Storia di Charles Manson
Fu una rockstar fallita, un piccolo criminale, il leader di una setta e uno dei più famosi assassini dell'ultimo secolo, prima di morire una settimana fa
di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca
Nella primavera del 1968 il batterista dei Beach Boys, Dennis Wilson, diede un passaggio a due autostoppiste, nella speranza di portarsene a letto almeno una. Le invitò a casa sua e, quando arrivarono, scoprì che era stato fortunato: entrambe erano più che disposte a fare sesso con lui. Poi i tre si salutarono e promisero di rivedersi. Quando il giorno dopo Wilson tornò a casa dopo una sessione di registrazione notturna, scoprì che le due autostoppiste erano tornate, ma questa volta non erano sole. In giro per la villa c’era almeno una mezza dozzina di ragazze intente a ballare e a fumare marijuana. Parecchie di loro indossavano solo le mutande. Con loro c’era anche un uomo, un tipo basso, vestito da hippie, con capelli lunghi e scarmigliati e un paio di occhi scuri molto espressivi. Quando Wilson vide lo sconosciuto venirgli incontro si spaventò e gli chiese se voleva fargli del male. «Sembro il tipo che vuole farti del male?», rispose l’uomo e, come a sottolineare il concetto, si inginocchiò e gli baciò i piedi.
Quel pomeriggio Wilson scoprì che quel tipo eccentrico aveva un potere quasi assoluto sulle ragazze: eseguivano ogni suo ordine e, a comando, erano pronte a spogliarsi e ad andare a letto con Wilson, anche in due o tre alla volta. Quello strano tipo, che le ragazze chiamavano “Charlie”, era anche una specie di filosofo, un guru e un cantautore in cerca di un contratto discografico. Wilson ospitò lo strano gruppo per tutta l’estate. Pagò le loro spese, prestò loro le sue automobili di lusso e cercò in tutti modi di aiutare “Charlie” ad ottenere un contratto discografico. Wilson non aveva idea che quello che stava ospitando era Charles Manson, leader di un culto paranoide che avrebbe compiuto più di dieci omicidi nei due anni successivi. Manson, uno dei criminali più famosi degli ultimi cento anni, è morto la settimana scorsa a 83 anni, senza mai pentirsi degli assassinii che aveva ordinato di commettere.
Chi era Charles Manson?
Nel suo monumentale libro su Charles Manson, La vita e il tempo di Charles Manson, il giornalista Jeff Guinn ha scritto: «I moderni esperti di psicologia infantile, di sistemi carcerari e della storia delle prigioni giovanili americane, concordano nel dire che il percorso criminale di Charles Manson era virtualmente garantito viste le terribili esperienze che visse nella sua giovinezza». Quando fu rilasciato per l’ultima volta, nel marzo del 1967, all’età di 32 anni, aveva trascorso in carcere o in riformatorio due terzi della sua vita. Manson era figlio di una ragazza madre, Kathleen Maddox, messa incinta a 16 anni da un piccolo truffatore locale che aveva fatto perdere le sue tracce non appena aveva scoperto che sarebbe diventato padre. Kathleen partorì il 12 novembre del 1934 a Cincinnati, in Ohio; se i suoi genitori speravano che la maternità le avrebbe fatto mettere la testa a posto, si sbagliavano. Kathleen continuò a condurre una vita erratica, fatta di relazioni occasionali con piccoli criminali, lavori saltuari e furti (Manson raccontò che sua madre lavorò a lungo come prostituta).
