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  • Lunedì 20 novembre 2017

Certe notizie appartengono a Mediaset

Guido Scorza racconta su Repubblica come gli avvocati delle reti di Berlusconi impediscano ai siti di news di mostrare fatti avvenuti sulle reti di Berlusconi

Su Repubblica di lunedì l’avvocato Guido Scorza, esperto dei temi giuridici legati all’innovazione tecnologica e a internet, racconta e commenta un caso molto particolare e rappresentativo di una contraddizione legale con una implicazione tutta italiana. Le reti televisive Mediaset sono infatti da sempre di eccezionale rigidità nel consentire la circolazione online dei materiali video andati in onda nei propri palinsesti, e non condividono la consuetudine a permetterne l’uso neanche in piccole porzioni e per ragioni di informazione pubblica: facendo applicare questo rigore con cause legali molto bellicose che trovano frequente ascolto soprattutto presso i tribunali di Roma.
Nel caso raccontato da Scorza la priorità del diritto di informazione sul diritto d’autore – di cui, è vero, spesso i siti di news approfittano molto discutibilmente per impossessarsi di contenuti non propri e guadagnarne in traffico e ricavi – è stata completamente e illogicamente annullata da una sentenza che ha vietato la pubblicazione sul sito di Repubblica di un video di Silvio Berlusconi del 2011, di indubbio valore giornalistico e informativo.

“È assurdo soltanto pensare che io abbia pagato per avere rapporti con una donna. È una cosa che non mi è mai successa neanche una sola volta nella vita. È una cosa che considererei degradante per la mia dignità…”.
È il gennaio del 2011, a parlare è Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio in carica. Lo fa con un video trasmesso dalle sue televisioni. Lo fa in risposta a un’inchiesta della magistratura che gli contesta, tra l’altro, di aver pagato una minorenne in cambio di sesso.
Nel video le parole sono scandite una a una secondo un copione sfogliato, pagina dopo pagina, con navigata esperienza; tutti i dettagli del set, incluse le foto di famiglia sullo sfondo, sono evidentemente studiati con attenzionemaniacale.
Inutile cercare di raccontare il contenuto del video a parole con la pretesa che qualcosa non vada perduto. Quelle immagini sono tessere uniche e insostituibili del mosaico della storia: il capo del governo che usa le sue televisioni contro la magistratura.
Eppure quelle immagini rischiano di essere sottratte, per sempre, alla cronaca di questi anni e, quindi, alla storia. Il tribunale di Roma con una sentenza confermata, nelle scorse settimane, dalla corte d’Appello ha, infatti, accolto le domande di Rti s.p.a. e, di conseguenza, ha ordinato all’editore di questo giornale di rimuovere il video in questione – insieme a decine di altri in gran parte di analoga natura – dalle proprie pagine web, dove era stato pubblicato a corredo di un articolo di informazione, e di astenersi dal pubblicarne di ulteriori.
Secondo i legali delle televisioni della famiglia Berlusconi, la pubblicazione del video violerebbe i diritti d’autore delle proprie clienti. Per mostrare quel video al mondo, per commentarlo, per parlare, anche attraverso le immagini, di Silvio Berlusconi, all’epoca dei fatti capo del governo, servirebbe il permesso di Silvio Berlusconi o, almeno, delle televisioni controllate dalla sua famiglia.

(continua a leggere su Repubblica)

Aggiornamento
Nel pomeriggio Mediaset ha diffuso un comunicato in cui sottolinea come Guido Scorza – autore dell’articolo – fosse anche coinvolto nel procedimento come avvocato di Repubblica (un dato che non suona particolarmente rilevante rispetto al merito della questione) e che lo stesso procedimento riguardava un tema assai più esteso del singolo video in questione: quello – altrettanto rilevante e indicato infatti dal Post nel testo qui sopra – del più generale abuso da parte di Repubblica di video prodotti da altri per generare traffico e ricavi sul suo sito.

In merito all’articolo pubblicato oggi da “La Repubblica” a pagina 25, Mediaset precisa quanto segue.
Il titolo è politico, “Se il diritto d’autore diventa strumento di censura”, e l’impaginazione è nobile, la sezione ‘Commenti & Idee’ del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Ma i lettori non possono sapere che la firma del pezzo appartiene a un avvocato difensore di Repubblica, Guido Scorza. Un legale che ha sentito il bisogno di usare le colonne del giornale suo cliente per esprimere la propria frustrazione professionale per aver perso una causa importante contro Mediaset sia in primo che in secondo grado.
La causa persa è esattamente quella che l’avvocato descrive – pur senza qualificarsi – in un articolo ovviamente a senso unico. Leggendolo, in effetti, parrebbe che le norme del diritto di autore siano state abilmente manipolate per impedire l’accesso a uno specifico video del 2011 riguardante Silvio Berlusconi.
Naturalmente le cose non stanno così. La causa avviata da Mediaset riguarda lo sfruttamento pubblicitario (parassitario e abusivo) da parte del sito Repubblica.it non di un singolo contenuto ma di oltre cento filmati (124) prodotti e distribuiti dalle reti Mediaset.
Nessuno dei video in questione – hanno stabilito i giudici in due gradi di giudizio esaminando ogni singolo contenuto oggetto di causa – costituiva legittimo esercizio del diritto di cronaca o perché proveniente da programmi di puro intrattenimento (come “Amici”, “Zelig” e “Grande Fratello”) o perché (come nel caso citato nell’articolo) mancante di attualità, essendo stato riprodotto sul web molti anni dopo la prima pubblicazione sulle reti Mediaset.
La causa nasce per l’illecito sfruttamento commerciale di quei 124 contenuti, altro dettaglio che l’articolo dell’avvocato Scorza dimentica. Si legge infatti nella sentenza che il Gruppo Editoriale L’Espresso ha «espressamente ammesso di aver incassato una somma di poco superiore a 17.000,00 euro dalla vendita di spazi pubblicitari “agganciati” ai video in parola».
Insomma, un furtarello digitale. Che Mediaset ha denunciato e che la magistratura ha condannato in Primo grado e confermato in Appello. Che ora l’avvocato soccombente lo faccia diventare oggetto di allarme democratico su un giornale serio e importante forse è un po’ eccessivo.