Com’è andato il primo giorno di shutdown negli Stati Uniti
Mentre Democratici e Repubblicani si danno la colpa della “chiusura” del governo, c'è una gran confusione su quali servizi pubblici riprenderanno lunedì
A partire dalla mezzanotte di sabato, quando in Italia erano le sei di domenica mattina, il governo degli Stati Uniti è entrato in “shutdown”, ha cioè smesso di finanziare tutti i servizi statali, che in piccola parte sono stati interrotti, ma che per la maggior parte continueranno a funzionare, alcuni a regime ridotto. Lo shutdown è la conseguenza del mancato accordo tra Democratici e Repubblicani al Senato su una legge che stabilisca le destinazioni del budget statale, dopo uno scontro sviluppatosi principalmente sul tema dell’immigrazione.
Sabato il Senato statunitense si è riunito per una sessione straordinaria a mezzogiorno, che in teoria doveva servire ad avviare nuove trattative per un compromesso sul budget, ma che in realtà ha probabilmente peggiorato le cose: i due partiti si sono infatti accusati vicendevolmente di aver provocato lo shutdown, litigando senza apparentemente portarsi avanti nel raggiungimento di un accordo. Mitch McConnell, leader della maggioranza Repubblicana al Senato, ha cominciato il suo discorso dicendo: «Bene, eccoci qui. Il primo giorno dello shutdown dei senatori Democratici. Abbiamo fatto di tutto per evitarlo». McConnel ha attaccato direttamente Chuck Schumer, leader della minoranza Democratica al Senato, che a sua volta ha accusato McConnell e soprattutto il presidente Donald Trump.
Ora la soluzione più percorribile, per i Repubblicani e i Democratici al Senato, è approvare un’estensione del budget che duri più di qualche giorno, come volevano i Democratici, e meno di un mese, come volevano i Repubblicani: in quel periodo sarebbero riattivati i finanziamenti ai servizi statali, guadagnando tempo per ulteriori trattative. McConnell ha proposto un’estensione di tre settimane, fino all’8 febbraio, ma per ora i Democratici non sembrano disposti ad accettarla. Una commissione bipartisan di senatori, chiamata “Coalizione del Buon Senso”, sta lavorando a un accordo da sottoporre a McConnell e Schumer. L’estensione, se fosse approvata da almeno 60 senatori, dovrebbe poi passare alla Camera.
Per capire come si è arrivati allo shutdown:
Cos’è già successo e cosa succederà
Nel primo giorno di shutdown non sono successi disastri, ma c’è un clima di grande incertezza tra le varie agenzie pubbliche, che stanno perlopiù decidendo autonomamente se provare a continuare a erogare i propri servizi o se chiudere: nella maggior parte dei casi è stata scelta la prima. I rallentamenti nei servizi pubblici comunque diventeranno più evidenti nei prossimi giorni, man mano che gli effetti dello shutdown saranno assorbiti: tre quinti dello staff di Trump alla Casa Bianca saranno congedati temporaneamente; il Dipartimento dell’Educazione lascerà a casa il 90 per cento dei suoi 3.934 dipendenti; al Pentagono invece continueranno a lavorare tutti i dipendenti militari e metà di quelli civili.
In molti hanno già criticato l’amministrazione Trump per la lentezza nel notificare alle varie agenzie le cose da fare, e per l’apparente mancanza di un piano per una situazione simile. Anche diverse agenzie governative non sono state pronte a istruire i propri dipendenti, creando confusioni e lentezze burocratiche, i cui effetti sono stati mitigati dal fatto che i primi due giorni di shutdown sono stati un weekend.
Le agenzie stanno dividendo i servizi nazionali in quelli essenziali e quelli non essenziali, lasciando a casa i dipendenti coinvolti nei secondi. Non è ancora chiaro cosa succederà concretamente: l’amministrazione Trump vuole provare a mantenere attivo il più possibile dei servizi, e molti dipendenti pubblici hanno ricevuto istruzioni per presentarsi al lavoro lunedì, facendo un orario molto ridotto. Normalmente negli shutdown chi lavora viene pagato, ma solo alla fine; chi viene congedato invece rischia di perdere lo stipendio nei giorni in cui rimane a casa.
L’esercito, l’FBI, la polizia di frontiera e di dogana, quello di sicurezza agli aeroporti, così come gli assegni dei sussidi sociali e per i veterani continueranno a funzionare. Ma altri servizi subiranno rallentamenti potenzialmente molto caotici: oltre metà degli 80mila dipendenti dell’IRS, l’ente che raccoglie le tasse, saranno congedati proprio mentre sta cominciando la stagione in cui si compilano le dichiarazioni dei redditi, e mentre si stanno ancora capendo e applicando i cambiamenti del nuovo sistema di tassazioni voluto dai Repubblicani. Servizi sanitari come il Centers for Disease Control, alle prese con una grave epidemia di influenza, hanno fatto sapere che proveranno a rimanere aperti con i fondi inutilizzati a disposizione. Lo stesso faranno altri servizi, come lo U.S. Patent and Trademark Office, che si occupa di brevetti.
A New York, la Statua della Libertà e Ellis Island sono rimaste chiuse, così come la Independence Hall di Philadelphia, dove fu firmata la Dichiarazione di Indipendenza. Ma molti musei sono rimasti aperti, come lo Smithsonian Institution: l’amministrazione Trump ha detto infatti di voler provare a tenere quanti più parchi e monumenti nazionali aperti, forse senza garantire servizi come la raccolta dell’immondizia e la pulizia dei bagni pubblici. È una dichiarata rottura con la strategia applicata nel 2013 dal presidente Barack Obama, che aveva invece ordinato la chiusura dei parchi, sfruttandola per fare pressione sui Repubblicani.
Ci saranno comunque anche danni più piccoli, ma che saranno malsopportati dagli americani: l’American Forces Network, un network televisivo per i soldati e i civili americani all’estero, ha per esempio interrotto le trasmissioni generando molte proteste, visto che sono in corso i playoff del campionato di football.