Il calcio italiano e le “squadre riserve”
Nel calcio italiano non esistono, ma all'estero sono considerate utilissime: e ora se ne sta riparlando
«Tra le mie proposte c’è anche quella di costituire in tempi brevi le seconde squadre, o squadre B. In alcuni documenti federali l’ipotesi è già circolata». A dirlo è stato pochi giorni fa uno dei tre candidati alla presidenza della FIGC, Damiano Tommasi, ex calciatore della Roma e della Nazionale italiana, dal 2011 presidente dell’Associazione Italiana Calciatori. In breve, le squadre riserve sono squadre composte da giovani calciatori e riserve dei club professionistici, che competono in un torneo minore (come la Serie B o la Serie C) o in uno a loro dedicato.
L’idea dell’istituzione delle squadre riserve e della loro iscrizione ai campionati professionistici circola da tempo, anche negli ambienti dirigenziali, ma non c’è mai stata una vera e propria discussione in merito. L’unico a parlarne più o meno dettagliatamente fu un anno fa l’ex centrocampista del Milan Demetrio Albertini, candidato alle ultime elezioni della FIGC (quelle poi vinte da Carlo Tavecchio). Ora, con le elezioni federali in programma a fine mese, con un candidato che si è dichiarato favorevole e con l’urgente rinnovamento di cui ha bisogno il movimento calcistico italiano, sembra si stia avvicinando l’inizio delle prime vere discussioni approfondite sull’introduzione delle squadre riserve nella struttura del calcio italiano.
Cosa sono le squadre riserve
Le squadre riserve – o squadre B – esistono in quasi tutti i maggiori campionati di calcio esteri e sono largamente diffuse anche in quelli minori. Esistono tuttavia diversi modelli: quella che non cambia più di tanto è la loro composizione. Sono squadre che fanno parte dei grandi club e si posizionano tra le squadre Primavera (il livello giovanile più alto) e le prime squadre (quelle che competono in Serie A, per capirsi). Sono formate dai migliori giocatori cresciuti nelle giovanili del club e talvolta vengono completate con altre riserve, cioè giocatori già oltre una certa soglia di età (più di 21 o 23 anni) che non hanno spazio in prima squadra. Che siano Under-21, Under-23 o fuori quota, nelle squadre riserve i giocatori hanno l’opportunità di partecipare a campionati professionistici o di categoria che durano una stagione intera e danno loro l’opportunità di giocare con continuità in un contesto professionistico.
In questo modo i club continuano a lavorare con i loro calciatori più giovani, garantendogli strutture e allenatori di alto livello, senza “perderli di vista” mandandoli in prestito in altri club, come succede tuttora. E ne beneficiano tutti: i giovani perché continuano a giocare e a un livello più alto di quello dei tornei giovanili, i club perché in questo modo possono continuare a sviluppare “in casa” i loro giocatori, e anche i loro allenatori e preparatori.
I modelli diffusi in Europa
Ogni campionato europeo ha una storia e una struttura differente, e non esiste un unico modello di competizione fra le squadre riserve. Il più famoso, quello più discusso e studiato negli ultimi anni, per via dei successi di una squadra in particolare (il Barcellona, che ha saputo sfruttarlo al meglio) è quello spagnolo. In Spagna le squadre riserve devono giocare in una divisione inferiore a quella del loro club di appartenenza, cosa che di fatto preclude loro l’accesso alla prima divisione, la Liga. La denominazione può variare da società a società: le due più famose sono il Barcellona B e il Real Madrid Castilla. Le squadre sono composte perlopiù da giocatori provenienti dai settori giovanili, ma operano anche nel mercato, come Real Madrid Castilla e Barcellona B, acquistando giovani dall’estero per poi farli ambientare fra le riserve.
In Inghilterra, invece, il modello è parecchio differente da quello spagnolo ma anche da quello di molti altri paesi europei. Da sempre le squadre riserve dei club inglesi giocano un campionato a parte, fra di loro. Nel 2012 il modello è stato riformato e perfezionato ed è stata creata la Professional Development League, un campionato a tutti gli effetti composto da varie leghe, alcune delle quali stabilite su base locale. Il limite d’età imposto è 21 anni con al massimo tre giocatori fuori quota, portieri esclusi, che i club sfruttano per mandarci temporaneamente i giocatori della prima squadra da poco rientrati dagli infortuni. Recentemente, l’allenatore del Manchester City Pep Guardiola ha criticato la Professional Development League definendola poco competitiva e per questo inutile.
Gli altri modelli più noti sono simili a quello spagnolo, con alcune marcate differenze. In Francia le squadre riserve sono semiprofessionistiche, non hanno limiti di età e non vanno oltre il Campionato Francese Amatori, quindi dalla quarta divisione in giù. In Germania, invece, le squadre riserve sono professionistiche e non possono superare la terza divisione, quindi non competono per la promozione e “non fanno classifica”. Come in Francia, non ci sono limiti di età.
Funzionano?