Manson fu lasciato a sé stesso per molto tempo, affidato alle cure di parenti e di amici. Tutti lo consideravano un bambino problematico. Mentiva costantemente, anche di fronte all’evidenza, e cadeva spesso in uno stato di rabbia cieca che a volte riusciva a spaventare anche gli adulti. Molto presto iniziò a compiere piccoli furti insieme ad alcuni ragazzi più grandi, ma non era bravo a sfuggire alla legge. A 13 anni fu arrestato e mandato in riformatorio. Una volta uscito di prigione, Manson raccontò che il carcere era stata la sua scuola e, in un certo senso, aveva ragione. Manson era più piccolo e debole della media degli altri ragazzi (passato nelle prigioni vere e proprie, avrebbe continuato a essere uno dei carcerati più gracili). All’inizio dovette spesso subire le angherie dei ragazzi più forti; fu stuprato più volte. Ma imparò anche a restituire qualche colpo. La cosa che gli veniva meglio era “fare il pazzo”, come diceva lui stesso, cioè comportarsi improvvisamente in maniera così imprevedibile e insensata da spaventare anche ragazzi più grossi di lui. Una volta i guardiani del riformatorio lo scoprirono mentre stava violentando un altro ragazzo tenendogli una lama di rasoio puntata al collo.
Le carceri per adulti dove trascorse quasi dieci anni furono probabilmente ancora più importanti nella sua formazione. Nel penitenziario di minima sicurezza di Terminal Island, in California, imparò le tecniche di manipolazione di un popolare venditore, diventato autore di libri per il successo personale, che venivano insegnate come parte di un programma di reinserimento dei detenuti. In quello di McNeil Island, nello stato di Washington, conobbe Scientology, la setta fondata dallo scrittore di fantascienza Ron Hubbard, e da alcuni suoi seguaci imparò le tecniche di “lavaggio del cervello” usate dell’organizzazione. Una volta libero, Manson aveva l’intenzione di diventare un “protettore” e sfruttatore di prostitute e così mise insieme tutte le tecniche imparate con i consigli di alcuni compagni di cella che gli spiegavano come “tenere a bada” le ragazze.
Nel suo libro, Guinn ha scritto che se Manson fosse stato rilasciato in un qualunque altro luogo o momento storico, probabilmente sarebbe divenuto un piccolo criminale comune o forse sarebbe riuscito a reintegrarsi in qualche modo nella società. Manson però finì di scontare la sua pena nella primavera del 1967 nel carcere di Terminal Island. Il pullman della prigione lo lasciò a San Francisco: esattamente il luogo e il momento in cui dopo poco sarebbe cominciata quella che da allora è passata alla storia come la “Summer of love”, l’estate dell’amore, un avvenimento che avrebbe avuto una pesante influenza sui crimini di Manson.
L’estate dell’amore
La storia di Charles Manson si intreccia strettamente con quella del movimento hippie, al punto che, secondo alcuni storici, i suoi omicidi contribuirono alla fine del movimento e alla svolta conservatrice che prese la società americana nel corso degli anni Settanta. Il movimento hippie nacque a San Francisco, la città dei poeti e scrittori “Beat”, quelli che avevano segnato il primo momento di ribellione giovanile americano nel corso degli anni Cinquanta. “Hippie” era un termine dispregiativo con cui i Beat, che si facevano chiamare anche “hipster”, definivano i nuovi arrivati in città in cerca dell’ispirazione che aveva alimentato scrittori e poeti della generazione precedente, come Jack Kerouac e Allen Ginsberg.
Agli “hippie”, che arrivarono nel quartiere di Haight nel corso degli anni Sessanta, piacevano la pace, le droghe e l’amore libero. Non credevano nella proprietà privata e pensavano che tutti i beni materiali dovessero essere messi in comune. Nella primavera del 1967 circa 20 mila persone vivevano ad Haight, diventato nel frattempo una sorta di enorme comune dove si ascoltava musica alternativa, si consumava una nuova droga allucinogena, l’LSD, e si mangiava tutti insieme in grandi tavolate disposte per le strade del quartiere. Un grande concerto organizzato dagli hippie nella primavera di quell’anno ebbe un successo al di là di ogni aspettativa. Più di 50 mila persone parteciparono, mentre giornali, radio e televisioni diffusero in tutti il paese l’immagine di Haight come di un luogo fiabesco, senza le costrizioni della moderna società, dove i giovani insoddisfatti potevano trovare libertà, musica, droga e sesso facile. Quando con l’inizio dell’estate le scuole chiusero, decine di migliaia di ragazzi abbandonarono le loro famiglie per scappare dagli hippie di San Francisco. Alla fine dell’anno, più di 75 mila persone erano arrivate ad Haight.
