In Siria si combatte ancora, ma dove?
Nella provincia di Idlib soprattutto, ma non solo: breve guida di quello che succede nella guerra siriana, a quasi sette anni dal suo inizio
di Elena Zacchetti – @elenazacchetti
Da qualche giorno il regime siriano di Bashar al Assad e i suoi alleati hanno intensificato una grande operazione militare già in corso nella provincia occidentale di Idlib, controllata per lo più dal gruppo di miliziani erede della divisione siriana di al Qaida, Tahrir al Sham. La riconquista di Idlib, l’ultima grande area siriana ancora sotto il controllo dei ribelli, sembra essere l’obiettivo militare prioritario del regime di Assad per i prossimi mesi, ma non l’unico. Nonostante da settimane si parli della sconfitta dello Stato Islamico (o ISIS), la guerra in Siria, iniziata quasi sette anni fa, non è ancora finita: e non solo perché l’ISIS non è stato definitivamente eliminato, ma anche perché alcuni conflitti sono ancora in corso. Per esempio si sta combattendo a Idlib e a Deir Ezzor, nella Siria orientale, e ci sono scontri sporadici uniti a situazioni molto tese sia a nord che a sud del paese.
L’operazione militare più importante delle ultime settimane è stata quella contro i ribelli a Idlib. Il regime siriano e i suoi alleati – le milizie sciite legate all’Iran e alla Russia – stanno avanzando nella regione e dall’ottobre dello scorso anno ad oggi hanno ripreso il controllo di un centinaio di centri abitati sia a Idlib che ad Hama, poco più a sud. La battaglia non sarà breve ma le forze governative sono messe molto meglio dei ribelli, che hanno il grosso problema di non avere appoggi esterni significativi. Praticamente nessuno, infatti, vuole dare soldi o armi a Tahrir al Sham, considerato troppo vicino agli estremisti di al Qaida – nemmeno chi preferirebbe avere in Siria un regime diverso da Assad, come gli Stati Uniti.
Il giornalista Daniele Raineri ha scritto sul Foglio:
«HTS [Tahrir al Sham] è il frutto di un ragionamento sbagliato e perverso fatto dai rivoluzionari siriani nella prima fase della guerra civile tra il 2011 e il 2012 quando ancora erano la forza maggioritaria, che può essere riassunto così: sul breve termine ci conviene tenerci alleati questi uomini che si esaltano con l’ideologia di al Qaida perché combattono bene e perché se facessimo la guerra anche contro di loro perderemmo forze preziose mentre siamo impegnati contro l’esercito di Assad, poi sul lungo termine si vedrà. Quel “si vedrà sul lungo termine” costerà loro la guerra e a meno di imprevisti incredibili consegnerà la vittoria proprio al regime che volevano abbattere.»
Se la vittoria di Assad nella provincia di Idlib non sembra essere in discussione, è difficile dire cosa succederà poi. Circa la metà della popolazione che abita oggi in questa zona della Siria proviene da altre città o province che prima dell’arrivo delle forze di Assad erano controllate dai ribelli. Tutte le tregue locali degli ultimi anni tra governo di Assad e ribelli avevano incluso infatti la possibilità per i combattenti anti-regime di raggiungere la zona di Idlib a bordo di autobus verdi. Riconquistata Idlib, potrebbe non esserci più nessun posto dove spostare i ribelli e le loro famiglie, senza contare che la convivenza futura tra i sostenitori dei due schieramenti sarà presumibilmente molto difficile.
Un’altra implicazione di quello che sta succedendo a Idlib è che l’operazione militare delle forze di Assad ha provocato la reazione della Turchia, che due giorni fa ha chiesto ai russi e agli iraniani di fare pressione sul regime siriano per bloccare l’offensiva contro i ribelli. Fin dall’inizio della guerra in Siria, la Turchia ha appoggiato i ribelli con l’obiettivo di rovesciare il regime di Assad. Da un paio d’anni, però, la sua posizione è un po’ cambiata: il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha cominciato a occuparsi sempre di più dei curdi nel nord della Siria, collaborando anche con Iran e Russia e sacrificando in parte l’obiettivo di combattere Assad. Questo non significa però che i turchi abbiano cambiato schieramento: potremmo dire piuttosto che ne hanno creato un altro.
Proprio per il coinvolgimento della Turchia, quello che sta succedendo a Idlib non riguarda solo Idlib, ma potrebbe avere conseguenze anche in altre zone del nord della Siria.
Per prima cosa, vale la pena spendere due parole sui rapporti tra Turchia, Iran e Russia, che sono piuttosto intricati. La priorità della Turchia è evitare che a sud del suo confine, e quindi nel nord della Siria, si crei un forte stato curdo; un altro obiettivo, ma oggi secondario, è la caduta del regime di Assad. La priorità di Iran e Russia è la sopravvivenza di Assad, ma iraniani e russi non hanno lo stesso progetto futuro per la Siria: gli iraniani condividono le preoccupazioni turche sulla creazione di uno stato curdo (anche in Iran c’è una grande comunità di curdi che preoccupa il governo centrale), mentre i russi sono favorevoli a una Siria federale. D’altra parte, negli ultimi anni la Turchia di Erdoğan si è avvicinata molto alla Russia del presidente Vladimir Putin. Come si capisce bene da questo intreccio di alleanze e inimicizie, non esiste una situazione in cui ci sono solo due schieramenti, dove quando uno vince tutto, l’altro perde altrettanto. Esiste piuttosto un equilibrio precario che per il momento è stato più o meno in piedi, ma che non ha cancellato le tensioni e non ha risolto i dubbi sulla possibilità che inizino in futuro nuovi conflitti.
