Chi era Óscar Pérez
L'incredibile storia del più noto ribelle venezuelano – attore e poliziotto, tra le altre cose – ucciso una settimana fa a Caracas
Il corpo di Óscar Pérez, il più noto ribelle venezuelano ucciso la scorsa settimana durante un’operazione di polizia, è stato seppellito domenica in un cimitero di Caracas, la capitale del Venezuela. Negli ultimi mesi Pérez era diventato uno dei personaggi più chiacchierati e significativi della crisi politica venezuelana: ex pilota di aerei, ex poliziotto ed ex attore, si era fatto conoscere lo scorso giugno quando aveva lanciato alcune granate su due edifici di Caracas mentre era a bordo di un elicottero rubato. Era a capo di un gruppo di oppositori del regime di Nicólas Maduro, forse qualche decina di uomini, ma non si sa molto della sua organizzazione. Era considerato un po’ di tutto: un terrorista, un combattente per la libertà, una specie di Robin Hood, e anche un agente segreto doppiogiochista.
Chi fosse Óscar Pérez non è ancora chiaro oggi, ma qualcosa della sua storia si può ricostruire.
La prima volta che il nome di Pérez è finito sulle prime pagine dei giornali venezuelani e internazionali è stato il 27 giugno scorso, con un episodio da film. Pérez aveva rubato un elicottero della polizia e aveva lanciato delle granate sopra gli edifici del ministero degli Interni e della Corte suprema a Caracas, un tribunale considerato molto vicino al regime di Maduro. Poi aveva esposto uno striscione con la scritta “Libertà. Articolo 350”, in riferimento all’articolo della Costituzione venezuelana che garantisce il diritto di resistenza ai cittadini contro governi antidemocratici o che violino i diritti umani. Poche ore dopo era apparso una specie di video di rivendicazione, pubblicato dall’account Instagram di Pérez (che oggi non è più funzionante). Nel video Pérez diceva: «Siamo una coalizione di funzionari militari, civili e agenti di polizia» e definiva «criminale» il governo di Maduro.
Il lancio delle granate su Caracas era stato un episodio così bizzarro e imprevedibile che in molti lo avevano creduto una messinscena organizzata dallo stesso Maduro: si diceva che il presidente venezuelano avrebbe potuto usare la minaccia di un attacco al suo governo per rafforzare ancora di più il suo potere. Il governo, da parte sua, aveva legato Pérez alla CIA, un’accusa che in Venezuela viene usata spesso per screditare gli avversari politici. Si era parlato anche di colpo di stato e Pérez era diventato in pochissimo tempo l’uomo più ricercato del Venezuela. Non piaceva a tutta l’opposizione però: era malvisto per esempio perché si credeva che le sue azioni spettacolari e confusionarie non facessero altro che danneggiare il fronte anti-Maduro, ridicolizzandolo.
In effetti Pérez era un oppositore anomalo, diciamo così. Aveva quasi 40 anni e per quindici aveva lavorato come investigatore del CICPC, il Corpo della polizia venezuelana che si occupa di indagini scientifiche, penali e criminali. Era anche un agente altamente addestrato, che aveva fatto parte della Brigata di azioni speciali (BAE). Era molto attivo sui social network, in particolare su Instagram. Gli piaceva presentarsi come un uomo d’azione: si faceva fotografare con armi da fuoco ed elicotteri, oppure mentre praticava mosse di autodifesa o faceva immersioni. In un video pubblicato sul suo account Instagram, lo si vedeva che sparava a un bersaglio mentre era girato di schiena, prendendo la mira usando solo uno specchietto.
Pérez era anche un attore, più o meno: aveva recitato nel film Muerte Suspendida, uscito nel 2015, nel quale interpretava un ispettore di polizia di nome Efraín Robles che doveva soccorrere un uomo d’affari venezuelano e sottrarlo ai suoi rapitori. Aveva detto di avere deciso di partecipare al film dopo un’operazione di polizia in un quartiere povero di Caracas, durante la quale aveva incontrato un ragazzo che voleva unirsi a una gang criminale. Pérez non era riuscito a fargli cambiare idea, ma si era accorto di quanto il ragazzo fosse influenzato dalla televisione e dai film, e così decise di farne uno che mostrasse positivamente l’operato delle forze di sicurezza.
Oscar Pérez è il primo a sinistra dei quattro poliziotti mostrati al minuto 0:41
Non è chiaro nemmeno per quale motivo a un certo punto avesse deciso di lasciare la polizia e mettere in piedi un gruppo di ribelli anti-Maduro. Pérez aveva dato la sua versione della storia, che però non è mai stata verificata: aveva raccontato di avere assistito a diversi episodi di corruzione all’interno della polizia, per esempio riguardo a traffici di droga, e aveva anche accusato Néstor Reverol, ministro degli Interno e della Giustizia, di esserne coinvolto. Durante uno scambio di messaggi criptati con il New York Times, avvenuto nei giorni precedenti alla sua morte, Pérez aveva inoltre detto che la sua prima grande azione di dissenso, quella delle granate a Caracas, aveva seguito di una settimana l’uccisione del fratello da parte di alcuni criminali durante una rapina – uccisione per la quale Pérez incolpava il governo Maduro.
Nonostante le azioni dimostrative, i video postati sui social network e l’ampia notorietà raggiunta in Venezuela, Pérez non è mai riuscito a provocare danni seri al regime di Maduro. Il 30 luglio, un mese dopo l’attacco a Caracas, Maduro consolidò il suo potere, creando una specie di Parlamento a lui favorevole che sostituì quello uscito dalle elezioni del 2015, vinte dalle opposizioni: dispiegò i militari nelle strade delle principali città venezuelane, limitò parecchio la libertà di espressione e perseguì i suoi avversari politici. L’impressione che hanno avuto molti osservatori in questi ultimi mesi è che Pérez non sia mai stato una vera minaccia per il governo, anche per la mancanza di legami profondi e collaborativi con l’opposizione politica venezuelana.
Gli ultimi messaggi pubblici di Pérez risalgono alla notte tra domenica e lunedì della scorsa settimana. Il suo gruppo non si aspettava di essere trovato e attaccato dalle forze di sicurezza a Caracas: fino a quel momento era riuscito sempre ad anticipare le mosse del governo di Maduro, probabilmente servendosi di simpatizzanti della causa all’interno delle istituzioni. Quella notte però le forze venezuelane sono state più abili degli uomini di Pérez, circondandoli e cominciando a sparare. Gli ultimi video di Pérez su Instagram lo mostrano con il volto insanguinato mentre dice di volersi arrendere. In un video dice: «Che Dio possa essere con noi e che Gesù Cristo possa accompagnarmi. Derek, Santiago, Sebastian [i suoi figli, ndr], vi amo con tutto il mio cuore. Spero di vedervi di nuovo molto presto». Il governo venezuelano ha annunciato la sua morte poche ore dopo.