Charles Manson era un predatore manipolativo e l’estate dell’amore gli fornì più prede di quante avrebbe potuto immaginare nel più sfrenato dei suoi sogni. Le strade erano letteralmente piene di ragazzi, spesso minorenni, completamente sperduti, fuggiti dalla famiglia e molte volte senza un soldo. La gente era così tanta – compresi i turisti con macchine fotografiche – che le automobili smisero di circolare nel quartiere. A ogni angolo si poteva trovare un guru, un predicatore o una qualche altra forma di aspirante profeta che cercava nuovi seguaci, propagandando la sua personale filosofia mistica o religiosa. Manson era uno di loro e, probabilmente, uno dei più bravi. I suoi bersagli preferiti erano le ragazze (“Cercale in difficoltà, ma non completamente sbroccate”, gli aveva consigliato uno dei suoi amici papponi). Era abilissimo a capire rapidamente chi era abbastanza debole da poter essere trasformato in un seguace leale.
Manson in genere avvicinava le ragazze dicendo di essere un musicista in attesa di un ricco contratto (c’erano migliaia di aspiranti rockstar a San Francisco). Poi esponeva loro la sua filosofia: un guazzabuglio di mistica orientale sull’annullamento del sé, di riferimenti biblici imparati dalla nonna molto religiosa e di altre idee bizzarre prese a prestito da Scientology. Non erano però i contenuti della sua filosofia a essere convincenti. Manson diceva alle ragazze che erano belle e speciali e che tutte le loro insicurezze derivavano dalla società e dall’influenza dei loro genitori. Facendo leva sui loro conflitti e sulle loro debolezze, Manson riusciva a sedurle in poche ore. Molto presto si arrivava al sesso. Inizialmente Manson faceva credere loro di aver trovato un partner stabile, ma presto le ragazze scoprivano che “Charlie”, come si faceva chiamare, aveva una specie di harem a sua disposizione. Manson a quel punto spiegava loro che l’amore non poteva essere che libero e che essere gelosi e possessivi era un atteggiamento sbagliato, imposto da una società ingiusta. Le ragazze più deboli e quelle meno intelligenti cadevano nel suo tranello: la sicurezza che dava loro Charlie, e che nessuno aveva mai dato loro, sembrava abbastanza importante da tollerare la presenza di qualche altra ragazza.
Reclutare uomini era molto più difficile, ma non impossibile. Le ragazze erano fondamentali per farlo. Manson ordinava alle più appariscenti tra loro di andare in giro a individuare potenziali nuove reclute: ragazzi con qualche soldo, oppure con abilità che avrebbero potuto essergli utili (Manson cercava in particolare meccanici: il vecchio autobus con cui portava in giro la sua banda continuava a rompersi). Una volta trovata la potenziale recluta, Manson ordinava alle ragazze di andarci a letto, anche due o tre per volta. In molti si godettero il sesso e le droghe che Manson offriva per poi andarsene, ridendo della sua filosofia. Altri invece, i più deboli e vulnerabili, rimasero.
