Che fine ha fatto il primo ministro libanese?
Saad Hariri è andato in Arabia Saudita a dimettersi, non è più tornato e non si hanno sue notizie: è iniziata un'altra crisi in Medio Oriente
Giovedì mattina l’aereo privato del primo ministro libanese è atterrato a Beirut, la capitale del Libano, una settimana dopo essere partito per un viaggio in Arabia Saudita. A bordo però non c’era il capo del governo libanese Saad Hariri, che sabato scorso ha inaspettatamente annunciato le sue dimissioni da Riyad, la capitale saudita, creando confusione e incredulità tra i suoi alleati e molti esperti di Medio Oriente. Di Hariri, che è il capo del movimento politico sunnita “Il Futuro”, non si hanno notizie: alcuni sostengono che sia tenuto praticamente in ostaggio dalla famiglia reale saudita e diversi diplomatici stranieri che lo hanno incontrato a Riyad hanno raccontato in via anonima di avere avuto l’impressione che non parlasse liberamente. Nel suo discorso di sabato scorso, Hariri aveva denunciato la creazione in Libano di uno “stato nello stato”, riferendosi alla potente presenza del movimento sciita Hezbollah, considerato un gruppo terroristico da diversi paesi occidentali, oltre che da Israele e dall’Arabia Saudita. Hezbollah è anche il principale alleato del governo Hariri: oggi di fatto accusa l’Arabia Saudita di aver chiesto a Israele di attaccarli, e di aver rapito Hariri dopo averlo costretto a dimettersi.
Sabato 11 novembre il presidente del Libano Michel Aoun – che non ha ancora accettato le dimissioni di Hariri dicendo di voler attendere il suo ritorno per discuterne direttamente con lui – ha precisato che qualsiasi cosa Hariri abbia detto o possa dire «non riflette la realtà» a causa del «mistero» della sua attuale situazione. Ha poi invitato l’Arabia Saudita a chiarire le ragioni che impediscono al primo ministro libanese di tornare a Beirut.
Quello che sta succedendo in Libano è una storia molto grossa: da giorni la politica libanese è diventata il centro di una crisi regionale più grande, che molti considerano pericolosa e che riguarda la competizione tra due degli stati più potenti e aggressivi del Medio Oriente, Arabia Saudita e Iran. È una storia che va avanti da molto tempo ma che ha raggiunto il suo punto critico una settimana fa, con le dimissioni di Hariri e gli arresti di decine di funzionari e imprenditori decisi dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (o MbS, come viene chiamato spesso dai giornali). Partiamo dall’inizio.
Che diavolo sta succedendo in Arabia Saudita?
Tra sabato e domenica della scorsa settimana 11 principi, 4 ministri e decine di ex ministri sauditi sono stati arrestati da una “commissione anticorruzione” messa in piedi da Mohammed bin Salman, 32 anni, figlio di re Salman, ministro della Difesa e principe ereditario dalle idee innovative e radicali. MbS è considerato l’uomo più potente del paese. Di lui si è cominciato a parlare sulla stampa internazionale nell’aprile 2016, quando in Arabia Saudita fu presentato “Vision 2030”, un suo progetto, il più importante piano di riforme della storia del paese. Negli ultimi mesi l’applicazione del piano di riforme ha subìto un’accelerata: per esempio si sono tenuti alcuni eventi prima proibiti, come concerti e proiezioni di film, era stata annunciata l’abolizione del divieto delle donne di guidare e di assistere a eventi sportivi dal vivo, e si è cominciato a parlare di reintrodurre «un Islam tollerante e moderato». Il promotore di tutti questi cambiamenti – probabilmente funzionali a creare un’immagine diversa dell’Arabia Saudita all’estero, tra le altre cose per attirare investimenti stranieri – era stato proprio MbS.
Ieri il governo saudita ha detto che le persone arrestate per corruzione sono state più di 200, accusate di avere usato in maniera illegale almeno 100 miliardi di dollari durante gli ultimi decenni. La lista delle persone arrestate e le incriminazioni a loro carico non sono ancora state diffuse, ma si sa che tra loro ci sono il principe Mutai bin Abdullah, figlio del re Abdullah morto nel 2015, e Alwaleed bin Talal, uno degli uomini più ricchi al mondo. Il New York Times ha scritto che gli uomini arrestati stanno dormendo in alcune stanze del Ritz-Carlton, hotel di lusso di Riyad che è stato trasformato in una specie di carcere temporaneo.
Nonostante le dichiarazioni saudite, la stragrande maggioranza degli analisti non crede che dietro agli arresti ci sia davvero una campagna anticorruzione del governo. L’idea prevalente è che MbS abbia avviato una “purga” per rafforzare il suo potere e spianarsi la strada per il futuro. Gli arresti dei giorni scorsi hanno consolidato il potere di MbS sui militari, sulla sicurezza interna e sui settori nazionali che si occupano di questioni sociali ed economiche. Sono sostenuti da molti giovani sauditi e anche da parte del clero waahabita, il più minacciato e preoccupato dal piano di riforme annunciato e avviato da MbS. E soprattutto servono al principe ereditario per avere più libertà in politica estera, dove da qualche tempo ha iniziato una campagna dura e aggressiva contro l’Iran, nemico numero uno dei sauditi.
