Tutto cominciò con Anita Hill
La storia della donna che nel 1991 accusò pubblicamente di molestie un giudice che stava per andare alla Corte Suprema, e di come cambiarono le cose dopo
In questo periodo, quando negli Stati Uniti si parla dei racconti delle molte donne che hanno detto di aver subito molestie sessuali, una storia in particolare viene ricordata e citata: quella di Anita Hill, la donna che nel 1991 accusò di molestie sessuali sul lavoro Clarence Thomas, che stava per essere confermato giudice della Corte Suprema. L’accusa fece molto scalpore, Hill venne attaccata ferocemente e Thomas venne comunque nominato (ancora oggi è uno dei giudici della Corte Suprema, il più conservatore e il meno partecipe ai lavori). Quel momento però, come scrive Rebecca Solnit nel suo libro Gli uomini mi spiegano le cose, fu proprio «lo spartiacque che segnò un cambiamento del dibattito, il momento in cui chi capiva quale fosse il problema fece pressioni su chi non lo capiva».
Un mese dopo le audizioni di Hill, che fu sentita dal Senato nel corso del processo di ratifica della nomina di Thomas, negli Stati Uniti fu approvata un’importantissima legge sulle molestie sessuali e divenne possibile fare qualcosa contro gli abusi sul posto di lavoro. Oggi in molte e molti stanno scrivendo che quella legge fu approvata anche grazie alla testimonianza di Hill, e che tutto quello che sta accadendo negli Stati Uniti – con i casi Weinstein e simili, compresi i cambiamenti che su queste questioni ci sono state nel dibattito pubblico – iniziò proprio da lì: da Anita Hill.
Nel 1991 Clarence Thomas, un uomo nero che allora aveva 43 anni, venne nominato alla Corte Suprema degli Stati Uniti dal presidente George W.H. Bush. Anita Hill, professoressa di Diritto e anche lei afroamericana, aveva collaborato con Thomas alla commissione per le Pari Opportunità. L’11 ottobre del 1991 Hill accettò di testimoniare di fronte alla commissione Giustizia del Senato durante l’audizione di conferma di Clarence Thomas. Durante un’intervista privata e dopo che il contenuto di quell’intervista era arrivato alla stampa, in audizione di fronte al Senato, la donna raccontò una serie di episodi: disse che Thomas, allora suo superiore, l’aveva costretta ad ascoltarlo mentre descriveva dei video porno e le sue fantasie sessuali, e disse che le aveva fatto delle pressioni perché uscisse con lui. Di fronte al suo rifiuto, raccontò Hill, «lui non volle dare nessun valore alle mie motivazioni».
Hill parlò di fronte a un comitato particolare di senatori: tutti uomini, tutti bianchi. I Repubblicani si dimostrarono particolarmente scettici e sarcastici. Solnit racconta che a un testimone, che sulla base di due fugaci incontri aveva raccontato che Anita Hill aveva avuto delle fantasie sessuali su di lui, il senatore Arlen Specter domandò: «A suo parere, è possibile che la professoressa Hill abbia solo immaginato o fantasticato che il giudice dicesse le cose di cui lei lo accusa?».
Negli Stati Uniti le parole di Hill portarono a una grande mobilitazione: da un lato c’erano moltissime donne, «che sapevano benissimo quanto erano comuni le violenze sessuali e quante e quanto sgradevoli possano essere le conseguenze nel caso le si denunci», dall’altro c’erano molti uomini che negavano o non capivano. La questione divenne anche razziale: da una parte per via dello stereotipo razzista sui neri come soggetti più propensi a violentare le donne, dall’altra perché per alcuni – inconsciamente o no – Hill era meno credibile in quanto nera.
Nel breve termine Hill subì durissimi attacchi pubblici: fu accusata di aver detto il falso e criticata per non aver reagito ai comportamenti di Thomas; durante le udienze davanti al Congresso che furono trasmesse in TV venne denigrata, la sua credibilità venne attaccata dai parlamentari e da parte della stampa. Thomas alla fine venne confermato con 52 voti favorevoli e 48 contrari.