La famiglia Manson
Il tema centrale della confusa filosofia di Manson era che lui e i suoi seguaci erano una vera famiglia di eguali, non come le famiglie repressive formate da genitori biologici e che finivano con l’inibire i sentimenti dei propri figli. La vera libertà, diceva Manson ai suoi seguaci, si poteva raggiungere soltanto con l’annullamento della propria identità all’interno di una vera famiglia, come la Famiglia Manson. Ovviamente erano tutte bugie: Manson era il capo indiscusso del gruppo, ogni suo desiderio doveva essere obbedito mentre errori e disubbidienza venivano puniti, a volte umiliando il responsabile di fronte a tutta la famiglia, a volte con la violenza. Quello che i componenti della Famiglia non sapevano era che per Manson i suoi accoliti erano poco più di uno strumento. Gli servivano a procurarsi da vivere senza lavorare (le ragazze andavano ogni giorno a frugare nell’immondizia per procurare pasti al resto della Famiglia) e per irretire potenziali contatti con cui portare avanti il suo vero sogno: diventare una rockstar. In prigione, Manson era rimasto molto impressionato dal successo dei Beatles, la band più famosa al mondo. Aveva imparato a suonare la chitarra e iniziato a comporre canzoni. Ai suoi compagni di cella disse che una volta fuori sarebbe divenuto persino più famoso di loro.
Nell’autunno del 1967, Manson disse alla Famiglia che si sarebbero tutti trasferiti a Los Angeles, dove un suo amico produttore gli avrebbe procurato un contratto discografico. A quel punto Manson sarebbe divenuto una rockstar e con la sua musica avrebbe diffuso in tutto il mondo la sua filosofia. Dopo aver girovagato un po’, la Famiglia si stabilì in un vecchio ranch fuori città che era stato usato in passato come set per film western. Lì la Famiglia conduceva una vita routinaria. Di mattina le donne – che nella filosofia di Manson dovevano essere del tutto sottomesse agli uomini – facevano piccoli lavori per il ranch e andavano in città a chiedere l’elemosina o a frugare nei cassonetti. Il pomeriggio Manson coordinava delle sessioni di LSD, che spesso finivano in orge di gruppo. In queste sessioni Manson diventava particolarmente mistico: diceva di essere la reincarnazione di Gesù Cristo e che, insieme agli altri profeti di Dio, i Beatles, avrebbe portato un cambiamento epocale in tutto il mondo.
Nel frattempo, grazie ad alcuni contatti trovati in prigione e al lavoro delle ragazze, Manson frequentava l’ambiente dei produttori musicali. Con la sua capacità manipolativa e avendo a disposizione droga e ragazze da offrire, ebbe moltissime possibilità di sfondare, molto più della gran parte dei suoi concorrenti aspiranti-rockstar. Fece audizioni con alcuni dei più importanti studi della città, frequentò i locali e le feste più alla moda, divenne amico o ebbe occasione di farsi ascoltare dai più importanti musicisti della città: da Dennis Wilson a Frank Zappa, passando per Neil Young. Non servì a niente: Manson non aveva il talento per diventare una rockstar.
Mano a mano che i rifiuti a produrre le sue canzoni aumentavano, le prediche di Manson ai suoi accoliti si facevano sempre più cupe. Nei suoi sermoni durante i trip di LSD, Manson iniziò a citare sempre più spesso l’Apocalisse di San Giovanni. I Beatles, diceva, erano i quattro Angeli inviati da Dio ad annunciare l’apocalisse. Manson era Gesù, la cui seconda venuta avrebbe annunciato la fine del mondo. Nelle sue prediche, gli album dei Beatles, “Magical Mystery Tour” e poi il “White Album”, diventavano istruzioni dettagliate su come sarebbe avvenuto lo scontro finale tra le forze del bene e del male. A iniziarlo sarebbero stati i neri, che si sarebbero sollevati contro l’oppressione dei bianchi sterminandoli fino all’ultimo. Manson chiamava il giorno della rivolta razziale “Helter Skelter”, dal titolo della canzone più violenta e innovativa scritta dai Beatles in quegli anni. Quando Helter Skelter sarebbe arrivata, diceva Manson, la Famiglia sarebbe fuggita in un “pozzo senza fondo” nel deserto del Nevada. Da lì sarebbero riemersi per prendere la guida della civiltà, crollata poiché i neri, secondo Manson, non erano abbastanza intelligenti per guidarla. Manson e la sua Famiglia, a quel punto, avrebbero regnato su tutti, formando l’aristocrazia del nuovo mondo.
