Cos’è “Tutti gli uomini di Victoria”
Un film francese che esce questa settimana in Italia, preceduto da critiche eccellenti e con una protagonista memorabile
Il film scelto per l’apertura della Settimana della Critica al Festival di Cannes del 2016 esce in Italia: Tutti gli uomini di Victoria è l’ultimo film della regista francese Justine Triet, che nel 2013 fece parlare di sé per La Battaglia di Solferino, incluso dai Cahiers du Cinéma tra i migliori dieci film dell’anno. Tutti gli uomini di Victoria è una commedia romantica atipica, una rivisitazione francese e con un certo gusto per l’assurdo di quel sottogenere – molto ricco negli ultimi anni – che ha come protagoniste donne forti, emancipate e la cui vita è sbandata e alla deriva, come lo sono la maggior parte delle vite dei personaggi interessanti del cinema.
– Tutti gli uomini di Victoria, la scheda del film
In questo caso lei si chiama Victoria Spick, è un’avvocata penalista che deve vedersela con uomini meschini e tossici, due bambine da crescere, due processi con i quali non vorrebbe avere a che fare e un calo della libido sessuale che cozza con quello che il titolo del film potrebbe lasciare intendere. Tutti gli uomini di Victoria – come ha scritto Variety – ribalta la tradizionale narrativa di genere sotto molti punti di vista. Per questo è piaciuto molto alla critica francese e anglosassone, che ha apprezzato in particolare l’interpretazione della protagonista Virginie Efira, vista recentemente in Elle.
Victoria Spick ha già molti problemi di suo: soprattutto l’incapacità di stabilire relazioni sessuali appaganti con i partner occasionali conosciuti online, e le difficoltà a trovare un babysitter (maschio, sempre per il discorso del ribaltamento degli stereotipi di genere) disposto a tollerare il suo carattere. A complicarle ulteriormente la vita ci pensano due uomini interessati esclusivamente a se stessi: il suo ex marito, un blogger con mal riposte velleità letterarie che ha raccolto confidenze professionali e difetti di Victoria nella protagonista dei suoi racconti, e al quale lei ha quindi fatto causa; e un ex fidanzato, ora amico, che le chiede di difenderlo in tribunale dopo che la sua compagna lo accusa di averla pugnalata a un matrimonio.
I due uomini la trascinano nei loro problemi e nelle loro derive vittimistiche, e in due processi uno più assurdo dell’altro, letteralmente: in quello per tentato omicidio vengono chiamati come testimoni un dalmata e una scimmia, per dire. La ricerca della stabilità di Victoria passa attraverso un analista poco stimato, una veggente poco incoraggiante, e soprattutto un uomo diverso dagli altri, Sam: molto più giovane di lei, più passivo, accondiscendente e poco brillante, eppure terapeutico.
Diversi critici hanno paragonato la regia di Triet e l’interpretazione di Efira a una Amy Schumer francese, e in particolare Variety scrive che il film è «innovativo nella misura in cui riconosce la sensualità e i desideri della protagonista, senza trasformare in un oggetto sessuale Efira, un’attrice bionda con una faccia da bambola e curve da urlo». Ma la vera forza del film è che la protagonista non è un personaggio eroico alla Erin Brockovich, continua Variety, ma piuttosto una figura «fallibile e nella quale ci si può identificare», che dimostra che «è lecito che le persone siano complicate».
Quello di Victoria è «uno dei personaggi femminili più belli e sfaccettati che si vedevano da tempo in un film francese», secondo Libération, e come nota lo Hollywood Reporter Triet ci ha aggiunto un suo marchio di fabbrica: mettere questo personaggio femminile «irrequieto e ingestibile in una situazione ancora più irrequieta e ingestibile». Ma il risultato non è angosciante o drammatico, perché vince il gusto per la gag e per le situazioni strambe eppure quotidiane, che mettono lo spettatore nella stessa posizione in cui si ritrova il pubblico in aula al processo al centro del film: a ridere guardando un dalmata ringhiare verso l’accusato, nella veste di testimone chiave.