Anche voi sentite il rumore di questa GIF?

Un tweet su un traliccio insegna molte cose su come percepiamo il mondo che abbiamo intorno, e lo sentiamo nella nostra testa

Lisa DeBruine è una ricercatrice dell’Istituto di Neuroscienze e Psicologia dell’Università di Glasgow (Regno Unito) ed è autrice di uno dei tweet più virali degli ultimi mesi. Lo scorso 3 dicembre DeBruine ha pubblicato su Twitter la GIF con l’animazione di un traliccio che gioca a saltare i cavi della corrente elettrica, sorretti da altri due tralicci, un po’ come si fa con il gioco del salto della corda. Nel tweet ha chiesto perché si riesca a sentire il rumore che fa il traliccio saltando, anche se la GIF è priva di effetti sonori. La sua domanda piuttosto scientifica, ma rivolta a chiunque, ha raccolto in pochi giorni più di un migliaio di risposte, oltre 28mila retweet e quasi 50mila “Mi piace”, a testimonianza di quanto sia comune sentire un effetto sonoro con la propria mente, anche se questo non esiste. Il tweet è stato ripreso da decine di testate in tutto il mondo, da quelle più frivole ai siti di giornali come il New York Times.

In un sondaggio su Twitter – da prendere molto con le molle perché non si basa sulla selezione di un campione come i normali sondaggi – circa il 70 per cento dei partecipanti ha detto di sentire nella propria testa il rumore di un tonfo sordo quando il traliccio fa un salto. Al sondaggio, organizzato sempre da DeBruine, hanno partecipato circa 315mila persone, un risultato notevole per questo tipo di iniziative sul social network. Per quanto non possa essere definito molto affidabile, il sondaggio conferma che per moltissime persone è normale immaginare istantaneamente un rumore, al punto da sentirselo in testa, quando si vedono particolari movimenti per i quali non c’è il sonoro. Altri hanno segnalato di averlo notato dopo che gli era stato chiesto e di non essere più riusciti a non sentirlo. Ma perché succede?

Il New York Times ha consultato Chris Plack, docente di audiologia presso il Centro di sordità e audiologia di Manchester (Regno Unito), che da tempo si occupa di riflessi acustici e del modo in cui il nostro cervello interpreta suoni e rumori. “Sentire” di per sé, ha spiegato Plack, non richiede necessariamente un rumore esterno: è piuttosto “avere l’esperienza di un suono”. Con lui concordano diversi altri ricercatori del settore come Elliot Freeman e Chris Fassnidge, che si occupano di neuroscienze presso l’Università di Londra. Si sono specializzati nella “risposta uditiva evocata dalla visione”, vEAR per gli amici (acronimo derivato da “Visual Evoked Auditori REsponse”, “ear” in inglese significa inoltre “orecchio”).

https://twitter.com/chrisfassnidge/status/939133452053557248

Una vEAR è una delle tante dimostrazioni del fatto che i nostri sensi non lavorano isolati uno dall’altro, ma collaborano per offrire dati e informazioni che poi il nostro cervello elabora per rendere interpretabile ciò che abbiamo intorno. Quando assaggiamo degli spaghetti fumanti al pomodoro, questi ci appaiono così invitanti e buoni non solo per il sapore, ma anche per il profumo che emanano e per il loro aspetto, a partire dal rosso del condimento. È la combinazione di tutti questi fattori e di altre variabili (quanto siamo affamati, per esempio) a far costruire al nostro cervello un’esperienza piacevole, della quale serberemo un ricordo al punto da poterla ricostruire quando vediamo un piatto di spaghetti in televisione o fotografato su Instagram.

Lo stesso principio vale nel rapporto tra visione e ascolto. Nel caso del traliccio, notiamo una cosa sorprendente (i tralicci di solito se ne stanno fermi, non saltano la corda) che colpisce la nostra immaginazione. Sappiamo che i tralicci sono ingombranti e pesanti, quindi istintivamente pensiamo che un affare di quella stazza faccia molto rumore a ogni rimbalzo, e finiamo per sentire il frastuono. Il fenomeno è dovuto a un intreccio di percezioni, ricordi e la nostra capacità di immaginare.

I ricercatori sono invece meno sicuri su quale sia il motivo per cui alcune persone non riescono a sentire dentro di loro il rumore del traliccio, e più in generale ad associare automaticamente rumori a particolari scene. Un’ipotesi è che alcune persone siano più predisposte di altre perché le loro aree del cervello deputate a vedere e sentire comunicano di più, e condividono un maggior numero di stimoli e informazioni. Alcuni test per rilevare l’attività cerebrale sembrano offrire conferme a questa ipotesi, ma le ricerche in questo campo sono ancora agli inizi e serviranno ulteriori conferme.

Alcune persone hanno capacità vEAR molto al di sopra della media, al punto da sentire nella loro testa un rumore anche quando vedono una luce intermittente o altre scene che sono in effetti silenziose, anche nella vita reale e non solo in una GIF. L’ipotesi in questo caso è che sia coinvolta la sinestesia, un fenomeno neurologico nel quale i sensi tendono a “contaminarsi” tra loro. Ci sono persone che per esempio associano immediatamente un suono che sentono a un colore, o parole a particolari sapori. È una condizione particolare, che può portare a qualche fraintendimento.

Freeman, per esempio, ha spiegato al New York Times di sentire buona parte delle cose che si muovono o emettono luce. Inizialmente chiedeva alle persone con lui se sentissero gli stessi rumori, ricevendo sguardi sorpresi che alla fine lo hanno spinto a non fare più pubblicamente domande di quel tipo. Anche per questo motivo Freeman si è appassionato agli studi su chi sente i rumori vedendo particolari immagini, cosa che gli ha consentito di venire in contatto con numerosi pazienti con forme più o meno marcate legate a vEAR. Tra questi c’è Lidell Simpson, una persona abbastanza conosciuta tra i ricercatori del settore: nonostante sia tecnicamente sordo, percepisce e “sente” rumori di ogni tipo legandoli non solo alla vista, ma anche al gusto e all’olfatto.

La GIF di DeBruine ha avuto così successo perché svela una capacità del cervello e della percezione posseduta da molti, ma sulla quale c’è poca consapevolezza. Il traliccio salterino l’ha in un certo senso resa più udibile, nella nostra testa.