I massacri
Secondo le ricostruzioni emerse nel corso del processo e le testimonianze dei membri della Famiglia, a spezzare definitivamente l’equilibrio di Manson fu il rifiuto del più importante produttore discografico che era riuscito a contattare: Terry Melcher, figlio dell’attrice e cantante Doris Day. Manson cercò in tutti i modi di sedurlo, ma a Melcher non interessava la sua filosofia raffazzonata e nemmeno le ragazze della Famiglia, che in genere erano sporche, mal vestite e costantemente afflitte da ogni tipo di malattia venerea. Melcher fu garbato con Manson, lo ascoltò suonare alcune delle sue canzoni nel suo ranch vicino a Los Angeles e gli disse gentilmente di non essere interessato.
Per Manson fu un colpo durissimo. Era stata rifiutato e per di più davanti agli altri membri della Famiglia. La sua autorità indiscussa era in pericolo: se i suoi seguaci avessero iniziato a dubitare di lui, il lavoro di due anni rischiava di essere cancellato in un attimo. La sua unica possibilità di mantenere uniti i ranghi era portare la tensione all’interno della Famiglia a un livello ancora più alto. Disse che Helter Skelter sarebbe arrivata presto: nell’estate del 1969, cioè nel giro di poche settimane. La Famiglia doveva prepararsi a fuggire nel deserto, ma per farlo serviva il denaro con cui acquistare cibo, armi e medicinali necessari a sopravvivere all’apocalisse. Manson intensificò i rapporti che aveva con alcune bande di motociclisti per incrementare il suo giro di spaccio, ma così facendo finì per pestare i piedi ad altri gruppi criminali. Nel luglio del 1969, insieme a uno dei suoi più fedeli seguaci uomini, uccise Bernard Crowe, uno spacciatore nero a cui doveva 2.500 dollari. Per quanto è stato accertato, fu il primo omicidio commesso dalla Famiglia.
I soldi però continuavano a non essere abbastanza. E in più, non sembrava che il paese fosse pronto a sprofondare nella guerra civile come Manson aveva profetizzato. Manson decise così di provare a prendere due piccioni con una fava. Ordinò a tre dei seguaci di sequestrare Gary Hinman, un piccolo spacciatore che aveva frequentato spesso la Famiglia. L’obiettivo era estorcergli del denaro che aveva appena ereditato. La Famiglia tenne Hinman sequestrato in casa per due giorni al termine dei quali Manson ordinò di ucciderlo e disse ai suoi di far sembrare che i responsabili dell’omicidio fossero le Pantere Nere, un gruppo politico per l’emancipazione dei neri particolarmente violento. Hinman fu ucciso a pugnalate e con il suo sangue i membri della Famiglia scrissero sui muri “Maiale politico” e dipinsero una zampa, il simbolo delle Pantere Nere.
Non è chiaro cosa accadde dopo, esattamente: negli anni i membri della Famiglia hanno fornito versioni contrastanti, spesso per cercare di coprire le responsabilità di Manson. Secondo Guinn, Manson si preoccupò molto quando l’assassino di Hinman, un certo Bobby Beausoleil, venne arrestato e accusato dell’omicidio. Se avesse parlato, avrebbe potuto implicare Manson. Inoltre, nessuno sembrava aver attribuito l’omicidio alle Pantere Nere. Manson decise che se un altro omicidio fosse avvenuto con le stesse modalità con cui era avvenuto quello di Hinman mentre il principale sospettato era in carcere, i giudici non avrebbero avuto altra scelta che liberarlo. Inoltre, se a essere uccise questa volta fossero state persone famose, i giornali non avrebbero potuto fare a meno di parlare del coinvolgimento delle Pantere Nere, scatenando finalmente Helter Skelter.
