Autobiografia di una sopravvissuta
La storia di una donna che ha affrontato abusi sessuali, droghe e pornografia infantile, e della fotografa che l'ha aiutata a raccontarla
An autobiography of Miss Wish è una collaborazione tra Nina Berman, una fotografa documentarista americana, e Kimberly Stevens, una donna sopravvissuta allo sfruttamento sessuale e alla pornografia infantile che Berman incontrò 27 anni fa a Londra. Insieme hanno realizzato un libro, pubblicato da Kehrer Verlag, che è il racconto della vita di Stevens e allo stesso tempo del rapporto tra le due donne, con le fotografie di Berman e i reperti medici, i diari, i documenti e soprattutto con i disegni di Stevens, in cui descrive gli episodi di abusi e di crimini che ha vissuto.
Nel 1990 Berman si trovava a Londra per un lavoro sull’impatto delle politiche della prima ministra Margaret Thatcher e incontrò Stevens mentre fotografava i tossicodipendenti per strada. In un articolo sul blog di fotografia del New York Times, Berman ha spiegato che Stevens – che al tempo si faceva chiamare Cathy Wish – era incuriosita da lei e interessata a saperne di più sugli Stati Uniti, si lasciava fotografare e le faceva piacere chiacchierare. Le due rimasero in contatto e si ritrovarono una prima volta nel 1991, quando Stevens fece un viaggio a New York grazie alla vincita di un premio televisivo, e poi definitivamente tre anni dopo, quando Stevens si trasferì negli Stati Uniti su consiglio di un agente di Scotland Yard che le aveva dato anche un aiuto economico. Stevens era stata più volte perseguitata, rapita, stuprata e torturata da quando era bambina e venne introdotta nel giro dello sfruttamento sessuale, della pedopornografia e della droga. La fotografa ha spiegato: «Da quel momento sono stata sua amica, la persona che se ne prendeva cura e la sua personale documentarista».
Il lavoro di Berman, come spiega lei stessa, “documenta la fuga di Stevens, la sua lotta per sopravvivere e trovare la sua strada nonostante l’enorme paura, per farsi una vita nonostante i continui flashback, i traumi, la tossicodipendenza, e il suo affrontare, da donna nera, il sistema contemporaneo di istituzioni psichiatriche e criminali americane”. Stevens è stata per anni una senzatetto, una tossicodipendente e ha sofferto di malattie mentali e di una grave sindrome post-traumatica da stress a causa degli abusi sessuali, fisici ed emotivi subiti per anni durante l’infanzia. Anche dopo essersi trasferita a New York ha avuto problemi di salute legati all’HIV e al consumo costante di crack: nel 2007 è stata in carcere per qualche mese, al penitenziario di Rikers Island, dove ha tentato di suicidarsi due volte.
Oltre che con le fotografie, Berman racconta la storia di Stevens con reperti medici, diari, documenti, lettere e messaggi che si scambiarono tra loro, ma soprattutto con i disegni in cui Stevens descrive le scene di abusi e di criminalità che ha vissuto.
Berman ha spiegato che insieme hanno cercato di verificare tutti i ricordi riportati nel libro, tanto che Berman è persino tornata a Londra per provare a parlare con le persone coinvolte.
A parte alcune foto scattate a Londra, non ci sono immagini di Stevens mentre si droga, per scelta della stessa Berman: «Parlando con Kim sapevo del danno che le droghe le stavano facendo e della sua frustrazione per non essere riuscita a sfuggire a quella vita. Non avevo bisogno di prove visive per dimostrarlo o ricordarmelo». Allo stesso modo, dato il loro rapporto, non sarebbe riuscita a restare un osservatore passivo vedendola farsi del male: «Le immagini vogliono raccontare una storia di solitudine e amore, di dolore e resilienza, di amicizia, coraggio e volontà di vivere».
Nina Berman è un’affermata fotografa documentarista. È autrice di altri due libri: Purple Hearts – Back from Iraq, con ritratti e interviste a veterani americani feriti, e Homeland, sulla militarizzazione della vita americana dopo l’11 settembre. Fa parte dell’agenzia NOOR ed è stata premiata, tra gli altri, al World Press Photo e al Pictures of the Year International. Insegna alla Columbia University Graduate School of Journalism, dove dirige il programma di fotografia.