Le accuse più pesanti contro Hill arrivarono dal giornalista conservatore David Brock, che pubblicò un articolo contro di lei e che poi scrisse un libro intitolato The real Anita Hill (“La vera Anita Hill”), in cui smontava le accuse che la donna aveva rivolto al giudice Thomas descrivendola come una persona di basso livello che restituiva agli studenti i libri impreziositi dai suoi peli pubici. L’anno dopo il Wall Street Journal pubblicò invece ampi estratti del libro delle due giornaliste Jane Mayer e Jill Abramson intitolato Strange Justice. The selling of Clarence Thomas (“Giustizia strana. La vendita di Clarence Thomas”), in cui raccontavano numerose testimonianze sulle perverse abitudini sessuali del giudice, che veniva descritto come un maniaco che tormentava gli amici con lunghe e brutali descrizioni delle scene dei film porno che l’avevano colpito di più.
Nel 2002, pentito di averla attaccata e del motivo politico che l’aveva spinto a farlo, David Brock raccontò nel libro Blinded by the right. The conscience of an ex conservative (“Accecato dalla destra. La coscienza di un ex conservatore”), che le accuse rivolte a Hill erano del tutto false ed erano state dettate solo dal suo cieco tentativo di sostenere la causa dei Repubblicani. Nel libro Brock diceva di non avere mai creduto alle cose scritte all’epoca, confermava che Thomas aveva davvero una grande collezione di video porno e che anche i più alti dirigenti Repubblicani erano certi che il giudice avesse fatto avance sessuali inopportune ad Anita Hill: «Pur di rovinare la credibilità di Anita Hill ho sparato alla cieca, alimentando il calderone praticamente con qualunque accusa sprezzante (anche se spesso contraddittoria) mi venisse suggerita dalla fazione di Thomas (…). Arrivai a definirla “mezza svitata e un po’ sgualdrina”».
Di recente anche Joe Biden, ex vicepresidente degli Stati Uniti sotto l’amministrazione Obama, ha parlato di Hill. All’epoca Biden era presidente della commissione Giustizia del Senato, e negli anni fu criticato per non essere intervenuto in modo più deciso a favore di Hill: «Forse avrei potuto gestire meglio la situazione, ma le credevo sin dall’inizio».
Bisogna tenere conto che il concetto giuridico di “molestie sessuali” (“sexual harassment” in inglese) era all’epoca una conquista recentissima: la Corte Suprema degli Stati Uniti le riconobbe come una forma di discriminazione legalmente perseguibile sul luogo di lavoro solo nel 1986. Quando Hill parlò era il 1991, ma quello ma quello che disse che le era successo era precedente a quella legge. Con il tempo “I believe you, Anita” divenne invece uno slogan femminista e molte delle donne che nelle ultime settimane negli Stati Uniti hanno accusato Weinstein e altri hanno fatto riferimento a lei. Hill viene insomma considerata come la donna che ha dato inizio a una nuova epoca, quella del riconoscimento e della lotta contro le molestie sessuali sul lavoro.
Un mese dopo le audizioni di Hill al Senato fu approvata una nuova legge sulle molestie sessuali e le denunce aumentarono immediatamente. Le elezioni del 1992 furono definite “L’anno delle donne”: Carol Moseley-Braun, una donna afroamericana, venne eletta al Senato; con lei altre 27 donne, un numero senza precedenti nella storia statunitense.
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La testimonianza di Hill – che fa ancora la docente universitaria: oggi insegna alla Brandeis University, in Massachusetts – fece diventare di dominio pubblico la questione delle molestie sessuali sul luogo di lavoro. Il Washington Post ha scritto che le sue parole hanno inaugurato l’epoca del riconoscimento di un problema: «Quello a cui adesso stiamo assistendo è l’autorizzazione a dire qualcosa e a fare qualcosa: le donne abusate si sentono libere di parlare degli uomini potenti». Hill è intervenuta sul caso Weinstein spiegando al New Yorker che ora «bisogna trasferire la credibilità anche ad altri contesti», che non siano quelli del cinema. Le attrici famose, ha spiegato, «sono proprio come le donne che si incontrano per la strada. La gente deve usare questo momento per chiarire una volta per tutte che la cosa non riguarda soltanto Hollywood».