Manson ordinò a quattro membri della Famiglia, Susan Atkins, Linda Kasabian, Patricia Krenwinkel e Charles “Tex” Watson (tre donne e un uomo), di andare nella vecchia casa dove abitava Melcher, il produttore che lo aveva respinto. Manson sapeva che Melcher non abitava più lì ma la villa, costruita in una delle zone più belle di Los Angeles, doveva per forza essere abitata da gente ricca e famosa. Aveva ragione: la villa era stata affittata dal regista Roman Polanski, che in quel momento si trovava in Europa. La notte dell’8 agosto, al numero 10050 di Cielo Drive si trovavano l’attrice Sharon Tate (moglie di Polanski), incinta di otto mesi, e tre suoi amici. I quattro membri della Famiglia entrarono nel parco della villa poco dopo mezzanotte. Appena entrati uccisero con quattro colpi di pistola Steven Parent, un amico del custode della villa che quella sera era passato di lì per caso e che stava cercando di uscire in macchina dalla proprietà. La particolare acustica del canyon in cui si trovava la villa fece sì che nessuno in casa sentisse gli spari.
I quattro entrarono nella villa e radunarono Tate e i suoi amici nel salotto, minacciandoli con coltelli e pistole. Jay Sebring, un famoso parrucchiere ed ex fidanzato di Tate, si lamentò dei modi con cui venivano trattati: pensava probabilmente che quella in corso fosse una semplice rapina. Watson, l’unico uomo del gruppo, gli sparò nel petto. Poi chiarì cosa stava per succedere: erano venuti in casa per ucciderli tutti. Altri due ospiti di Tate provarono a fuggire, ma furono raggiunti e uccisi a coltellate. Tate, che era stata legata, rimase in salotto e fu l’ultima ad essere uccisa. Con il suo sangue, Susan Atkins, una delle più fanatiche seguaci di Manson, scrisse “Pig”, maiali, sulla porta d’ingresso.
Il giorno dopo, Manson ordinò di colpire ancora. Accompagnò una squadra della Famiglia in un quartiere che, dal suo punto di vista, era particolarmente ricco (ma in realtà era una zona abitata da persone della classe media). Scelse una casa solo perché era vicina a quella di un vecchio amico della Famiglia. Dentro abitavano Leno e Rosemary LaBianca, una coppia benestante di mezza età. Manson fece credere loro che quella in corso fosse una rapina, li fece legare e poi se ne andò, dicendo a Tex che sapeva quello che doveva fare. Anche in questa occasione, Manson non voleva fare il lavoro sporco personalmente. I LaBianca furono massacrati a coltellate come era accaduto la notte prima a Tate e ai suoi ospiti. Con il loro sangue, i membri della famiglia scrissero “Healter Skelter” sulla porta del frigorifero, sbagliando lo spelling della prima parola.
La fine di Manson
Il piano di Manson era stupido e mal organizzato, e lui stesso non sembrava più in grado di ragionare con un barlume di lucidità. Nel giro di poche settimane il suo mondo iniziò a franare da ogni lato. Poco dopo l’omicidio LaBianca, Tex – completamente preda delle paranoie indotte dallo shock e dalle droghe – si inventò di aver ricevuto una telefonata in cui la madre lo avvertiva di essere ricercato dall’FBI. Manson gli credette e interruppe gli omicidi notturni. Almeno altre due persone furono uccise dalla Famiglia nelle settimane successive, ma Manson non stava più cercando di perseguire Helter Skelter. A quel punto voleva solo silenziare potenziali testimoni e a essere assassinati furono membri della Famiglia di cui lui non si fidava più. Non fu sufficiente, però. Di fronte alla svolta omicida presa dal loro guru le diserzioni cominciarono a essere numerose. Chi scappava in genere tornava dalla sua famiglia e finiva presto con il raccontare ad amici e parenti quel che sapeva. Gli autori dei massacri non riuscirono a fare a meno di vantarsi in giro di quello che avevano commesso e lo stesso Manson raccontò diversi dettagli dei massacri al capo di una gang di motociclisti. Era solo questione di tempo prima che anche la polizia arrivasse alla Famiglia.
