La vita segreta di Satoshi Nakamoto, inventore dei Bitcoin
Un estratto del libro di Andrew O'Hagan su Craig Wright, che rivendicò l'invenzione della più famosa criptovaluta al mondo
Si è tornato a parlare molto di Bitcoin e delle criptovalute in generale, dopo il grosso crollo di valore che hanno avuto tra lunedì e mercoledì: tranne alcune eccezioni hanno perso fino al 40 per cento e il totale del mercato delle criptovalute è passato da circa 700 a circa 440 miliardi di dollari. Capire come funzionano le criptovalute e perché sono rivoluzionarie non è semplicissimo e per aiutarvi potete rileggere gli “spiegoni” su Bitcoin e Ripple che abbiamo pubblicato sul Post. Conoscerne la storia è però affascinante, in particolare quella di Bitcoin e del suo leggendario fondatore, Satoshi Nakamoto: nessuno sa chi sia veramente e per anni riviste, giornali, fissati di informatica hanno cercato di scoprire la sua identità, tra rivelazioni, accuse e smentite.
Nel 2016 Craig Wright, un 45enne australiano che si occupava di sicurezza informatica, rivendicò di essere Satoshi mostrando email e documenti a sostegno e utilizzando davanti ai giornalisti dell’Economist e della BBC le chiavi crittografiche utilizzate soltanto da Satoshi. Poi cambiò idea e ritirò tutto. La sua storia, affascinante e paranoica, è stata racconta dal giornalista e scrittore scozzese Andrew O’Hagan in La vita segreta, uscito l’anno scorso e pubblicato in Italia da Adelphi; è particolarmente interessante perché O’Hagan aveva ricevuto da Craig stesso il compito di scrivere la sua biografia, ed è quindi pieno di aneddoti e impressioni di prima mano. Il libro raccoglie altre due storie contemporanee: quella di una personalità completamente inventata da O’Hagan impadronendosi dell’identità di un ragazzo morto, e quella di Julian Assange, che come Craig aveva chiesto a O’Hagan di scrivere un libro su di lui. Quello che segue è un estratto in cui O’Hagan descrive che tipo era Craig da giovane e da dove tirò fuori lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, e già si capisce perché i suoi collaboratori lo definivano «come Steve Jobs, solo peggio».
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«Sua madre mi raccontò che a volte a scuola veniva preso di mira. «Non fu facile per lui» disse «ma dopo un po’ lo mandai al Padua College» – una scuola privata cattolica di Brisbane – «dove primeggiò. Certo, era diverso. Si vestiva in maschera e aveva un’ossessione per la cultura giapponese. Aveva questi spadoni da samurai».
«Da ragazzo?».
«Vestito da samurai, con quelle strane scarpe di legno e tutto il resto. Faceva anche i rumori. Le sue sorelle si lamentavano perché le metteva in imbarazzo: “Siamo giù al parco coi nostri amici, e lui è là che gira coi piedi palmati”. Aveva un gruppetto di amici nerd, negli anni Ottanta: venivano a casa nostra coi loro occhiali con montatura di corno a giocare per ore a Dungeons & Dragons». Leggendo le idee di Wright sulla creazione, non potevo smettere di pensare al suo insegnante di karate e al ruolo che aveva giocato nella vita del ragazzo. Una sua osservazione estemporanea continuava a ronzarmi in testa. Ri- guardava l’affabulazione, e come un possibile significato del concetto di «libertà» potrebbe risiedere non soltanto nelle arti marziali, nella capacità di difendersi, ma nella capacità di creare se stessi. Mas «mi insegnò parecchia filosofia orientale e mi diede i mezzi per diventare me stesso» disse Wright. Un giorno Mas gli raccontò di Tominaga Nakamoto. «Era un mercante-filosofo giapponese. Ho letto traduzioni delle sue opere, roba della metà del Settecento». Settimane dopo, mentre bevevamo il tè nella cucina della casa che Wright aveva affittato a Londra, notai sulla scrivania un libro dal titolo Visioni della virtù nel Giappone dei Tokugawa. All’epoca mi ero già messo al lavoro ed ero ansioso di chiarire la questione del nome.
« Quindi è da lì che dicevi di aver preso il nome Nakamoto?» domandai. «Dall’iconoclasta del diciottesimo secolo che criticò tutte le credenze della sua epoca? ».
«Sì».
«E Satoshi invece? ».
«Significa “cenere” » rispose. « La filosofia di Nakamoto è la via di mezzo del commercio, la via neutrale. Il nostro sistema attuale deve essere dato alle fiamme e ricostruito. A questo serve la criptovaluta – è la fenice…».
« Quindi satoshi è la cenere da cui la fenice… ».
«Sì. E Ash1 è anche il nome di uno stupido personaggio dei Pokémon. Il ragazzo con Pikachu». Wright sorrise. «In Giappone Ash si chiama Satoshi».
«Dunque, in sostanza, hai chiamato l’inventore di bitcoin come l’amichetto di Pikachu?».
«Già. Questo farà incazzare un bel po’ di persone». Era una cosa che diceva spesso, come se far incazzare le persone fosse un’arte.
© 2017 Andrew O’Hagan
© 2017 Adelphi Edizioni s.p.a. Milano