Il caso Boschi, spiegato bene
Per chi si fosse perso l'inizio della storia e i passaggi più importanti
Per capire come e perché si è arrivati alle notizie di questi giorni su Maria Elena Boschi e Banca Etruria bisogna partire dal 2015, quando il governo italiano – guidato all’epoca da Matteo Renzi – approvò il cosiddetto “salva banche“, un decreto con cui furono salvate dal fallimento quattro piccole banche locali da anni in grave difficoltà: Banca Marche, le Casse di Risparmio di Ferrara e di Chieti e Banca Etruria. Pochissimi sostengono seriamente che il governo avrebbe dovuto lasciare fallire quelle banche, danneggiando i correntisti e gli investitori, ma la storia comincia allora.
Una di queste banche, Banca Etruria, ha sede ad Arezzo; e Arezzo è la città di Maria Elena Boschi, allora ministra e oggi sottosegretaria alla presidenza del Consiglio. Inoltre dal 2011 al 2015 Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena Boschi, era stato membro del Consiglio d’amministrazione di Banca Etruria, e per otto mesi ne era stato anche vice-presidente. Boschi padre aveva ricevuto una multa da 144mila euro da parte di Banca d’Italia per aver violato una serie di norme sulle comunicazioni e sulla trasparenza dell’attività finanziaria della banca, e con il commissariamento era stato estromesso dal Cda della banca proprio dal governo Renzi di cui faceva parte sua figlia.
Qualcuno nell’opposizione cominciò a far notare che una banca salvata dal governo avesse tra i suoi dipendenti i parenti di una ministra così importante – anche il fratello di Maria Elena Boschi era un dipendente della banca – ma non c’erano elementi che facessero pensare a dei favoritismi da parte del governo nei confronti di Banca Etruria. Il governo aveva anche chiarito che la ministra Boschi non aveva partecipato alle riunioni in cui era stato deciso il salvataggio, e Boschi si era difesa in aula, nel novembre del 2015, in occasione della presentazione di una mozione di sfiducia voluta dal Movimento 5 Stelle (e poi respinta) spiegando che lei e la sua famiglia non avevano tratto guadagni o protezioni particolari grazie all’intervento del governo sulla banca.
Arriviamo allora al 2016. Il tribunale di Arezzo aveva dichiarato lo stato di insolvenza di Banca Etruria e la procura aveva iscritto nel registro degli indagati per bancarotta fraudolenta i 15 componenti dell’ultimo consiglio di amministrazione in carica dal 4 maggio 2014 all’11 febbraio 2015, prima del commissariamento: tra questi c’era anche Pier Luigi Boschi.
Le critiche verso Maria Elena Boschi e i sospetti nei suoi confronti si fanno più pressanti qualche mese dopo, all’inizio del 2017, quando Ferruccio De Bortoli pubblica un libro intitolato Poteri forti (o quasi). Secondo De Bortoli, che non ha citato le sue fonti, nel 2015 Boschi aveva chiesto all’allora amministratore di Unicredit, Federico Ghizzoni, di valutare la possibilità di acquistare Banca Etruria, che si trovava già in grosse difficoltà. Nel 2013 la Banca d’Italia aveva imposto a Banca Etruria di cercare un partner e l’unica offerta pervenuta era quella molto aggressiva di Banca Popolare di Vicenza, un altro istituto in grosse difficoltà economiche. Un’offerta più conciliante da parte di un’altra banca avrebbe forse concesso a Banca Etruria condizioni migliori, e un futuro più stabile viste le difficoltà della Banca Popolare di Vicenza.
La tesi sostenuta da De Bortoli era che Boschi fosse intervenuta impropriamente sollecitando altre banche perché presentassero offerte per Banca Etruria («un comportamento inusuale», aveva scritto). Boschi aveva negato categoricamente, minacciando di fare causa a De Bortoli. Ghizzoni non aveva fatto commenti, Unicredit aveva fatto sapere di non aver ricevuto particolari pressioni politiche e Renzi era intervenuto ipotizzando che De Bortoli avesse sviluppato una “ossessione personale” nei suoi confronti, che di riflesso colpiva anche le persone a lui vicine come Boschi e Marco Carrai.
Qualche giorno dopo De Bortoli aveva un po’ corretto il tiro: «Non ho parlato di pressioni della Boschi su Unicredit, semplicemente ho riferito una notizia. Credo che un politico debba preoccuparsi di quello che succede a una banca, ma un conto è farlo, un conto è fare pressioni indebite e io non ho parlato di pressioni». Pochi giorni dopo De Bortoli aveva aggiunto: «Non c’è nulla di male nel fatto che un politico si occupi e si interessi del destino della banca del territorio da cui proviene. Mi sarei stupito del contrario».
Alla fine, comunque, nessuna banca aveva acquisito Banca Etruria, che a novembre 2015 era stata posta in liquidazione coatta amministrativa insieme ad altre tre banche delle stesse dimensioni, su richiesta di Banca d’Italia, ed è stata poi rifondata e ricapitalizzata. La nuova banca è stata ceduta a UBI Banca.
