Le proteste in Tunisia
Sono cominciate domenica in diverse città dopo l'introduzione di nuove misure di austerità e i conseguenti rincari
Da domenica in diverse città della Tunisia ci sono delle violente proteste per le nuove misure di austerità volute dal governo, che dal primo gennaio hanno aumentato le tasse su benzina, immobili, internet, generi alimentari e altri beni di largo consumo. Un uomo di 45 anni è morto: su Facebook è circolato un video che sembra mostrarlo mentre viene travolto dalla polizia, ma il ministro dell’Interno tunisino ha smentito questa versione, sostenendo che sia morto per un’insufficienza respiratoria. I risultati dell’autopsia non sono stati diffusi. Martedì c’erano 50 agenti di polizia feriti e 237 persone arrestate, ha detto il ministero dell’Interno.
In alcune città c’erano centinaia di persone a manifestare, e ci sono state barricate, negozi vandalizzati, lacrimogeni e scontri con la polizia. In altre, come Jebeniana e Sfax, le manifestazioni hanno coinvolto famiglie e bambini e sono state perlopiù pacifiche.
Le proteste si sono concentrate a Tunisi, la capitale del paese, e a Tebourba, una città poco lontana, ma ci sono state manifestazioni in una ventina di città, compresa Sidi Bouzid, la città dove nel gennaio del 2011 si diede fuoco il 26enne venditore ambulante Mohamed Bouazizi, per protestare contro le condizioni economiche nelle quali viveva. Il suicidio di Bouazizi fu il momento di svolta delle proteste che in pochi giorni portarono alla rimozione del presidente Zine al Abidine Ben Ali.
Quella tunisina è tuttora considerata l’unica delle cosiddette “primavere arabe” ad avere avuto un esito democratico, ma il paese in questi sette anni non ha risolto i suoi problemi democratici. Da allora si sono succeduti nove governi, l’ultimo dei quali un anno fa strinse un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per un prestito di quasi tre miliardi di dollari distribuiti in quattro anni, in cambio di riforme economiche.
Queste riforme sono entrate in vigore dal primo gennaio, e oltre ai rincari hanno previsto anche un taglio agli stipendi e alle nuove assunzioni nel settore pubblico, che da solo rappresenta la metà delle spese statali. I sindacati stanno chiedendo un aumento del salario minimo – che attualmente è più o meno di 130 euro al mese – e dei sussidi ai più poveri.
Il primo ministro Youssef Chahed ha detto che i tunisini «devono capire che la situazione è straordinaria e che il loro paese sta avendo difficoltà, ma crediamo che il 2018 sarà l’ultimo anno difficile». Ci si aspetta però che le manifestazioni continueranno, per via delle ricorrenze legate alla rivolta del 2011 che cadono in questi giorni e per le quali vengono organizzate ogni anno, anche in condizioni normali, delle proteste. Il leader del partito Fronte Popolare Hamma Hammami ha detto che c’è stato un incontro con gli altri partiti di opposizione, e che le proteste continueranno finché le nuove misure non saranno revocate.