Partendo dai campionati minori, si può dire che le squadre riserve siano fondamentali per la sopravvivenza stessa dei club. Nei campionati olandese, portoghese, serbo, croato e ceco, per esempio, il successo delle squadre è determinato dal funzionamento dei settore giovanili. In questi paesi un giocatore viene messo nelle condizioni per esprimere tutto il proprio potenziale, perché in ogni anno di età gli viene concessa l’opportunità di giocare sempre, nelle categorie più adatte, senza periodi di inattività. Nei cinque campionati in questione, nonostante il livello delle leghe non sia granché competitivo, ci sono club che dispongono dei più efficienti settori giovanili al mondo, i quali incidono notevolmente nei successi della prima squadra, costituiscono un vantaggio economico e determinano anche la qualità delle squadre Nazionali.
Nei campionati maggiori l’incidenza immediata nella gestione del club e delle prime squadre è meno evidente, ma il sistema delle squadre riserve è da tempo parte integrante dei movimenti calcistici nazionali. Nel corso degli anni, le squadre riserve si sono affermate come il miglior collegamento possibile tra i giovani e il professionismo, aumentando inoltre l’efficienza e la qualità dei settori giovanili, con benefici per tutti. Nella Spagna campione del mondo nel 2010, per esempio, su 23 convocati solo 3 non erano passati per le squadre riserve.
Come possono essere introdotte in Italia?
In tutti i campionati citati, le squadre riserve esistono da decenni. L’Italia è l’unico campionato che ne è ancora sprovvisto. Senza riserve, il collegamento tra settori giovanili e prime squadre è stato finora costituito in qualche modo dal sistema dei prestiti. In nessun altro campionato europeo si verificano così tanti trasferimenti interni come in Italia: nel 2015 dalla Serie A alla Serie C si sono mossi 1.411 giocatori in entrata e 9.44 giocatori in uscita. Nello stesso periodo, in Premier League se ne sono mossi 588 in entrata e 565 in uscita, nella Liga 424 e 382, in Bundesliga 327 e 261. Questo accade perché i trasferimenti in prestito sono da decenni il modo in cui i club italiani fanno crescere i giocatori usciti dalle giovanili: le squadre di Serie A li prestano alla squadra di bassa classifica in Serie A, o in Serie B e in Serie C; quelle di Serie B in Serie C o in Serie D e così via.
In fin dei conti, però, questo non può essere considerato un sistema vero e proprio, poiché non c’è abbastanza controllo sui giocatori. I club possono imporre un minimo di presenze stagionali, possono richiamare i giocatori prestati nel caso non fossero utilizzati, ma la gestione non è così diretta come lo è nel caso delle squadre riserve. I giovani dati in prestito, inoltre, possono ritrovarsi in club con problemi economici e societari – che in Italia sono molti – o nei peggiori casi mal gestiti.
Per il calcio italiano, il problema legato alle squadre riserve è rappresentato principalmente dalle modalità di introduzione. Introdurle dalla Serie B in giù, con il divieto di partecipare allo stesso campionato delle prime squadre, vorrebbe dire togliere posti alle piccole società – che probabilmente non accoglierebbero la proposta volentieri – e che alcune squadre riserve sarebbero di fatto escluse dalla classifica, perché senza possibilità di essere promosse. Un campionato riserve simile a quello inglese, invece, non modificherebbe in alcun modo la struttura del calcio italiano ma si sovrapporrebbe al già esistente Campionato Primavera, che peraltro consente l’utilizzo di fuori quota.
Un’alternativa ai modelli europei proposta recentemente da alcuni presidenti di Serie A è quella delle multiproprietà, ovvero l’esistenza di due o più squadre che hanno la stessa proprietà. Le norme federali vietano a una sola entità di possedere due squadre militanti nella stessa divisione, ma concede le partecipazioni in più società di categorie diverse. Quest’ultima norma è stata sfruttata dal presidente della Lazio Claudio Lotito, che è allo stesso tempo proprietario della Lazio in Serie A e co-proprietario della Salernitana in Serie B. Sotto il controllo di Lotito, la Lazio fornisce giocatori e staff alla Salernitana, che li utilizza principalmente per valorizzarli.
Ma questo modello è anche il più criticato, dato che oltre alle ragioni sportive, le multiproprietà tirano in ballo finalità imprenditoriali e amministrative. Inoltre, essendo costituite da club già esistenti, con una propria storia, una città e una tifoseria, le multiproprietà le renderebbero delle squadre secondarie, a cui il regolamento vieterebbe di disputare lo stesso campionato della squadra di riferimento.
Nelle sue dichiarazioni a favore delle squadre riserve, Tommasi ha parlato dell’ipotesi di iscriverle al campionato di Serie C in sostituzione dei club che non vengono ammessi (sono almeno una decina ogni estate). In ogni caso, per la richiesta di riforme al movimento e per il parere favorevole espresso negli anni dai dirigenti di Inter, Juventus e Udinese, le squadre riserve saranno un tema per chiunque verrà eletto a capo della FIGC. Un anno fa Albertini ne parlò con toni decisi, dicendo: «Chi blocca le seconde squadre non ha interesse per la crescita del calcio italiano e del mercato interno. Così come ora, la B e la Lega Pro sono solo il ripiego per gli esuberi. Senza dimenticare che le seconde squadre suscitano interesse e creano identità: ricordo l’entusiasmo per la Primavera del Torino nella Youth League; a Barcellona è uno dei cardini della elezione presidenziale, soprattutto ora che il Barcellona B è retrocesso in terza divisione. Sì, io sono favorevole al loro coinvolgimento nella classifica, ma su questo si può discutere».