veleno che uccise Romeo e Giulietta e Madame Bovary, per capirci, insieme a tantissimi signori delle corte medievali e rinascimentali italiane. I sintomi da avvelenamento erano come quelli del colera ed era difficile da rintracciare, era inodore e insapore e si confondeva facilmente con lo zucchero e la farina. Nell’Ottocento l’arsenico divenne famoso come “la polvere dell’eredità”, usata per sbarazzarsi facilmente di vecchi parenti che tardavano a morire, e giornali e romanzi già dai primi anni Trenta traboccavano di storie di omicidi con l’arsenico rimasti impuniti. L’arsenico fu usato per secoli in medicina per curare malattie come la sifilide e poi in epoca vittoriana mescolato a gesso e aceto per sbiancare la pelle; la Rivoluzione industriale lo rese un prodotto di successo, economico, accessibile a tutti e impiegato per moltissimi oggetti di uso comune: candele di sego meno care di quelle di cera, veleni per vermi e topi, cialde da applicare sul viso per togliere i brufoli, e per i pigmenti verdi più brillanti e in voga all’epoca, impiegati nelle tinture dei tessuti, delle tappezzerie e dei dolcetti.
Il primo pigmento verde realizzato con l’arsenico fu il Scheele’s Green, ottenuto nel 1775 dal chimico Carl Wilhelm Scheele utilizzando l’arseniato di rame. Era di una qualità superiore ai verdi dell’epoca e in breve li rimpiazzò tutti aprendo la strada ad altri verdi a base di arsenico, come il verde smeraldo e il verde di Parigi, chiamato così perché usato per derattizzare le fogne della città, e poi come larvicida contro la malaria in Italia e in Corsica nella Seconda guerra mondiale. La diffusione di queste tinte mortali fu dovuta ai pittori pre-raffaelliti, che la apprezzavano appunto per la sua brillantezza, e agli arredatori delle case della classe media: portarono a morti di artisti e signore vittoriane. Secondo stime dell’Associazione dei medici americani, a fine Ottocento il 65 per cento della carta da parati usata nel paese conteneva arsenico.
A metà Ottocento si sospettava che l’arsenico potesse essere velenoso anche se aspirato, e stava nascendo un movimento di opinione tra medici e persone comuni che chiedeva di non impiegarlo più nei coloranti e negli oggetti quotidiani. A rafforzarlo fu un caso di avvelenamento avvenuto a Limehouse, vicino Londra, nel 1863, di cui la stampa si occupò moltissimo. Nel giro di pochi mesi morirono di una malattia misteriosa tutti i quattro figli piccoli di Richard Turner, un muratore da poco trasferitosi da quelle parti. Thomas Orton, un importante medico dell’epoca, si mise a indagare e dopo aver sospettato difterite e contaminazione dell’acqua, notò il verde splendente della carta da parati della camera da letto e si ricordò di una strana teoria che circolava allora tra i medici, cioè che alcuni coloranti fossero velenosi. Richiese l’autopsia del corpo di una figlia di Turner e scoprì che si trattava di avvelenamento da arsenico. La storia finì con un processo e un verdetto di “morte naturale” da parte della giuria che ne fece discutere ancora di più. Da allora molti arredatori e fabbricanti di stoffe smisero di impiegare pigmenti con arsenico, anche se restavano spesso convinti che si trattasse di un allarmismo dei medici. William Morris, che disegnò le più famose carte da parati di metà Ottocento, parlò per esempio di una “caccia alle streghe”, anche se l’azienda per cui lavorava, la Morris and Co, abbandonò i pigmenti di arsenico nel 1875.
Nella prefazione di Shadows from the walls of death, Kedzie spiegava che l’arsenico poteva avvelenare giorno per giorno, lentamente, anche senza un contatto diretto: le donne che si stendevano a letto per riprendersi da indisposizioni, corpetti troppo stretti e appuntamenti sociali sgradevoli cercavano sollievo in «un’aria appesantita dall’alito della morte». Da qui molte morti giovani e misteriose, fatte di dolori addominali, pelle scolorita, problemi al cuore e mal di testa, come quella della scrittrice Jane Austen che secondo nuovi studi sarebbe morta per un avvelenamento involontario di arsenico. Le obiezioni di quelli che prosperavano tra tappezzerie verdi e sgargianti è spiegata perché i corpi tollerano diverse dosi di arsenico: basse in bambini e anziani, più alte negli adulti e in chi si nutre di molte proteine.
Delle quattro copie che restano di Shadows – le altre sono state distrutte dai librai per paura di avvelenare i lettori – due sono conservate alla MSU University in una scatola verde della sezione speciale della biblioteca, con tutte le pagine sigillate nella plastica per permettere di maneggiarla senza guanti e senza il pericolo di leccarsi la punta delle dita. Una si trova nella biblioteca della Scuola medica della Harvard University e un’altra in quella della National Library of Medicine che, impiegando le adeguate tute protettive, ha digitalizzato il libro e l’ha reso disponibile online (oppure potete comprare la versione innocua su Amazon).