Perché è fallito lo ius soli
La discussione in Senato non è nemmeno iniziata per la mancanza del numero legale: mancava tutto il M5S, tutta la destra e anche un pezzo del centrosinistra
Sabato 23 dicembre, nell’ultima seduta prima della pausa natalizia, è mancato il numero legale al Senato per la votazione dello ius soli, la legge che prevede di concedere la cittadinanza italiana alle persone nate in Italia o che sono arrivate qui molto presto, alla presenza di alcune condizioni. L’inizio della discussione della proposta è stato rimandato al 9 gennaio, ma le Camere saranno sciolte il 28 o il 29 dicembre per andare a elezioni il prossimo marzo. Quando lo ius soli tornerà in aula, la legislatura sarà quindi già finita e la legge non avrà la possibilità di essere approvata.
Qualche giorno fa la legge sullo ius soli era stata inserita nel calendario d’aula del Senato dopo l’approvazione della legge di bilancio: la scelta era stata criticata dalla sinistra che aveva parlato di “calendarizzazione finta”, prevedendo di fatto quanto poi è accaduto. Il governo aveva spiegato il motivo della calendarizzione tardiva dicendo che la proposta non aveva i numeri sufficienti per essere votata: sarebbe stato necessario chiedere la fiducia, che su questo provvedimento non sarebbe quasi sicuramente passata, e quindi bisognava votare prima la manovra finanziaria. Far votare la fiducia sullo ius soli prima della manovra avrebbe comportato un rischio troppo alto di mancata approvazione della legge di bilancio.
Sabato 23 dicembre, dopo l’approvazione della manovra, il Senato ha dunque come stabilito cominciato la discussione sullo ius soli con l’esame delle pregiudiziali di costituzionalità. Su richiesta del senatore della Lega Roberto Calderoli, il presidente Pietro Grasso ha verificato il numero legale dei presenti in aula: il numero legale non c’era ed è mancato per 33 senatori. Erano assenti tutti i 35 senatori del Movimento 5 Stelle (alcuni erano in realtà presenti in aula, ma hanno deciso di non rispondere), così come tutti i senatori di Gal, Ala, Alternativa Popolare e Lega, quasi tutta Forza Italia, 29 senatori del PD (su 89) e 3 (su 16) di Mdp. Erano dunque assenti non solo i rappresentanti dei partiti contrari alla legge, ma anche una buona parte di quelli favorevoli.
Da ieri le varie forze politiche si accusano a vicenda della responsabilità del fallimento della legge: la sinistra accusa il PD e il PD accusa il Movimento Cinque Stelle. Maria Cecilia Guerra, di Liberi e Uguali, ha detto: «Non è il fato né la fine della legislatura ad aver portato la legge sulla cittadinanza su un binario morto ma una scelta politica del PD, che l’ha tenuta inutilmente ferma in commissione per la paura di perdere consensi, prima nella campagna per il referendum istituzionale, poi nelle amministrative. Sempre sbandierando una volontà che non si è mai concretizzata in una vera assunzione di responsabilità. Da ultimo la farsa di una calendarizzazione dopo la legge di bilancio che, come avevamo previsto, non poteva portare a nulla». Luigi Manconi, del PD, ha invece criticato il M5S. «Sono stati loro, con opportunismo piccino, a far mancare il numero legale». Manconi ha anche annunciato la fine dello sciopero della fame, iniziato il 18 dicembre a sostegno del provvedimento, mentre i Radicali hanno chiesto a Sergio Mattarella di rinviare lo scioglimento delle Camere, proprio per dare tempo al Senato di discutere del provvedimento.
Nel frattempo Roberto Calderoli ha detto di essere molto soddisfatto: «Colpito e affondato. Morto e sepolto. Per me è una grande vittoria, perché sono stato io in questi due anni e mezzo, con le mie decine di migliaia di emendamenti, a bloccare in Commissione e poi in Aula questa assurda e inutile proposta di legge». In generale si sono detti soddisfatti tutti i partiti di destra.
Lo ius soli era stato approvato nel 2015 dalla Camera, dove il PD ha una larga maggioranza anche senza i voti di Alternativa Popolare, e da allora era rimasto bloccato al Senato. La legge avrebbe allargato i criteri per ottenere la cittadinanza italiana e avrebbe riguardato soprattutto i bambini nati in Italia da genitori stranieri o arrivati in Italia da piccoli: non era un vero e proprio ius soli, che prevede che chi nasce nel territorio di un certo stato ottenga automaticamente la cittadinanza, ma uno ius soli ad alcune condizioni: la prima prevedeva che un bambino nato in Italia diventasse automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trovava legalmente in Italia da almeno 5 anni. Se il genitore in possesso di permesso di soggiorno non proveniva dall’Unione Europea, doveva aderire ad altri tre parametri: avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, disporre di un alloggio che rispondesse ai requisiti di idoneità previsti dalla legge, superare un test di conoscenza della lingua italiana.
L’altra condizione per ottenere la cittadinanza era il cosiddetto ius culturae, e passava attraverso il sistema scolastico italiano. Avrebbero potuto chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che avessero frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma arrivati in Italia fra i 12 e i 18 anni avrebbero potuto ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.