Nel settembre del 2017 aveva cominciato a lavorare la Commissione bicamerale di indagine sulle banche, un organo del Parlamento incaricato di indagare sui fallimenti bancari degli ultimi anni con gli stessi poteri della magistratura, e con la possibilità, quindi, di convocare testimoni che durante le audizioni sarebbero stati obbligati a dire la verità. Pier Ferdinando Casini era stato eletto presidente della Commissione, che era ed è composta da 20 deputati e 20 senatori di tutti i gruppi parlamentari. La Commissione ha svolto decine di audizioni, alcune pubbliche, altre addirittura trasmesse in streaming, altre ancora secretate. Sono stati ascoltati tutti i magistrati che si sono occupati di vicende legate ai fallimenti bancari, come i pubblici ministeri di Vicenza, Treviso e Siena e sono stati ascoltati i dirigenti della vigilanza di Banca d’Italia, quelli di CONSOB (un organo amministrativo indipendente che ha il compito di vigilare su banche e mercati finanziari) e i rappresentanti delle associazioni di consumatori. Nonostante il fallimento di Banca Etruria fosse molto meno rilevante delle situazioni di MPS o della Banca Popolare di Vicenza, negli ultimi mesi in Commissione il caso Boschi è diventato sempre più centrale.
Si arriva così alle notizie degli ultimi giorni: a metà dicembre – e per la prima volta – sono emerse testimonianze dirette di un interessamento di Boschi per Banca Etruria. Durante un’audizione il presidente di CONSOB Giuseppe Vegas ha detto che nell’aprile del 2014 parlò in diverse occasioni del futuro di Banca Etruria con Maria Elena Boschi e che l’allora ministra gli disse di essere preoccupata per la possibile acquisizione da parte di Banca Popolare di Vicenza, una preoccupazione che condivideva con il padre e con gli altri membri del Cda della banca. Vegas ha in parte giustificato il comportamento di Boschi spiegando che «non c’è stata pressione ma solo l’esposizione di un fatto».
Nonostante Boschi non avesse mai detto di non essersi interessata al caso Banca Etruria, ma solo che lei e la sua famiglia non avevano ottenuto guadagni dall’intervento del governo sulla banca, le parole del presidente di CONSOB l’hanno comunque messa in una posizione politicamente difficile. A quel punto Boschi ha confermato gli incontri e le discussioni avute con Vegas, spiegandole come un normale interessamento ai fatti che coinvolgono il suo territorio e il collegio che l’ha eletta come deputata: ha ammesso anche di aver parlato delle sue preoccupazioni per l’acquisto di Etruria da parte della Popolare di Vicenza e ha ripetuto però di non aver esercitato sul presidente di CONSOB alcuna pressione e di non aver cercato di influenzarlo.
Il 15 dicembre Vincenzo Consoli, ex amministratore di Veneto Banca, ha riferito in commissione di un incontro dell’aprile 2014 a casa Boschi: oltre a Pier Luigi Boschi era presente anche l’allora ministra, che secondo la testimonianza di Consoli «rimase in silenzio». Il 28 dicembre il ministro dell’Economia Padoan ha detto di non aver mai autorizzato i ministri ad avere colloqui su Banca Etruria e il 19 dicembre Ignazio Visco, governatore di Banca d’Italia, ha testimoniato alla commissione che l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi gli chiese «del perché Vicenza volesse prendersi Arezzo (Banca Etruria, ndr)». In un incontro successivo Renzi chiese a Visco di parlare di alcune banche ma, ha detto sempre Visco, «gli risposi che di vigilanza parlo solo con il ministero del Tesoro». Visco ha anche parlato di Boschi dicendo che «non effettuò nessuna sollecitazione di alcuna natura in favore di Banca Etruria né chiese informazioni riservate».
Il 20 dicembre la commissione ha raccolto una nuova testimonianza significativa: quella di Federico Ghizzoni, ex presidente di Unicredit. Ghizzoni ha raccontato di alcuni contatti legati a Banca Etruria che ebbe con Boschi e con Marco Carrai, imprenditore e stretto collaboratore del segretario del PD Matteo Renzi, negando però che questi gli abbiano fatto delle «pressioni». Ghizzoni ha dunque confermato la versione di De Bortoli, dicendo che Boschi gli chiese se fosse «pensabile» acquistare Banca Etruria, ma ha aggiunto che «fu un colloquio cordiale, non avvertii pressioni da parte del ministro Boschi e ci lasciammo su queste basi». Ghizzoni ha anche raccontato che nel gennaio 2015 ricevette una mail da Marco Carrai in cui si leggeva: «Mi è stato chiesto su Etruria di sollecitarti per dare una risposta, nel rispetto dei ruoli». Ghizzoni ha raccontato di non sapere chi avesse chiesto a Carrai di contattarlo, e di non averlo chiesto.
Da qualche giorno le richieste di “un passo indietro” di Boschi si sono fatte più pressanti. Repubblica, in un editoriale firmato dal direttore Mario Calabresi, ha chiesto che la sottosegretaria non venga ricandidata. Lei e Renzi hanno però risposto nello stesso modo: saranno i cittadini a giudicare, alle prossime elezioni. Venerdì 22 dicembre c’è stata in Commissione l’audizione finale dell’ex premier Mario Monti, sulla crisi del debito sovrano tra il 2011 e il 2012, ora la Commissione dovrà scrivere una relazione conclusiva. Il Corriere della Sera dice che occorrerà almeno un mese di tempo.