L’inchiesta del New York Times sulla proprietà del Milan
Nella quale emergono altri dubbi sulle attività e sul patrimonio di Yonghong Li, l'investitore cinese presidente del club dallo scorso aprile
Nonostante abbia concluso più di sei mesi fa un lungo e intricato passaggio di proprietà, il Milan non può ancora dirsi in una situazione tranquilla, perché sta passando un periodo piuttosto complicato sotto diversi punti di vista. Intanto da quello sportivo: la squadra sembra avere bisogno di più tempo per ingranare e ottenere risultati in campionato e in Europa League dopo i grossi investimenti portati a termine in estate. E poi da quello economico, dato che la solidità finanziaria del gruppo cinese viene costantemente messa in discussione da osservatori e inchieste giornalistiche.
Ieri il New York Times ha pubblicato un articolo dei giornalisti Sui-Lee Wee, Ryan McMorrow e Tariq Panja che solleva nuovi dubbi sulle attività e sul patrimonio di Yonghong Li, l’investitore cinese che dallo scorso aprile è proprietario e presidente del Milan, e sul quale non si sa moltissimo.
Murky Past and Questionable Present Raise Doubts About AC Milan’s Chinese Owner 💣🔴 with @suilee and @rwmcmorrow https://t.co/gIaugWrI3W
— tariq panja (@tariqpanja) November 17, 2017
L’articolo inizia facendo un breve riassunto della situazione economica del club, e fa riferimento all’aumento di capitale da 60 milioni di euro deliberato lo scorso maggio, la cui conclusione è prevista entro fine mese. Come riportato recentemente anche da Repubblica, l’aumento di capitale in questione è necessario per mantenere l’attuale assetto della proprietà, dato che al Milan non è concesso mantenere a lungo una situazione di patrimonio netto negativo, secondo gli accordi stretti con il fondo speculativo Elliott, con il quale il Milan ha un debito di 354 milioni di euro. Nella raccolta dei 60 milioni per l’aumento di capitale, quindi, Yonghong Li è tenuto a dimostrare di poter far fronte alle spese richieste, anche cercando nuovi investitori.
Ma i giornalisti del New York Times, indagando sulle attività in Cina del proprietario del Milan, hanno potuto visionare i registri ufficiali delle attività cinesi, dove hanno notato che le miniere di fosforo di Fuquan, nella provincia di Guizhou, indicate come una delle principali fonti redditizie di Yonghong Li, non sarebbero intestate a lui. Li ha sempre sostenuto di esserne il proprietario, ma stando ai registri ufficiali la proprietà è riconducibile alla compagnia d’investimenti Guangdong Lion Asset Management, con la quale Li avrebbe sì avuto dei legami, ma non è chiaro di che natura, dice il New York Times. Negli ultimi anni, poi, il Guangdong Lion Asset Management avrebbe cambiato proprietario di maggioranza per quattro volte: in due di queste, il passaggio sarebbe avvenuto senza transazioni, cioè a costo zero.
Le miniere di fosfati di Fuquan avrebbero un giro d’affari di 108 milioni di euro annuali, e la quota di competenza di Li sarebbe attorno ai 65 milioni. Questa attività è anche quella di cui si hanno più notizie, dato che Li risulta poco conosciuto anche in Cina, dove non appare nelle liste dei maggiori imprenditori del paese. Le poche notizie che si trovano su di lui riguardano una truffa avvenuta alla fine degli anni Novanta ai danni di alcune migliaia di risparmiatori per la quale fu però assolto, a differenza del padre e del fratello, entrambi condannati alla reclusione.
Wee, McMorrow e Panja, i tre autori dell’articolo del New York Times, sono stati nel palazzo di Guangzhou che viene indicato come sede del Guangdong Lion Asset Management. Ma i locali sono sbarrati e agli ingressi l’amministrazione dell’edificio ha affisso dei cartelli per indicare che la chiusura è dovuta al mancato pagamento dell’affitto. Un portavoce del Milan contattato dal New York Times ha però sostenuto che Li detiene il controllo delle attività minerarie, come confermato anche dai controlli effettuati dagli avvocati e dalle banche al momento della vendita della società.
La solidità finanziaria di Li non è importante solo per gli investimenti a breve termine: nei giorni scorsi la dirigenza del Milan ha sottoposto alla UEFA un piano per arrivare al pareggio di bilancio entro 4 anni, condizione richiesta dal cosiddetto “fair play finanziario” per le società che cambiano proprietà. La UEFA dovrà stabilire se il piano di investimenti del Milan e del suo nuovo proprietario sia credibile. In caso negativo, il Milan potrebbe ricevere una sanzione economica – come già successo a Inter e Roma nel 2015 – ma soprattutto subìre un nuovo grave danno d’immagine.