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  • Giovedì 21 dicembre 2017

Emmanuel Macron ci ha messo poco

Foto di uno che oggi compie 40 anni, e ci ha messo solo qualche mese a fare quello che i più bravi di solito fanno in decenni

Emmanuel Macron ascolta la sindaca di Parigi Anne Hidalgo fare il suo discorso durante una cerimonia all'Hotel de Ville di Parigi, il 14 maggio 2017
(Charles Platiau/Pool Photo via AP)
Emmanuel Macron ascolta la sindaca di Parigi Anne Hidalgo fare il suo discorso durante una cerimonia all'Hotel de Ville di Parigi, il 14 maggio 2017 (Charles Platiau/Pool Photo via AP)

Emmanuel Macron nella sua vita si è candidato a una sola elezione politica, e l’ha vinta: era quella importantissima per diventare presidente della Francia, che normalmente nella vita di un politico francese arriva dopo moltissime altre, sempre che gli vadano tutte dritte, e dopo molti anni. Lui di anni ne ha, da oggi, soltanto 40, e per il mondo esiste soltanto da qualche mese. Ma anche in Francia il tempo passato da quando le persone non sapevano il suo nome a quando se lo sono ritrovati al Palazzo dell’Eliseo, lo scorso maggio, è nell’ordine di pochi anni: tre per qualcuno, meno per la maggior parte degli altri. Il consueto articolo del Post “sentirete parlare di” a lui dedicato risale soltanto a otto mesi prima della sua elezione. Ma tanto i francesi si sono innamorati velocemente di lui, tanto sembra che una parte si sia già scocciata: nei suoi primi mesi di governo è passato dal 60 per cento dei consensi al 35 per cento, secondo i sondaggi.

Macron non è un politico come gli altri, e alla carica più importante della Francia ci è arrivato alla guida di un partito che esisteva da poco più di un anno e che porta le sue iniziali, mettendosi contro Repubblicani, Socialisti e il Front National di Marine Le Pen. Ha approfittato di una tempesta perfetta, coi Repubblicani presi dagli scandali di Francois Fillon, con i Socialisti rovinati dalla disastrosa presidenza di Francois Hollande, e ritrovandosi al ballottaggio contro una candidata, Le Pen, tanto sovversiva quanto impopolare. Prima Macron era stato un poco conosciuto ministro dell’Economia, di quel disastroso governo socialista di Hollande, che aveva abbandonato per candidarsi dopo essere stato considerato a lungo proprio il pupillo di Hollande. Prima ancora aveva lavorato come banchiere per il gruppo Rothschild, stringendo legami con tutte le persone con cui valeva la pena farlo se si punta alla presidenza della Repubblica.

Emmanuel Carrere, tra i più apprezzati scrittori francesi contemporanei, ha passato qualche giorno con lui, di recente, e ne ha scritto un lungo articolo uscito sul Guardiantradotto in Italia da IL, il magazine del Sole 24 Ore. Carrere ha ipotizzato che il suo definirsi né di destra né di sinistra, solitamente ottimo segnale per identificare una persona di destra, significhi in realtà che è «di destra e di sinistra allo stesso tempo», trovando un gioco di parole con l’espressione più frequente e presa in giro nei discorsi di Macron: “en même temps”. Come il famigerato “ma anche” di Veltroni.

La cosa più importante che ha fatto in questi suoi primi mesi di governo è stata anche la più impopolare, e cioè la legge sul lavoro, la più grande riforma in questo settore mai tentata in Francia negli ultimi decenni, molto di destra per gli standard francesi. L’ha approvata a fine settembre, dopo grandi scioperi e proteste dei sindacati e delle organizzazioni di sinistra, e in sostanza rende molto più facili i licenziamenti, con l’obiettivo di semplificare anche le nuove assunzioni. La legge sul lavoro, unita a una serie di altri annunci e decisioni molto più di destra che di sinistra, hanno sorpreso e deluso quella parte di elettorato che lo aveva votato al posto del Partito Socialista. Non ci sono per ora segnali che voglia riconquistare quel consenso perso. Provando a indovinare quale sia il destino di Macron da presidente, Carrere ha scritto:

Ora che è al potere, penso: «Sarebbe bello che ce la facesse». Ma che cosa vorrebbe dire “farcela”? Che entra nella storia? Che trasforma la Francia? Che ne fa un Paese di start-up dove ognuno può essere imprenditore di se stesso, e la sola legge che conta è l’efficienza? E che dopo rifonda l’Europa — perché a un certo punto la Francia gli parrà troppo piccola per lui? Tutto ciò è possibile. O meglio: non impossibile. È anche possibile che impazzisca — c’è sempre questo rischio quando tanto potere ti piomba addosso così velocemente. O, semplicemente, è possibile che fallisca, che si unisca alla galleria di uomini politici ambiziosi che hanno cercato la terza via, sono caduti sul principio di realtà e hanno finito per governare come chiunque altro. Questa è la sua grande paura, credo, quella che gli fa dire: «Se non trasformerò radicalmente la Francia, sarà peggio di non aver fatto nulla».