C’è una nuova prova nel processo alla persona sbagliata
Secondo un esperto di perizie foniche l'imputato ha una voce diversa dal pericoloso trafficante di persone che la procura lo accusa di essere
Un esperto di perizie foniche ha presentato al tribunale di Palermo i risultati di uno studio sulla voce dell’uomo che da più di un anno e mezzo si trova in carcere con l’accusa di essere un pericoloso trafficante di esseri umani ma che secondo molte credibili versioni sarebbe invece vittima di uno scambio di persona.
Lo studio è stato condotto dal Centro di Ricerca Interdisciplinare sul Linguaggio dell’università del Salento e presentato in tribunale dal direttore del centro Milko Grimaldi. Grimaldi ha confrontato la voce del trafficante eritreo Medhanie Yehdego Mered registrata in alcune intercettazioni dagli investigatori con quella dell’uomo arrestato in Sudan nel maggio 2016 e da allora in carcere in Italia con l’accusa di essere quel trafficante. Secondo lui, grazie ai metodi che ha usato, si può dire con il 99 per cento di certezza che l’uomo arrestato non è lo stesso che si sente parlare nelle intercettazioni, un’ulteriore prova che smentisce l’accusa nel processo.
Il Guardian, il giornale che più di tutti ha seguito la storia, ha detto che anche la procura di Palermo ha presentato un suo studio sulla voce dell’uomo arrestato che è arrivato a risultati opposti a quelli di Grimaldi e suggerisce che si tratterebbe davvero del pericoloso trafficante. Le prove presentate dalla procura si basano però sull’uso di un software per l’analisi della voce non in grado di riconoscere la lingua eritrea parlata da Medhanie Yehdego Mered nell’intercettazione, il Tigrinya, e sono quindi molto poco attendibili. Il perito della procura ha spiegato che il software per il riconoscimento fonetico è stato impostato per riconoscere “l’arabo egiziano”, secondo lui la lingua più vicina al Tigrinya tra quelle riconosciute dal software. Il Guardian, scrive che le due lingue si assomigliano molto poco, hanno alfabeti diversi e diverse pronunce.
Pochi giorni dopo l’arrivo in Italia dal Sudan del presunto trafficante si era capito che poteva essere stato commesso un errore, ma la procura di Palermo si è sempre rifiutata di riconoscerlo. L’uomo in carcere dice di essere un cittadino eritreo di nome Medhanie Tesfamariam Berhe, e ci sono diverse prove che lo dimostrano compreso un test del DNA a cui si è sottoposta sua madre poche settimane fa in Italia. A sostegno della tesi della procura, invece, non sono state per ora portate prove.