I senzatetto americani spostati da una città all’altra
Da anni le città distribuiscono gratis migliaia di biglietti del bus per incentivarli a trasferirsi altrove: un'inchiesta del Guardian ha mostrato perché è un sistema problematico
Da circa trent’anni le principali città statunitensi adottano un sistema insolito per provare a risolvere, o comunque a migliorare, il problema delle persone senza una casa che vivono per le strade o nei centri di accoglienza: distribuiscono biglietti gratuiti del bus per incentivare queste persone a trasferirsi in un’altra città. Il sistema coinvolge migliaia di persone ogni anno e in certi casi ha aiutato i senzatetto a cambiare vita, in meglio. Ma presenta molti punti deboli e controversi, ed è accusato di essere un sistema che semplicemente sposta il problema da un punto all’altro degli Stati Uniti, con cui una città può delegare a un’altra l’onere di assistere i propri senzatetto, traendone concreti vantaggi economici. Il Guardian ha lavorato 18 mesi per realizzare la prima inchiesta completa sui ricollocamenti dei senzatetto americani, raccogliendo i dati su 34.240 viaggi e i loro esiti, e raccontando alcune delle storie dietro quei numeri.
Si pensa che la prima città ad aver adottato questa soluzione sia stata New York, nel 1987. Da allora se ne è parlato sporadicamente, per esempio nel 1996 quando la città di Atlanta fu accusata di avervi fatto un ricorso massiccio per togliere i senzatetto dalle sue strade in occasione delle Olimpiadi. Storie di ricollocamenti sono poi finite sulla stampa nazionale in quei casi in cui qualcosa è andato molto storto, ma in generale, scrive il Guardian, «c’è stata poca attenzione alla domanda se ricollocare i senzatetto abbia davvero senso». Un senso economico, dal punto di vista delle città, c’è di sicuro: a San Francisco si stima che un senzatetto costi all’amministrazione circa 80mila dollari all’anno, tra rifugi, mense e assistenza medica, mentre un biglietto del bus costa qualche decina di dollari, al massimo poche centinaia.
I senzatetto sono generalmente informati di questo programma dalle associazioni che si occupano della loro assistenza, oppure ne vengono a conoscenza tramite il passaparola. Per ottenere un biglietto, il senzatetto deve fornire il contatto di un parente o di un amico disposto ad accoglierlo nella città di destinazione, che viene quindi contattato dal rifugio che ha preso in carico il suo ricollocamento. Il senso dichiarato di questa strategia è offrire a chi vive per strada la possibilità di cominciare una nuova vita in un posto nuovo in cui ha dei contatti che lo possano aiutare e ospitare, in modo che smetta di vivere per strada. Ma le ricerche del Guardian hanno dimostrato che c’è una scarsissima – quando non nulla – attenzione agli esiti dei ricollocamenti, una volta che i senzatetto hanno lasciato la città di partenza.
San Francisco, per esempio, è una delle città con la più alta popolazione di senzatetto degli Stati Uniti, come può facilmente verificare chiunque cammini per le strade del suo centro. C’entra il grave problema dei prezzi degli affitti e delle case nella città, aumentati in modo spropositato con l’espansione delle industrie della Silicon Valley, ma è un fenomeno cominciato molto prima: per esempio quando era la città dove sbarcavano i soldati che tornavano dalla guerra in Corea e in Vietnam, e che in molti casi non se ne sono andati per mancanza di alternative. Questo contribuì a creare la prima, nutrita comunità di senzatetto, che poi si è mantenuta e ingrandita nel tempo ed è stata in un certo senso favorita da buone politiche di assistenza e dai rifugi (San Francisco è tra le città più progressiste del mondo).
Il Guardian ha spiegato che in molti casi non è riuscito a ottenere i dati sui ricollocamenti nelle città americane che ha consultato. Con San Francisco li ha però ottenuti: negli ultimi dodici anni la popolazione di senzatetto della città è cresciuta da 6.200 a 7.600, molto poco contando che in mezzo c’è stata la più grave crisi finanziaria degli ultimi ottant’anni e la seconda espansione del business della Silicon Valley, con i conseguenti rincari. Questo perché pochissime persone – nell’ordine di decine – sono state ricollocate da altre città a San Francisco, mentre oltre 10.500 hanno fatto il percorso inverso, lasciando la città per altre mete negli Stati Uniti grazie ai biglietti gratuiti. Se non ci fosse stato questo programma, l’attuale popolazione di senzatetto della città sarebbe intorno alle 18mila persone, più del doppio.
Spesso l’amministrazione cittadina si è vantata di aver ridotto drasticamente il numero di senzatetto: ma circa la metà delle 7.000 persone che secondo la città sono uscite dalla vita per le strade tra il 2013 e il 2016, scrive il Guardian, sono semplicemente state spostate. E nel periodo tra il 2010 e il 2015, soltanto tre senzatetto che erano stati ricollocati sono stati contattati nei mesi successivi, per verificarne le condizioni. Nel 2016 invece è stata contattata la maggior parte di loro, perché sono cambiate le persone a gestire il programma: ma non hanno comunque condiviso con il Guardian i dati sulle attuali condizioni di vita dei senzatetto ricollocati, giustificandosi con questioni di privacy.