Quando finalmente Manson trasferì la Famiglia nella base nel deserto, un vecchio ranch abbandonato vicino alla Valle della Morte, per attendere l’arrivo di Helter Skelter, il clima della vecchia banda di hippie era completamente cambiato. Non c’erano più trip di LSD o orge di gruppo, ma solo spedizioni nel deserto alla ricerca del mistico “pozzo senza fondo”. Di notte, guardie armate si assicuravano che nessuno cercasse di fuggire (ma non erano molto efficienti nel farlo). Ai poliziotti del parco naturale in cui si trovava il ranch quella ventina di hippie non piaceva molto e in breve capirono che qualcosa non andava per il verso giusto. Una notte arrivarono con un mandato di cattura per furto d’auto e vandalismo e arrestarono tutti i presenti. Trovarono le sentinelle incaricate di proteggere la Famiglia tutte addormentate. Manson fu l’ultimo a essere catturato. Lo scoprirono in uno dei pochi edifici del ranch. Si era nascosto in un armadietto, così piccolo che durante la prima perquisizione nessuno aveva pensato che qualcuno potesse rifugiarsi lì dentro. A tradirlo fu una ciocca dei suoi lunghi capelli rimasta chiusa fuori dallo sportello.
Inizialmente, Manson e la sua Famiglia furono detenuti con accuse minori, ma in poco tempo la polizia ricevette un vero e proprio fiume di prove, testimonianze e denunce che collegavano Manson e i più fedeli dei suoi seguaci ai massacri dell’agosto precedente. Susan Atkins, che aveva ucciso Sharon Tate la notte dell’8 agosto, raccontò tutta la sua storia alle compagne di cella, che la riferirono subito alla polizia. Il processo iniziò il 15 giugno del 1970. Fu estremamente lungo e complesso, anche grazie ai numerosi errori commessi dalla polizia durante le indagini: le sue vicissitudini sono state raccontate in un altro monumentale libro, intitolato Helter Skelter, scritto da Vincent Bugliosi, il procuratore che condusse l’accusa. Visto che non tutti i membri della Famiglia erano stati arrestati, molti di loro cercarono in vari modi di ostacolare il processo e di liberare il loro leader. I tentativi furono tutti disastrosi. Quando i suoi seguaci più zelanti cercarono di rapinare un’armeria (le armi servivano per cercare di assaltare il tribunale e liberare Manson) riuscirono solo a far scattare l’allarme e a farsi tutti arrestare.
Il 29 marzo 1971 Manson e altri quattro membri della Famiglia furono condannati a morte per 29 differenti capi di accusa. L’anno successivo la pena di morte fu convertita in ergastolo. Manson ha trascorso in diversi penitenziari i successivi 46 anni. In questo lungo periodo, mano a mano che l’età lo privava di forze ed energie, Manson è spesso tornato a essere una vittima come quando a 13 anni entrò per la prima volta in riformatorio. Nel 1984, per esempio, il suo compagno di cella lo cosparse di solvente e gli diede fuoco, procurandogli ustioni di terzo grado sul 20 per cento del corpo (Manson, spiegò, lo aveva minacciato perché lo infastidivano le sue canzoni Hare Krishna).
L’episodio più bizzarro, però, è probabilmente quello avvenuto nel 2014, quando la prigione annunciò che Manson aveva ottenuto una licenza matrimoniale per sposare una ragazza di 26 anni, Afton Elaine Burton. All’epoca in molti parlarono delle straordinarie capacità manipolative di Manson e di come, a 80 anni e dietro le sbarre da 40, fosse ancora in grado di attirare e sedurre giovani ragazze. In realtà l’anno dopo si scoprì che Burton non era stata affatto sedotta da Manson. Con il suo fidanzato aveva pianificato di sposare Manson per entrare in possesso del suo cadavere una volta che fosse morto e utilizzarlo quindi come attrazione turistica. La licenza scadde nel febbraio 2015 senza che alcun matrimonio venisse celebrato.
Manson è morto il 19 novembre 2017 per cause naturali.