Per esempio di recente sono emerse nuove tensioni tra Russia e Turchia a causa di alcuni attacchi aerei misteriosi contro due basi militari russe in Siria. L’ultimo, tra il 5 e il 6 gennaio, è stato compiuto da alcuni droni guidati via GPS con un’autonomia di volo di un centinaio di chilometri. Secondo diversi esperti, gli attacchi sono arrivati probabilmente dalla zona di Idlib, compiuti da uno dei molti gruppi ribelli che ancora stanno combattendo contro il regime di Assad. La Russia, ha scritto Reuters, ha chiesto alla Turchia di rafforzare il suo controllo sui gruppi di Idlib, per evitare che in futuro vengano compiuti nuovi attacchi.
Un altro aspetto riguarda le tensioni tra curdi e regime siriano. Assad ha più volte detto che il suo obiettivo è riconquistare tutta la Siria, che però sembra difficile da realizzare: il 30 per cento del territorio siriano è sotto il controllo delle Forze democratiche siriane (SDF), una coalizione di arabi e curdi – ma soprattutto curdi – appoggiata dagli Stati Uniti e principale responsabile della sconfitta dello Stato Islamico in Siria. Al momento tra le forze di Assad e SDF non c’è un conflitto aperto, ma solo scontri sporadici di bassa intensità lungo la linea che divide i due schieramenti nel centro del paese. Non si sa però cosa potrebbe succedere in futuro, anche perché non è chiaro se e in che modo gli Stati Uniti continueranno ad appoggiare i curdi siriani, una scelta che dipenderà anche dai rapporti che gli americani vorranno continuare a tenere con la Turchia.
La competizione tra SDF e forze di Assad si sta vedendo anche nella Siria orientale, nella zona di Deir Ezzor, dove la guerra non si è mai fermata. Qui la situazione è particolare. A est del fiume Eufrate ci sono le SDF (quindi i curdi), che stanno ancora combattendo contro lo Stato Islamico al confine con l’Iraq, mentre a ovest ci sono le forze di Assad. L’analista Hassan Hassan ha scritto sul National che molti civili che abitavano nelle zone riconquistate da Assad se ne sono andati: un po’ per paura di essere chiamati nell’esercito, un po’ per il timore di ritorsioni, ma soprattutto a causa «della natura casuale delle violenze del regime». Anche qui le forze di Assad sono state costrette ad agire con il sostegno dei russi e degli iraniani, per fare più in fretta e per evitare che le SDF riconquistassero tutta l’area, prima sotto il controllo dello Stato Islamico. Il problema è che molti civili del posto, anche i sostenitori silenziosi del regime, non vedono per niente di buon occhio la presenza dell’Iran. Hassan ha scritto:
«Molti di quelli che prima delle battaglie di Deir Ezzor erano sospettosi o ostili alle SDF dominate dai curdi, sono poi arrivati a considerare le stesse SDF come una alternativa migliore al regime, una cosa che dice di più sul regime che sulle SDF.»
I combattimenti in Siria stanno andando avanti anche nel sud-ovest, vicino al confine con Israele, ma con intensità completamente diversa rispetto a quelli di Idlib. In questa zona della Siria la situazione è piuttosto complicata. Lungo la maggior parte dei 70 chilometri di confine israelo-siriano ci sono diversi gruppi di ribelli siriani che Israele usa come “zona cuscinetto” tra il suo territorio e quello controllato dalle forze di Assad alleate con l’Iran (Iran e Israele sono acerrimi nemici). Nella punta sud c’è inoltre un gruppo affiliato allo Stato Islamico che negli ultimi giorni si è scontrato con i ribelli.
In generale questo pezzo di Siria va tenuto d’occhio soprattutto per l’inimicizia tra Israele e Iran. Il governo israeliano finora non si è fatto troppo coinvolgere nella guerra in Siria, ma ha continuato a difendere i suoi interessi di sicurezza nazionale: facendo per esempio diversi attacchi mirati contro i convogli di Hezbollah, gruppo sciita libanese amico dell’Iran e nemico di Israele, o contro depositi di armi siriane. L’ultimo attacco, che ha colpito una base militare siriana vicino a Damasco, è stato compiuto nella notte tra lunedì e martedì scorso.
Secondo alcuni analisti, la guerra in Siria potrebbe finire nel corso del 2018 (anche se bisognerebbe mettersi d’accordo su cosa significhi “finire”). Se le forze di Assad dovessero riconquistare i territori ancora controllati dai ribelli, e se lo Stato Islamico venisse definitivamente cacciato, la situazione potrebbe in qualche modo congelarsi. Ci sono però due grandi incognite: i futuri rapporti tra curdi e regime siriano, da cui dipenderanno anche le relazioni tra diversi paesi coinvolti nel conflitto, e la precaria situazione al confine con Israele, dove al momento vige una specie di tregua tra ribelli e Assad che però potrebbe anche non durare. Poi, ad ogni modo, ci saranno da risolvere tutti gli altri problemi che la guerra in Siria ha creato negli ultimi sette anni: che sono tanti, e sono enormi.