In Belgio c’è uno “scandalo Sudan”
Un ministro è accusato di aver permesso il rimpatrio di migranti poi torturati dal regime, il suo partito di estrema destra minaccia di far cadere il governo
Il governo del Belgio sta traballando per via di uno scandalo politico che coinvolge un centinaio di migranti sudanesi che sono stati rimpatriati forzatamente nel loro paese, nonostante fosse pericoloso per la loro sicurezza. Al centro dello scandalo c’è il ministro per l’Asilo e l’Immigrazione Theo Francken, responsabile dell’accordo con il Sudan per i rimpatri, che appartiene al partito di estrema destra Alleanza Neo-Fiamminga (N-VA). L’N-VA ha minacciato il primo ministro Charles Michel di ritirare il sostegno al governo se Francken verrà rimosso, come chiedono le opposizioni e molte associazioni per i diritti umani. Michel ha già in realtà detto che le dimissioni di Francken sono da escludere.
I rimpatri sono avvenuti dopo che lo scorso settembre il Belgio annunciò un accordo con il Sudan per il rimpatrio di alcuni cittadini scelti da una commissione apposita sudanese. L’accordo fu da subito criticato, perché il Sudan non è un paese democratico: sul suo presidente Omar al Bashir, al potere da 28 anni, pende un mandato di cattura della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità per il suo ruolo nel genocidio del Darfur. Ma lo scorso 20 dicembre il quotidiano belga Het Laatste Nieuws ha pubblicato alcune testimonianze e informazioni raccolte dal Tahrir Institute for Middle East Policy, un’organizzazione che si occupa di Medio Oriente, secondo le quali alcuni dei cittadini sudanesi rimpatriati sarebbero stati arrestati e torturati al loro arrivo in Sudan.
Francken è stato accusato di aver permesso a una commissione governativa sudanese di scegliere quali cittadini rimpatriare, aiutando così un governo dittatoriale a perseguire i propri oppositori politici. Michel ha ordinato un’indagine al Commissariato Generale per i Rifugiati e gli Apolidi belga, in collaborazione con l’ONU e la Commissione europea, le cui conclusioni dovrebbero però essere pubblicate a fine mese. I rimpatri verso il Sudan nel frattempo sono stati sospesi.
Bart De Wever, leader di N-VA, ha detto che preferirebbe far cadere il governo piuttosto che permettere a Michel di rimuovere un ministro del suo partito. Michel ha detto lunedì in televisione che non cederà a quello che ha definito «un ricatto politico», ma in realtà ha già rassicurato che qualunque sia l’esito della commissione, le dimissioni di Francken sono fuori questione. Questo ha provocato dure critiche nelle opposizioni: Ahmed Laaouej, leader del Partito socialista belga, ha detto che «in Belgio non c’è più un primo ministro». Eric Van Rompuy dei Cristiano-Democratici e Fiamminghi, partito di governo, ha invece detto che Michel è diventato «il pupazzo dell’N-VA».
L’attuale governo belga fu formato nel 2014 dopo 138 giorni di trattative, ed è l’esito di un fragile accordo che portò per la prima volta all’esecutivo gli estremisti dell’N-VA. Fin da subito fu definito da qualcuno «un governo kamikaze»: il Mouvement Réformateur di Michel è l’unico partito francofono della coalizione, insieme a tre partiti fiamminghi.