Avete presente quelle macchinette con le faccine che vedete nei negozi?
Quelle per dire se e quanto avete gradito un certo servizio: le fa una società finlandese che ha una bella storia
David Owen ha scritto per il New Yorker un lungo articolo sulla storia e il successo dell’azienda leader nel settore delle soluzioni di reporting istantaneo sulla soddisfazione di clienti o dipendenti. O, per dirla facile, la società che ha inventato quelle macchinette che, dentro ai negozi, permettono di dare un rapido giudizio sull’esperienza avuta scegliendo tra quattro faccine: felice, un po’ meno felice, delusa e molto delusa. La società si chiama HappyOrNot, è finlandese, esiste dal 2009 e ora quelle macchinette sono in più di 117 paesi e tra le migliaia di aziende che le usano ci sono Lego, Microsoft, McDonald’s, IKEA, BMW, Decathlon e Autogrill. Dal 2009 sono state scelte e premute più di 6 milioni di faccine.
Esistono altre società che fanno macchinette simili, ma quelle di HappyOrNot sono di gran lunga le più diffuse: ne avete viste di sicuro, e quasi di certo vi è anche capitato di usarle. L’idea di base è semplice, quasi banale: capire se i clienti sono soddisfatti. E anche quello che potrebbe sembrare uno svantaggio – l’impossibilità di dare altre informazioni, di scrivere una lamentela – non lo è. Altri sistemi più accurati, per esempio un sondaggio da compilare, hanno un grande problema comune: sono noiosi e chiedono tempo per essere fatti e poi analizzati. Senza contare che, alla fine, riportano le opinioni dei soli clienti che avevano tempo e voglia di compilarli, e spesso quei clienti sono quelli molto arrabbiati e non quelli soddisfatti.
Le macchinette come quelle di HappyOrNot chiedono al cliente di perdere davvero giusto un secondo o due, sono anonimi, e le potrebbe usare anche un bambino di tre anni. Per l’utente che li usa non sono di nessun fastidio. Sono invece utilissimi al proprietario del negozio o dell’azienda che ne analizza i risultati e che vede l’ora di ogni risposta. Basta che ci sia una telecamera nel negozio per andare a vedere perché, a una certa ora, c’è stata una valanga di faccine rosse, arrabbiate. Magari troppa coda, magari un commesso scortese.
La storia di come è nata e cresciuta HappyOrNot è molto “perché diavolo non ci ho pensato io”. Il fondatore e attuale amministratore delegato è Heikki Väänänen: è nato nel 1980 ed è cresciuto in uno di quei bellissimi, remotissimi e non particolarmente vivaci paesini finlandesi. Ha raccontato a Owen che quando aveva «14 o 15 anni» e si era trasferito in una città più grande, era in un grande negozio di elettronica per comprare dei floppy disk e non riuscì a trovare i floppy disk, qualcuno che lo aiutasse a trovarli o qualcuno con cui lamentarsi per non aver trovato qualcuno che lo aiutasse. Ha detto che pensò: «Ok, qui non interessa a nessuno, ma c’è qualcuno, da qualche parte, a cui importerebbe sapere del problema che ho avuto oggi». Per la solita questione della noia e della fatica, Väänänen non scrisse nessuna lamentela; ma si tenne l’idea.
Negli anni successivi fondò una piccola società di programmatori che poi si fuse con una che creava giochi per smartphone. La società ebbe successo (fece giochi per la Disney, tra gli altri) e nel 2009 fu comprata da una più grossa. Väänänen decise che l’acquisizione non lo convinceva e raccontò a un amico che lavorava con lui l’idea alla base di HappyOrNot. L’amico gli disse qualcosa tipo «è troppo banale perché qualcuno non l’abbia già fatto» ma il giorno dopo gli fece sapere che aveva controllato e che effettivamente no, nessuno ci aveva pensato seriamente. L’amico, Ville Levaniemi, gli disse anche: «Ok, licenziamoci e facciamo partire questa cosa».
La prima macchinetta di HappyOrNot fu messa nel 2009 in un negozietto di alimentari di Tampere, la seconda città della Finlandia. A fine giornata, 120 clienti avevano scelto e schiacciato una delle (allora due, non quattro) faccine. La società superò il primo grosso ostacolo nel 2012, quando si mise a vendere oltre la Finlandia, un paese di cui Owen ha citato una battuta che spiega molte cose: «Un finlandese introverso, mentre ti parla, si guarda i piedi. Un finlandese estroverso, mentre ti parla, ti guarda i piedi». Bisognava vedere se all’estero la gente avrebbe avuto la stessa cortesia nello scegliere di rispondere, e la stessa correttezza nel farlo in modo oggettivo. Il primo grande successo all’estero di HappyOrNot fu all’aeroporto londinese di Heathrow: un posto da cui passano molte persone (quindi molti ipotetici clienti) e in cui a molti capita di avere cose di cui lamentarsi e di non avere il tempo di farlo.
Ora HappyOrNot offre due tipi di macchinette (con schermo touch o con pulsanti fisici) e un’opzione per inserire il misuratore di soddisfazione in una pagina internet. Insieme alle macchinette viene fornito un programma per l’analisi dei dati. I prezzi non sono sul sito e dipendono dal numero di macchinette richieste e da eventuali necessità di modifica della loro forma o grandezza.
Le macchinette hanno successo perché dicono le cose essenziali, ma le dicono chiaramente, e basandosi su un alto numero di risposte. Come ha scritto Owen, persino su Amazon – che non ha problemi riguardo al numero totale di utenti – le recensioni o le stelline sono date da una piccola percentuale di utenti. E non sempre, come insegnano le recensioni di questo proiettore da 18mila euro, sono dei veri giudizi, con una vera utilità. Da qualche tempo HappyOrNot ha aggiunto la possibilità di aggiungere motivi e commenti, ma non è obbligatorio.
Oltre ad avere tanti vantaggi, però, l’approccio di HappyOrNot presenta alcuni problemi. Cosa succede se un dipendente preme tante volte la faccina verde per far credere al suo capo di essere bravissimo? E cosa fare con quelli che – e ce ne sono – premono la faccina rossa così per sfizio, senza motivo? Todd Theisen, responsabile delle vendite internazionali di HappyOrNot, ha spiegato che le macchinette sono fatte per impedire che qualcuno schiacci, in modo compulsivo e in pochissimo tempo, la stessa faccina. Ha detto anche che, come è ovvio, a chi guarda i dati interessa non vedere faccine arrabbiate, più che vedere tante faccine felici. Ha poi aggiunto che pure quelli che schiacciano a caso non sono un problema, perché per fortuna i “falsi negativi” diventano insignificanti grazie a tutte le altre risposte. Ma d’altra parte è il suo business.