Michelle Flynn, direttore di un rifugio per senzatetto che si occupa anche di ricollocamenti a Salt Lake City, nello Utah, ha spiegato al Guardian che è molto complicato contattare le persone una volta trasferite nelle nuove città: in quanto senzatetto sono difficili da rintracciare (anche se in teoria non dovrebbero più esserlo, senzatetto) e perché i dipendenti dei rifugi sono spesso pochi e troppo carichi di lavoro. Sforzarsi di contattare tutti vorrebbe dire spendere molti soldi del budget limitato a disposizione, vanificando i risparmi economici derivanti dall’alleggerimento del sistema di accoglienza cittadino con i ricollocamenti. Ma ci sono anche casi in cui i dati sono incoraggianti: dei 416 senzatetto ricollocati dalla città di Portland, in Oregon, il 70 per cento viveva ancora in una casa tre mesi dopo la partenza; per Santa Monica, in California, la percentuale era del 60 per cento dopo sei mesi.
Il Guardian ha parlato con Willie Romines, un ex pittore che viveva come senzatetto alle Florida Keys, le isole al sud della Florida, un posto caldo e tra i più turistici degli Stati Uniti. Romines dormiva in un rifugio e si trovava molto bene, quando un giorno cadde dalla bici rompendosi la caviglia. Accettò quindi un biglietto del bus gratuito per Ocala, sulla terraferma, dove sarebbe stato ospite a casa di un amico per qualche mese, in attesa di guarire. Dopo sei mesi tornò al suo rifugio, dove però gli dissero che accettando il biglietto era stato bandito a vita dal sistema di accoglienza, e avrebbe dovuto dormire per strada. Romines sostiene che questa condizione non gli era stata comunicata quando aveva accettato il biglietto.
Delle 16 città sulle quali ha fatto ricerche il Guardian, Key West era l’unica ad adottare questa politica. Non ci sono nemmeno i dati sulle destinazioni di arrivo delle circa 350 persone ricollocate dal 2014 a oggi. John Miller, che gestisce il rifugio dal quale è stato respinto Romines, ha ammesso che lui e i suoi colleghi sono stati «combattuti» nel prendere la decisione di bandire le persone ricollocate al loro ritorno, ma ha spiegato che serve a evitare che i senzatetto si approfittino del programma. Ha anche detto, però, che questa soluzione è servita a far finanziare il programma dai residenti di Key West, attratti dalla possibilità di mandare via i senzatetto.
Il Guardian ha scritto che circa la metà dei 34mila viaggi di senzatetto che ha analizzato partono da New York, città che dedica al programma di ricollocamento un budget di circa 500mila dollari all’anno. New York si differenzia dalle altre città anche perché trasferisce intere famiglie e utilizzando gli aerei nel 20 per cento dei casi, anche per destinazioni all’estero. La famiglia degli Ortizes è stata ricollocata a Porto Rico: il Guardian ha seguito la loro storia, riscontrando che qualche settimana dopo il ricollocamento il padre aveva ottenuto un colloquio di lavoro come guardia di sicurezza. Dopo l’uragano Maria, che lo scorso settembre potrebbe avere ucciso fino a 1000 persone, e che ne ha lasciate migliaia senza elettricità e acqua corrente, il Guardian non è più riuscito a contattare la famiglia.
Come spiega questo grafico del Guardian, la maggior parte dei senzatetto ricollocati viene trasferita in città mediamente più povere. Ci sono delle ragioni sensate, come le maggiori possibilità di trovare sistemazioni a prezzi economici, e il costo della vita più basso. E dipende anche dal fatto che i programmi sono attivi soprattutto in città con buone disponibilità economiche, che quindi possono sostenerli. Ma come ha spiegato Arnold Cohen, presidente e CEO della Partnership for the Homeless in New York, dato che chi è costretto a vivere per strada nella maggior parte dei casi proviene da quartieri poveri e degradati, spostarlo in comunità altrettanto povere, se non di più, non risolve il problema alla radice ma lo sposta soltanto geograficamente.
Dalle indagini del Guardian sono poi emerse anche delle mancanze nei controlli relativi ai precedenti penali delle persone ricollocate. In alcune città, non sono infatti abbastanza approfonditi: almeno cinque su cento dei senzatetto che hanno ricevuto biglietti gratuiti nella città di Salt Lake City avevano precedenti penali. Uno aveva due denunce per violenze domestiche, un altro per aggressione.
Il Guardian ha raccolto la storia di Tiffany Schiessl, una senzatetto di Fort Lauderdale, Florida, che aveva rischiato di morire per i suoi problemi di alcolismo: a soli 22 anni le fu diagnosticato un principio di cirrosi epatica e di pancreatite. Il suo medico le consigliò di ricorrere al programma di ricollocamento, e lei tornò da sua madre, che viveva in un’altra parte della Florida. Ora Schiessl sta guarendo, e sta cercando lavoro e pensando di andare a vivere da sola. Dice che il programma di ricollocamento le ha salvato la vita.
Non è detto, però, che per tutti i senzatetto tornare nelle proprie comunità di origine – dove è più probabile che abbiano parenti o amici a cui chiedere ospitalità – sia un bene. Bob Erlenbusch, attivista per i senzatetto di Sacramento, in California, ha detto al Guardian che la famiglia è spesso il motivo per cui una persona diventa senzatetto: per esempio nei casi di violenze domestiche, di discriminazione nei confronti di persone omosessuali o transgender, o di famiglie incapaci di gestire casi di dipendenze o di disturbi mentali. Il Guardian ha ottenuto i dati sui contatti forniti dai senzatetto che partecipano ai programmi di ricollocamento di tre città della Florida, Fort Lauderdale, Sarasota e West Palm Beach: mostrano che i genitori e i figli, i fratelli e i nonni, e in generale i parenti, rappresentano di gran lunga la maggioranza.