Cosa lascia Tavecchio al calcio italiano
Un articolo di Fulvio Paglialunga sull'Ultimo Uomo spiega concretamente i principali fallimenti dell'ultima presidenza della FIGC
Carlo Tavecchio ha lasciato la presidenza della FIGC più di una settimana fa in seguito alle reazioni causate dall’esclusione della Nazionale italiana dai Mondiali di calcio in Russia (i cui gironi verranno sorteggiati oggi). È stato presidente federale dall’11 agosto del 2014, quando venne eletto dopo un altro grande risultato negativo per il calcio italiano: l’eliminazione ai gironi della Nazionale dai Mondiali in Brasile. Già allora, fra richieste di dimissioni e rinnovamenti, si parlò soprattutto della necessità di riformare il calcio giovanile italiano, retto da un sistema vecchio e inefficiente. Lo disse anche lo stesso Tavecchio, che ne fece uno dei punti principali del suo programma: promise una grande riforma del calcio giovanile ispirata ai sistemi europei più efficienti, come quello tedesco.
«Ripartiamo dai giovani», nel calcio, è il «ridurremo le tasse» della politica. Si dice, si promette, ma non si fa. O comunque mai bene. Carne da campagna elettorale, un po’ di fumo e tanto “effetto annuncio” per grandi passi avanti che in realtà non lo sono.
In un articolo pubblicato oggi dall’Ultimo Uomo, il giornalista e autore televisivo Fulvio Paglialunga ha ripercorso le fasi del mandato di Tavecchio partendo dall’attuazione del suo progetto principale, cioè la creazione dei Centri di Formazione Federale: duecento strutture sparse per tutta Italia che avrebbero dovuto favorire la ricerca e lo sviluppo dei giovani più promettenti. Nonostante l’importanza data ai Centri Federali, in tre anni lo stato di avanzamento dei lavori è proseguito a rilento e l’intero progetto si è rivelato debole e poco strutturato se confrontato a quelli attuati con successo da molte altre federazioni europee.
Parliamo dei Centri Federali, ad esempio: uno dei vanti possibili della Figc di Tavecchio, il punto di forza su cui ha sempre puntato l’ex sindaco di Ponte Lambro per rilanciarsi quando l’immagine era appannata. «Stiamo facendo i Centri Federali», diceva con un’enfasi come se nessuno a parte lui stesse comprendendo la svolta epocale che annunciava. Lo ha detto da subito, già all’indomani del pessimo Mondiale in Brasile, quando si dimise Abete da presidente della Figc e cominciò la corsa al trono di capo della Federazione. E lo ha messo nel suo primo programma, come lancio: «I Centri di Formazione Federale, infrastrutture moderne, sicure e soprattutto efficienti, rappresentano la base di partenza – già realizzata dalla Lega Nazionale Dilettanti – che consentirà alla Figc di intervenire in maniera diretta e senza il perseguimento di interessi di parte affinché si realizzi una formazione e uno scouting ancora più approfondito di quello attuale».