Cosa sarà dell’Irlanda del Nord dopo Brexit
È una delle questioni più complicate da risolvere nei negoziati e ognuno sembra avere una propria idea: per ora non si è arrivati a nessuna soluzione
Tra poche settimane dovrebbe iniziare la cosiddetta “seconda fase” dei negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. La prima fase, non ancora conclusa, riguarda tre grandi questioni: i soldi che il Regno Unito dovrà dare all’Unione Europea per gli impegni economici che aveva già preso prima del referendum su Brexit, la situazione dei cittadini di altri paesi dell’Unione Europea residenti nel Regno Unito e il confine tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord, tema molto delicato, difficilissimo da risolvere e che è però uno dei punti chiave che l’Unione ha chiesto di chiarire prima di passare alla fase successiva delle trattative. La Repubblica di Irlanda è uno stato indipendente ed è membro della UE dal 1973; l’Irlanda del Nord fa invece parte del Regno Unito.
La frontiera irlandese è lunga circa 400 chilometri e dopo Brexit resterà l’unico confine terrestre tra l’Unione e il Regno Unito (a parte Gibilterra). I problemi da risolvere hanno a che fare con le persone che ogni giorno passano dalla Repubblica di Irlanda all’Irlanda del Nord e viceversa, con le merci che attraversano quello stesso confine, con la sua organizzazione pratica e fisica e con la paura che l’attuale situazione o le possibili decisioni future alimentino vecchie divisioni. Si stima che nelle comunità di confine viva circa un milione di persone. A tutto questo si aggiunge, infine, una situazione politica interna piuttosto fragile: l’Irlanda del Nord è senza governo e Parlamento da quasi un anno e il governo irlandese guidato dal primo ministro Leo Varadkar è entrato in crisi e c’è il rischio che si vada a elezioni anticipate.
Con l’istituzione del mercato unico europeo e poi con gli accordi del Venerdì santo del 1998, a cui si è arrivati dopo decenni di violenze tra protestanti unionisti e cattolici repubblicani, il confine tra le due Irlande è diventato praticamente invisibile: non è un confine lineare, procede in modo irregolare passando attraverso aree prevalentemente rurali ed è stato tracciato nel 1922 seguendo spesso l’appartenenza degli antichi clan. I vecchi posti di blocco dell’esercito britannico e le barriere di sicurezza non esistono più e gli unici indizi per chi passa da una giurisdizione all’altra sono spesso i segnali stradali sui limiti di velocità, che hanno in Irlanda l’indicazione in chilometri e in miglia nell’Irlanda del Nord. Non ci sono controlli doganali per le merci né controlli dei passaporti per le 30 mila persone, i cosiddetti transfrontalieri, che ogni giorno attraversano il confine per motivi di lavoro. Questa situazione ha favorito il commercio e le attività economiche e ci sono paesi e fattorie che addirittura sono attraversate dalla linea di frontiera.
Uscendo dall’Unione Europea, il Regno Unito lascerà però il mercato unico e l’unione doganale: questo significa, tra le altre cose, che ai confini saranno ripristinati i controlli. Le conseguenze potrebbero essere economiche ma non solo: potrebbero cioè portare a una nuova destabilizzazione tra la popolazione e mettere a rischio l’accordo di pace del 1998. La soluzione ideale dovrebbe, secondo gli osservatori, tenere conto del contesto sociale, economico e culturale ormai unico del confine irlandese e prevedere quindi una separazione che protegga in tutti i suoi aspetti l’accordo del Venerdì Santo, del quale il Regno Unito è co-garante.
La maggior parte degli scambi bilaterali tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord è rappresentata però da piccole imprese locali, soprattutto agricole. Circa un terzo del latte di mucca prodotto nell’Irlanda del Nord viene per esempio trasportato oltre confine per la produzione di burro e formaggio. La birra Guinness, per fare un altro esempio, attraversa il confine irlandese due volte prima di essere spedita da Dublino al Regno Unito e poi altrove. L’economia dell’Irlanda del Nord dipende in larga misura dalle esportazioni verso l’Unione Europea, ma anche da quelle verso la Repubblica d’Irlanda (circa il 38 per cento). Un controllo al confine potrebbe quindi o essere molto costoso o molto complicato: secondo molti osservatori e alcuni negozianti intervistati dal Guardian favorirebbe comunque il contrabbando.
Martin Eves, che gestisce un’attività di lavorazione del legno nella zona di Pettigo, paese del Donegal attraversato internamente dal confine irlandese che “taglia” ben diciotto strade, ha detto che le attività illegali cominceranno entro mezz’ora dal futuro accordo su Brexit. E ancora: «Costruire ponti richiede anni e, a mio parere, stiamo andando alla grande. Non è tutto perfetto, ma introdurre ora una divisione sarebbe un totale passo indietro. Non è un bene segregare le persone». Eves ha poi spiegato che la sua attività sarà influenzata dalle decisioni politiche che si stanno per prendere, ma in modi che non si possono prevedere: «È il Muro di Berlino che ci sta avvicinando». Il governo irlandese ha identificato 11 strade “nazionali” (esclusa Pettigo) che coinvolgono la frontiera, una che attraversa il confine due volte e la N54 che lo attraversa tre volte. Ma ci sono almeno altri 200 incroci da considerare.
