In Polonia c’è un nuovo primo ministro
E potrebbe essere un bene per l'Europa, anche se chi comanda davvero è il capo del suo partito
Giovedì la prima ministra polacca Beata Szydło si è dimessa, nonostante avesse vinto facilmente una mozione di sfiducia presentata dall’opposizione. Subito dopo il voto il presidente del suo partito Jarosław Kaczyński – che ha un peso enorme ed è la persona più rilevante di tutta la politica nazionale, pur non avendo un incarico di governo – le aveva dato un bacio sulla guancia e un mazzo di fiori; otto ore dopo le ha chiesto di farsi da parte. È stato scelto come suo successore il ministro delle Finanze Mateusz Morawiecki; il Parlamento polacco si esprimerà sulla sua nomina la prossima settimana, probabilmente martedì, ma il partito – Diritto e Giustizia (PiS) – ha la maggioranza in entrambe le Camere e non avrà problemi a farla approvare. Jan Dziedziczak, vice ministro degli Esteri, ha informato l’agenzia di stampa polacca PAP sulla sorte di Szydło, che sarà probabilmente vice prima ministra; per gennaio si aspetta invece un grosso rimpasto di governo.
Morawiecki è un ex banchiere di 49 anni, parla correntemente inglese e tedesco ed è una persona meno granitica di Szydło, che invece ha presa soprattutto sulle fasce popolari: ha 54 anni, è la figlia di un minatore, è madre di un prete e incarna i valori patriottici e cattolici in un paese in cui il 90 per cento degli abitanti si definisce tale. Morawiecki invece è una persona più internazionale, non lontana dalle posizioni dei liberali e meno critica verso l’Unione Europea, contro cui Szydło si era invece scontrata molte volte. Allo stesso tempo però Morawiecki è vicino a Kaczyński, considerato il vero leader del paese nonché il responsabile delle politiche più restrittive ed euroscettiche degli ultimi anni, e in molti si chiedono se resterà sotto la sua influenza o se proverà una strada indipendente. Il suo compito sarà accompagnare il partito – che secondo i sondaggi è comunque al 40 per cento – verso le elezioni: quelle parlamentari del 2019 e quelle presidenziali del 2020.
La stampa internazionale ha già mostrato una fiduciosa curiosità verso Morawiecki; per esempio il sito della radio tedesca Deutsche Welle lo ha paragonato al presidente francese Emmanuel Macron, con cui avrebbe dei punti in comune sia nell’operato politico che nel carattere. La sua natura più centrista e meno ideologica è dimostrata dal ruolo che ebbe, dal 2010 al 2014, come consigliere economico dell’allora primo ministro Donald Tusk, un europeista e quindi considerato un nemico dai sostenitori più fedeli del PiS. Il paragone con Macron tradisce le aspettative sia sui rapporti con l’Unione Europea che sulla modernizzazione della stessa Polonia, su cui Morawiecki ha già dimostrato un certo impegno. Da ministro delle Finanze ha approvato un investimento di oltre 230 miliardi di euro – messi insieme da tasse, fondi europei e da istituzioni finanziarie internazionali – nell’innovazione tecnologica. Nonostante le sue convinzioni a favore del libero mercato, ha speso molti soldi pubblici per ridare vigore all’economia polacca, ottenendo buoni risultati: secondo gli esperti nel 2018 la Polonia crescerà del 4 per cento e il tasso di disoccupazione scenderà al 6,6 per cento. Allo stesso tempo Morawiecki ha investito nel welfare e ha messo tra le sue priorità la lotta all’evasione fiscale. Morawiecki potrebbe insomma riavvicinare la Polonia all’Europa, dopo l’allontanamento e le molte tensioni avvenute con Szydło.
Diritto e Giustizia è al potere dal 2015, anche grazie al sostegno della Chiesa cattolica. Da allora è riuscito ad approvare una legge restrittiva sui mezzi di informazione, proporre un divieto quasi totale sulle interruzioni di gravidanza (poi ritirato dopo enormi proteste di piazza), e appoggiare una riforma della Corte Costituzionale considerata così sbilanciata che la Commissione europea intervenne minacciando di togliere il diritto di voto ai politici polacchi in ambito europeo. La Polonia si è anche rifiutata di accettare la propria quota di richiedenti asilo nello schema approvato nel settembre 2015 dalla Commissione Europea, contestando la legittimità del sistema stesso di quote. Lo scorso gennaio il presidente polacco Andrzej Duda dovette mettere il veto alla riforma del sistema giudiziario portata avanti dal PiS dopo otto giorni consecutivi di proteste in piazza a cui parteciparono migliaia di persone. Le leggi, considerate incompatibili con il principio della separazione dei poteri su cui si basano le democrazie europee, permettevano al governo di “far andare in pensione” tutti e 83 i giudici della Corte Suprema del paese, a prescindere dalla loro età, e di sceglierne i sostituti, oltre a nominare molti dei funzionari incaricati di scegliere i giudici.