140 anni di Washington Post
Storia, foto e prime pagine di un giornale che cominciò occupandosi di cose locali per diventare un'istituzione con pochi eguali
Il 6 dicembre 1877, 140 anni fa, uscì in diecimila copie un nuovo giornale che si occupava dell’area di Washington, Washington DC: aveva quattro pagine e lo aveva fondato Stilson Hutchins, che era stato un parlamentare dello stato del Missouri per il Partito Democratico. Gli diede il nome di Washington Post, che da piccolo giornale locale pubblicato per diffondere la piattaforma del Partito Democratico diventò uno dei quotidiani più celebri, letti e rispettati del mondo. In 140 anni, il Washington Post ha pubblicato reportage e inchieste che lo hanno reso per certi versi il giornale per eccellenza, capace di costruirsi un fascino e una rilevanza con pochi eguali, e paragonabili solo forse a quelli del New York Times, più grande e potente.
Il Washington Post ha vinto in tutto 47 premi Pulitzer, i più famosi premi del giornalismo mondiale, che prendono il nome da Joseph Pulitzer, che scrisse sul giornale negli anni Ottanta dell’Ottocento, così come lo fece Theodore Roosevelt prima di diventare presidente. I primi decenni del Novecento furono particolarmente duri, e il giornale andò in bancarotta. Fu messo all’asta, e lo comprò per 825mila dollari l’ex presidente della Federal Reserve e finanziatore del Partito Repubblicano Eugene Meyer, che disse che la bancarotta del giornale era anche «mentale, morale e fisica», oltre che economica.
Meyer non era esperto di giornalismo, ma con le sue competenze economiche e il suo carisma imprenditoriale riuscì a rendere di nuovo il Washington Post un giornale in salute e rispettabile, basandone la linea editoriale sull’idea che dovesse «raccontare la verità, fino al punto in cui la verità può essere accertata». Nei primi dieci anni della sua gestione, il giornale triplicò la tiratura arrivando a 162mila copie: ma nel 1946 il presidente Harry Truman nominò Meyer presidente della International Bank for Reconstruction and Development, e lui lasciò il giornale in eredità a suo genero, Philip Graham.
Nei 65 anni della gestione dei Graham, il Washington Post diventò una potenza mondiale. Prima comprò tutti i suoi rivali in città, poi la rivista Newsweek. Sotto la gestione di Katharine Graham, tra le pochissime donne a essere state editori di quotidiani nazionali statunitensi, il giornale pubblicò le sue inchieste più conosciute. L’impostazione continuava a essere quella di un giornale locale, ma visto che la città in questione era Washington, dove avvenivano e avvengono tutte le cose più importanti della politica americana, il Washington Post entrò ben presto nel campionato dei più grossi quotidiani americani, dal New York Times al Wall Street Journal al Los Angeles Times, aiutato dalla sua prossimità alle fonti e alle vicende politiche.
Insieme a Katherine Graham, fu fondamentale la figura di Ben Bradlee, storico direttore dal 1961 al 1998: fu lui che riuscì a creare un giornale importante che andasse assai oltre il modello tradizionale di un quotidiano cittadino, e grazie al suo fascino e alla sua capacità per la leadership assunse e formò un gruppo di giornalisti di talento, diventando infine il più celebrato direttore di giornale del suo tempo.
La più grande storia della gestione di Bradlee, e di certo quella di maggiori conseguenze, fu il Watergate, uno scandalo politico generato dalle inchieste dei giornalisti del Washington Post Carl Bernstein e Bob Woodward che produsse le uniche dimissioni di un presidente nella storia degli Stati Uniti. Ma la sua decisione più importante, presa insieme a Graham, fu probabilmente la pubblicazione degli articoli basati sui Pentagon Papers, una storia segreta della guerra in Vietnam basata su documenti del Pentagono. L’amministrazione Nixon andò in tribunale per ottenere di poter bloccare quegli articoli, ma la Corte Suprema degli Stati Uniti avallò la decisione del New York Times e del Washington Post di pubblicarli.
Nel 2013, il Washington Post fu venduto dai Graham – nel frattempo arrivati alla quarta generazione di editori del giornale – a Jeff Bezos, CEO di Amazon, per 250 milioni di dollari. Fu una decisione inaspettata e di cui si discusse moltissimo, per le conseguenze del potenziale ed evidente conflitto di interessi di Bezos, proprietario di uno dei più importanti giornali del mondo e contemporaneamente di una delle più importanti società del mondo.
Il conflitto di interessi poi non ha prodotto risultati dannosi per il giornale, visto che il Washington Post ha continuato, e secondo alcuni addirittura aumentato, gli articoli critici su Amazon. Con la proprietà di Bezos è arrivato il rilancio del sito e una maggiore attenzione alla versione digitale, sulla quale è stato introdotto un paywall. Il Washington Post è stato poi per distacco il quotidiano più agguerrito nella copertura della campagna elettorale del 2016 e dei primi mesi della presidenza Trump, pubblicando settimanalmente inchieste e scoop, dal video in cui Trump si vantava di molestare le donne alle scoperte sui tentativi di interferenza della Russia. La qualità del metodo giornalistico impiegato è stata apprezzata da moltissimi esperti, e addirittura dal New York Times, che il Washington Post ha superato nel 2016 per accessi al sito. Per l’occasione, il giornale ha adottato un nuovo slogan: “Democracy Dies in Darkness”, “La democrazia muore nelle tenebre”.