Qualche giorno fa il quotidiano conservatore Telegraph ha scritto di aver ottenuto un documento riservato della Commissione europea sul futuro della frontiera dell’Irlanda del Nord. Il memorandum, secondo il giornale, sarebbe stato preparato dalla Repubblica d’Irlanda e chiede che anche dopo la separazione dal Regno Unito l’Irlanda del Nord resti parte dell’unione doganale europea, proprio per evitare di ristabilire la frontiera nord-irlandese. L’obiettivo dell’Irlanda è quindi fare in modo che sia le persone che le merci possano continuare a circolare liberamente in tutta l’isola. Il governo irlandese ha anche già indicato che se non verrà risolta la questione del confine con l’Irlanda del Nord metterà il veto sul passaggio alla seconda fase dei negoziati su Brexit che dovrebbero essere discussi da metà dicembre.
Se l’Unione Europea dovesse accogliere la posizione dell’Irlanda ci sarebbero però delle conseguenze politiche un po’ ovunque: una possibile spaccatura nel governo britannico causata dall’ala più euroscettica dei conservatori e l’opposizione degli unionisti del Partito Democratico Unionista (DUP) che sostengono il governo di Theresa May e che, a questo punto, si opporrebbero con ancora maggiore forza a formare un governo in Irlanda del Nord con i cattolici repubblicani dello Sinn Fein, gli eredi politici dell’Ira. Sabato scorso il Partito Unionista Democratico dell’Irlanda del Nord ha detto molto chiaramente che non approverà alcun accordo su Brexit che trasformi la nazione in un’eccezione rispetto al Regno Unito, una specie di territorio separato da trattare in maniera diversa rispetto al resto della nazione: «Non appoggeremo alcun accordo che crei ostacoli agli scambi tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito o qualsiasi indicazione che l’Irlanda del Nord, a differenza del resto del Regno Unito, debba rispettare le normative europee», ha detto la leader del DUP Arlene Foster.
David Davis, segretario di Stato britannico per Brexit, ha a sua volta spiegato che la soluzione di mantenere in qualche modo l’Irlanda del Nord all’interno dell’Unione Europea finirebbe per creare una frontiera interna al Regno Unito, cosa che il governo di Theresa May non potrebbe accettare. Per ora, l’orientamento del governo britannico dopo Brexit sembra essere quello che non prevede frontiere fisiche fra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord (che tra l’altro ha votato a favore del “remain”). Il confine tra la Repubblica irlandese e l’Irlanda del Nord dovrebbe insomma restare almeno in parte aperto e prevedere per le merci sistemi di pre-registrazione e monitoraggio per prevenire abusi e contrabbando.
Oltre alla questione delle merci che attraversano il confine ci sono da tenere in considerazione altri aspetti molto concreti che hanno a che fare con la vita quotidiana delle persone, soprattutto nell’ipotesi di un ritorno a un confine rigido o di creazione di un confine più aperto: in questo secondo caso, i critici sostengono che se non ci saranno controlli sui passaporti, l’Irlanda potrebbe diventare la porta di entrata per gli immigrati dell’UE che desiderano raggiungere il Regno Unito. Nel primo caso ci sono invece molte preoccupazioni che hanno a che fare con la salute delle persone: tornare a una divisione netta significherebbe tornare ai tempi in cui le ambulanze venivano fermate al confine e i pazienti portati fuori da un mezzo e messi in un altro. Oggi i malati di cancro che vivono nel Donegal (nella Repubblica d’Irlanda) possono ricevere cure a Derry, nell’Irlanda del Nord, mentre i bambini che vivono al nord possono facilmente accedere ai servizi cardiologici di Dublino. Queste possibilità che hanno a che fare con la vita reale delle persone, scrive il Guardian, verrebbero rimesse in discussione e non si sa bene in che modo.
Fino a qualche settimana fa circolava un’altra ipotesi per risolvere il problema del confine: che l’Irlanda del Nord diventasse automaticamente parte dell’Unione Europea se dovesse unirsi all’Irlanda, replicando il meccanismo che fu usato con la Germania est dopo la caduta del Muro di Berlino e la successiva riunificazione. Legalmente quel processo non fu una “riunificazione” ma una “annessione” basata sulla “clausola GDR”, dove GDR è l’acronimo di “German Democratic Republic”: questo permise di estendere l’efficacia dei trattati internazionali già in vigore nella Germania ovest anche ai territori della Germania est, senza doverne rinegoziare di nuovi, incluso il trattato di adesione all’allora Comunità europea (che poi diventò Unione Europea). Secondo gli accordi del Venerdì Santo, firmati nel 1998 nell’ambito del processo di pace nord-irlandese, il nord e il sud dell’Irlanda hanno il diritto a unificarsi se c’è una maggioranza che lo decide a nord del confine. Non sembra però che gli abitanti dell’Irlanda del Nord vogliano uscire dal Regno Unito per unirsi all’Irlanda, nemmeno dopo il referendum su Brexit.