Chi pagherà davvero Brexit in Europa?
Di solito si risponde Irlanda, Paesi Bassi e Germania, meno i paesi mediterranei: secondo un nuovo studio però la situazione potrebbe essere più complessa
Si parla spesso dell’impatto che avrà l’uscita dall’Unione Europea sull’economia del Regno Unito, ma non altrettanto di quello che succederà ai paesi che resteranno parte dell’Unione. Lo scorso dicembre l’Università di Rotterdam ha pubblicato uno studio in cui cerca di calcolare l’impatto che avrà Brexit sulle economie dell’Unione Europea. Secondo i ricercatori il paese a subire le maggiori conseguenze sarà l’Irlanda, l’unico a condividere una frontiera di terra con il Regno Unito. Al secondo posto ci sono i Paesi Bassi, il cui settore finanziario ha forti collegamenti con quello britannico. Al terzo posto c’è la Germania, che in Europa è il principale esportatore verso il Regno Unito. Anche Francia e Belgio sono piuttosto esposti, mentre i paesi mediterranei come l’Italia subiranno probabilmente poche conseguenze.
Percentuale del PIL di ciascun paese esposta all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea
Dentro l’Unione Europea, i sostenitori della linea dura nei confronti del Regno Unito hanno trovato questo studio molto rassicurante. Gran parte dei paesi europei ha poco da perdere con Brexit e quindi, si dice, non sarà difficile mantenere il fronte compatto che, nei primi mesi di negoziati, è riuscito quasi sempre a spuntare condizioni molto favorevoli. Ma questa settimana il sito Politico ha potuto visionare dei documenti riservati che mostrano un quadro più complesso e sfaccettato di quello dipinto dall’Università di Rotterdam. Lo studio è stato realizzato dal Comitato delle Regioni dell’Unione Europea e consiste nei risultati di un questionario spedito alle 350 comunità locali che formano il comitato. Lo studio mostra che in tutta Europa ci sono singole comunità che potrebbero essere particolarmente colpite dall’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, molto più dei paesi di cui fanno parte.
La Polonia, per esempio, è uno dei paesi potenzialmente meno influenzati da Brexit secondo i ricercatori dell’Università di Rotterdam: solo l’1,35 per cento del suo PIL è esposto all’uscita del Regno Unito dall’Unione. Ma nel questionario visionato da Politico, l’amministrazione della città di Lublino ricorda che buona parte delle sue esportazioni agroalimentari finiscono nel Regno Unito e possono essere messe a rischio se le trattative con il governo britannico dovessero incontrare degli ostacoli. Una preoccupazione simile è stata espressa anche dall’amministrazione di Murcia, in Spagna (un paese dove solo lo 0,77 per cento del PIL è esposto a Brexit, secondo lo studio dell’Università di Rotterdam). I funzionari spagnoli ricordano che il 75 per cento delle esportazioni agroalimentari e il 10 per cento di tutte le esportazioni della regione finiscono nel Regno Unito.
In Francia i rappresentanti della regione Hauts-de-France, nel nord del paese, hanno parlato di grosse preoccupazioni nel settore automobilistico, in particolare da parte di Toyota, che nella regione produce le automobili Yaris, il 13 per cento delle quali finisce nel Regno Unito. Altre comunità in Francia e nei Paesi Bassi sono preoccupate che l’uscita del Regno Unito porti a una chiusura delle acque britanniche alla pesca.
La circolazione dei cittadini preoccupa in particolare coloro che confinano con il Regno Unito o con territori da esso dipendenti, cioè l’Irlanda e la regione spagnola dell’Andalusia, che confina con Gibilterra. Migliaia di lavoratori spagnoli attraversano ogni giorno il confine e più della metà di loro rischia di essere colpita negativamente da Brexit. Sono preoccupati anche gli amministratori di regioni dove il turismo britannico è una risorsa molto importante, come le Baleari, in Spagna, le isole greche e Cipro. Infine alcune regioni della Slovacchia sono preoccupate dal possibile ritorno di migliaia di loro cittadini che attualmente risiedono nel Regno Unito. Prešov, una regione particolarmente povera nell’est del paese, teme che il ritorno dei residenti nel Regno Unito possa contribuire ad aumentare ulteriormente il livello di disoccupazione.
Secondo Politico, lo studio del Comitato delle regioni dell’Unione Europea mostra che nel campo europeo ci siano molte potenziali divisioni su come condurre la trattativa su Brexit. Fino a questo momento, la cosiddetta “fase uno” dei negoziati, i paesi europei sono stati compatti e hanno ottenuto quasi sempre quel che volevano dal Regno Unito. Tra poco però la discussione si sposterà nella “fase due”, quella in cui dovranno essere decisi – tra gli altri – i futuri legami commerciali tra Regno Unito ed Unione Europea. È qui, scrive Politico, che le divisioni potrebbero emergere. Anche se la maggior parte dei paesi europei sono, in generale, poco esposti a Brexit, e quindi potrebbero essere indotti a seguire la linea più dura nei negoziati, al loro interno esistono comunità che temono un’uscita brusca del Regno Unito dall’Unione. Queste comunità potrebbero esercitare pressioni sui loro governi e ottenere da loro un atteggiamento più conciliante. Rotta l’unità del blocco europeo, conclude Politico, potrebbe essere più facile per i negoziatori britannici spuntare condizioni più vantaggiose.