E ora che succede in Zimbabwe?
Il nuovo presidente Emmerson Mnangagwa ha promesso democrazia dopo gli anni autoritari di Robert Mugabe, ma ci sono ragioni per dubitare delle sue intenzioni
Da venerdì scorso lo Zimbabwe ha un nuovo presidente: si chiama Emmerson Mnangagwa, ha 75 anni ed è conosciuto con il soprannome “coccodrillo”, che gli fu dato durante la guerra di liberazione nazionale grazie alla quale lo Zimbabwe ottenne l’indipendenza dalla Rhodesia, nel 1980. Mnangagwa ha preso il posto di Robert Mugabe, costretto alle dimissioni dopo 37 anni al potere e dopo una specie di colpo di stato non violento orchestrato dall’esercito.
Negli ultimi giorni migliaia di zimbabwesi hanno festeggiato per le strade di Harare, la capitale dello Zimbabwe, la nomina del nuovo presidente e la fine del regime repressivo e autoritario che era stato imposto loro per decenni; il quotidiano Standard, molto critico con Mugabe, ha sospeso per ora il suo giudizio su Mnangagwa, dicendo che valuterà il suo operato quando comincerà a governare; lo stesso Mnangagwa ha parlato dell’inizio di una «nuova e fiorente democrazia».
Nonostante le promesse e le speranze di cambiamento, Mnangagwa sembra tutto fuorché un politico di rottura con il passato repressivo dello Zimbabwe. Per decenni è stato uno dei più vicini collaboratori di Mugabe ed è stato accusato anche lui, come l’ex presidente, di violazioni sistematiche dei diritti umani e di corruzione. I problemi tra i due sono emersi solo di recente, e solo quando Mugabe aveva cominciato a sostenere la candidatura di sua moglie Grace come sua erede, di fatto liquidando le ambizioni politiche di Mnangagwa.
Mnangagwa si fece conoscere durante la guerra di liberazione nazionale, durante la quale passò 10 anni in prigione. Dopo l’indipendenza divenne uno degli esponenti più importanti dello Zanu-PF, il partito a cui apparteneva anche Mugabe, e ricoprì diversi incarichi di responsabilità: per esempio fu capo della sicurezza e dei servizi di intelligence del paese, prima di essere nominato vicepresidente. Uno degli episodi più controversi che lo riguardano risale agli anni Ottanta, quando era a capo dei servizi segreti: in quegli anni migliaia di civili – per lo più appartenenti all’etnia Ndebeles della regione occidentale di Matabeleland – furono massacrati dall’esercito dello Zimbabwe.
Mnangagwa fu anche accusato di avere avuto un ruolo nelle violenze degli ultimi anni contro le opposizioni zimbabwesi: per esempio della repressione durante la campagna elettorale del 2008, che fu così intensa da convincere il candidato del Movimento per il cambiamento democratico, partito di opposizione, a ritirarsi e a lasciare così campo libero a Mugabe. Dewa Mavhinga, analista sudafricana di Human Rights Watch, ha detto al Guardian: «È difficile pensare che in futuro [Mnangagwa] possa rispettare i diritti umani, vista la sua storia. Le persone potrebbero non vederlo o realizzarlo ora come ora, perché sono sollevate a vedere la fine dell’era politica di Mugabe, ma lo Zimbabwe è in grave pericolo in termini di democrazia costituzionale».
Una delle ipotesi che si fanno sulla presidenza di Mnangagwa riguarda i suoi legami con la Cina. Negli ultimi anni Mnangagwa ha cercato di rafforzare le relazioni economiche dello Zimbabwe con il governo cinese, che sta investendo moltissimo in diverse zone dell’Africa. Mnangagwa potrebbe volere applicare in Zimbabwe un modello simile a quello che il Partito comunista sta realizzando da anni in Cina, ovvero dare alcune relative libertà economiche unendole a una dura repressione del dissenso politico.
In uno dei primi atti della sua presidenza, inoltre, Mnangagwa ha nominato come ministri diversi militari e membri del partito Zanu-PF, lasciando fuori l’opposizione. La cosa che ha sollevato diverse polemiche. Mnangagwa ha detto comunque che la sua intenzione è quella di non rimandare le elezioni politiche che erano già state fissate per il 2018.