L’Europa è più vicina a un esercito comune
23 paesi hanno firmato un accordo per aumentare le spese militari e integrare molto di più i loro eserciti: secondo gli esperti è un cambiamento storico
Lunedì a Bruxelles i rappresentanti di 23 paesi europei hanno firmato un accordo con cui si impegnano ad aumentare la spesa militare, a coordinare lo sviluppo e l’acquisto di tecnologie militari e a mettere in comune parti sempre maggiori dei loro eserciti nazionali. Era da quasi 70 anni che i diplomatici europei tentavano di creare un accordo militare europeo e finora non avevano mai avuto successo. «È un momento storico», ha detto l’Alto rappresentante per la politica estera e la difesa Federica Mogherini, che ha presieduto la cerimonia della firma. La maggior parte degli esperti di questioni militari è d’accordo con lei. L’accordo sarà definitivamente firmato dai capi di stato e di governo al Consiglio europeo del prossimo 11 dicembre.
Historic moment in #EUDefence: 23 member states to work more closely together on security and defence.https://t.co/oLF6QgIhSj pic.twitter.com/XoylkgZTJ5
— EU Council Press (@EUCouncilPress) November 13, 2017
Il progetto di cooperazione, noto come PESCO, è previsto dal Trattato di Lisbona, ma per quasi un ventennio è rimasto una disposizione non attuata degli accordi. Le cose sono cambiate soprattutto grazie all’iniziativa portata avanti da Germania e Francia, che hanno rilanciato il progetto come risposta all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Il Regno Unito è il paese che in passato si è opposto di più alla cooperazione militare europea e il primo documento che ha portato all’accordo di lunedì è stato presentato proprio all’indomani del referendum britannico. Oltre al Regno Unito, all’accordo non partecipano Irlanda, Portogallo, Danimarca e Malta, ma i diplomatici europei ritengono di poter convincere Irlanda e Portogallo prima dell’entrata in vigore ufficiale dell’accordo.
Il PESCO prevede che gli stati firmatari assumano numerosi impegni vincolanti (sul documento è presente una lista di venti punti) la cui corretta implementazione dovrà essere periodicamente verificata. I più importanti sono:
• Aumentare le spese militari per “avvicinarsi” alla soglia del 2 per cento del PIL
• Aumentare le spese militari in termini reali e non solo relativi al PIL
• Partecipare alla creazione di una forza di reazione rapida europea
• Integrare in maniera maggiore gli eserciti europei (trasporti, munizioni, ruoli)
• Aumentare la compatibilità tra gli equipaggiamenti militari dei vari eserciti
Questi impegni si affiancano a quelli che sono già stati presi nei mesi scorsi, come creare una sorta di “comando centrale” incaricato di coordinare le missioni di addestramento oltremare, che al momento si svolgono in Mali, Repubblica Centrafricana e Somalia. È un primo embrione di “quartier generale europeo”, il primo passo necessario per avere un vero e proprio esercito dell’Unione (ma, come fanno notare le persone che ci lavorano, è meglio non chiamarlo in questa maniera). Un’altra iniziativa che è andata nella direzione della maggior cooperazione militare è la creazione da parte della Commissione Europea di un fondo da 5,5 miliardi di euro per finanziare l’acquisto di apparecchiature militari ad alta tecnologia.
Realizzare e acquistare a livello europeo armamenti e tecnologie avanzate è uno degli obiettivi più importanti del PESCO. Costruire armi, soprattutto quelle molto avanzate come i jet da combattimento, richiede molto denaro e grandi economie di scala per funzionare in maniera efficace, come dimostrano il costo e le difficoltà incontrate dal programma F-35. La presenza nell’Unione di una ventina di eserciti, ognuno con i suoi programmi di investimento e acquisto, rende gli eserciti europei intrinsecamente poco efficienti. Come ha ricordato il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel: «L’Europa ha spese militari che sono il 50 per cento di quelle degli Stati Uniti, ma eserciti che hanno solo il 15 per cento della sua efficienza».
È una cosa seria?
La domanda a questo punto è se il progetto funzionerà oppure no. Di certo l’accordo di lunedì è stato storico ed è un grandissimo passo in avanti rispetto agli ultimi 70 anni, durante i quali quasi nulla si era mosso su questo fronte. L’uscita del Regno Unito, che ha sempre messo il veto sulla cooperazione militare europea, ha certamente aiutato questi sviluppi. Ma tra i promotori della difesa comune europea rimangono alcune divisioni sulla forma che dovrà avere questo progetto.
La Germania punta alla creazione di un vero e proprio esercito europeo, con una struttura di comando centralizzata e che finirebbe con il rappresentare la quintessenza dell’unità e dell’integrazione europea. Nella mente dei politici tedeschi, questo esercito europeo andrebbe utilizzato con la parsimonia che viene applicata all’esercito tedesco: poche operazioni al di fuori dei confini e solo quando assolutamente necessario e, in ogni caso, sempre come parte di una vasta coalizione. La Francia, l’altro grande paese promotore dell’iniziativa, ha un atteggiamento diverso: il suo obiettivo è avere una politica di difesa europea più attiva. Più che creare un esercito europeo con uniformi e bandiere, i francesi vorrebbero più missioni militari europee in giro per il mondo, formate da militari provenienti dai paesi europei (e visto che al momento è soprattutto la Francia ad effettuare questo tipo di missioni, significherebbe in qualche misura dare all’esercito francese una sorta di “preminenza” sugli altri).
Nonostante questo, tra gli esperti europei di cose militari c’è un certo entusiasmo per questo progetto. Antonio Missiroli, direttore dell’European Union Institute for Security Studies, ha scritto: «Per qualcuno che frequenta questo campo da vent’anni ed è passato attraverso i suoi alti e bassi, tutto questo non è un piccolo sollievo, ma è una grande occasione di soddisfazione». L’importanza del PESCO deriva dal fatto che contiene una serie di disposizioni concrete e vincolanti per gli stati che lo hanno firmato: non è soltanto una dichiarazione di intenti.
I firmatari si impegnano ad aumentare le spese militari e collaborare in progetti europei per l’acquisto e lo sviluppo di tecnologie militari. L’accordo prevede che lo stato di attuazione di questi impegni venga periodicamente verificato. Il PESCO inoltre include una serie di progetti concreti per migliorare la capacità comune europea di condurre operazioni militari. Come è scritto nel rapporto dell’Institute for Security Studies: «Presi tutti insieme, questi elementi sono disegnati per modificare l’atteggiamento e le pratiche nella difesa con l’utilizzo di strumenti decisi a livello dell’Unione Europea». Alessandro Marrone, ricercatore dello IAI, ha scritto che quello di lunedì non è soltanto «un forte gesto politico e simbolico», ma rappresenta anche «un atto che apre un processo istituzionale e legalmente vincolante verso una maggiore cooperazione e integrazione in questo ambito».