E cosa c’entra il Libano?
Ci sono diversi paesi in Medio Oriente dove Iran e Arabia Saudita si contendono il potere. Per esempio c’è la Siria: nella guerra siriana, iniziata nel 2011, gli iraniani si sono schierati dalla parte del presidente Bashar al Assad, mentre i sauditi dalla parte dei ribelli, i principali nemici di Assad. C’è lo Yemen, dove gli iraniani stanno dalla parte dei ribelli Houthi e i sauditi da quella dell’ex presidente sunnita Abdrabbuh Mansur Hadi. C’è l’Iraq, paese nel quale il governo saudita sta cercando di limitare l’enorme influenza raggiunta dall’Iran nel corso degli ultimi anni, grazie soprattutto alle conseguenze della guerra contro lo Stato Islamico. C’è il Qatar, isolato diplomaticamente dall’Arabia Saudita e dai suoi alleati soprattutto per il suo appoggio semi-tacito ad alcune politiche iraniane. E poi c’è il Libano, un paese con una storia recente travagliata, fatta da un susseguirsi di occupazioni militari e ingombranti influenze esterne.
In Libano c’è un governo di unità nazionale sostenuto dall’Arabia Saudita. Il governo è appoggiato da Hezbollah, movimento estremista sciita sostenuto dall’Iran che con la guerra in Siria ha trovato nuovi spazi di manovra ed è diventato ancora più forte di quanto già non fosse. Sabato scorso, mentre Hariri dava le sue dimissioni da Riyad, il governo saudita annunciava di avere intercettato un missile proveniente dallo Yemen e lanciato dai ribelli Houti con la complicità di Hezbollah, un attacco che diceva di considerare un “atto di guerra”. Ieri il regime saudita ha ordinato a tutti i suoi cittadini di lasciare il Libano, provocando una escalation di tensione tra i due paesi arabi che potrebbe portare a una crisi più grave e ampia.
Ad aggiungere confusione alla confusione c’è la difficoltà a capire quale sia effettivamente la strategia in Libano di Mohammed bin Salman, principe ereditario saudita. Sembra che le dimissioni di Hariri, probabilmente forzate dall’Arabia Saudita, avessero lo scopo di isolare Hezbollah e indebolire di conseguenza il ruolo dell’Iran in Libano. L’impressione però è che abbiano avuto l’effetto opposto. La politica libanese ne sta uscendo molto destabilizzata, con il risultato che Hezbollah si sta imponendo come la principale forza di coesione nazionale. Nei giorni scorsi il suo leader, Hassan Nasrallah, ha invitato alla calma e ha chiesto ad Hariri di tornare in Libano, dove sarebbe stato il «benvenuto».
In tutto questo è poco chiaro anche il ruolo degli Stati Uniti. Il presidente americano Donald Trump aveva dato appoggio praticamente incondizionato alle politiche di MbS, per esempio dando un implicito via-libera all’isolamento del Qatar, accusato di appoggiare l’Iran. Due giorni fa però l’ambasciatrice americana in Libano, Elizabeth Richards, ha scritto che gli Stati Uniti «mantengono il loro impegno a favore di un Libano stabile, sicuro, democratico e prospero», in pratica appoggiando il governo libanese.
#AmbRichard: The United States remains committed to a stable, secure, democratic, and prosperous #Lebanon https://t.co/VBESZbAqjb
— U.S. Embassy Beirut (@usembassybeirut) November 8, 2017
Sta per cominciare una nuova guerra?
Ci sono diverse ragioni per essere preoccupati di quello che sta succedendo. Una di queste riguarda Israele, il principale nemico di Hezbollah. Il governo israeliano si è tenuto piuttosto distante dalle ultime crisi mediorientali, anche se qualcosa ha fatto: per esempio ha preso delle misure per proteggere il suo confine con la Siria e ha compiuto diversi attacchi aerei contro miliziani di Hezbollah in territorio siriano e contro i convogli che trasportavano armi a Hezbollah in Libano. La crescente influenza dell’Iran e di Hezbollah in Siria è vista però da Israele come una diretta minaccia alla propria sicurezza nazionale. Naftali Bennett, ministro dell’Istruzione israeliano, ha detto: «Israele ha due obiettivi: fermare il cammino dell’Iran verso il dominio e l’egemonia nella regione e creare un’alleanza con attori razionali che potrebbe includere Israele. Questo [le ultime mosse saudite in Libano] è certamente uno sviluppo positivo per avere un tale allineamento». Bennett ha però aggiunto: «Allo stesso tempo dobbiamo essere molto cauti a prevenire una escalation non necessaria nella regione».
Sembra che Israele e Arabia Saudita, che non hanno relazioni diplomatiche da tempo a causa della questione palestinese, abbiano concluso una specie di accordo sul Libano. Ieri il ministro dell’intelligence israeliano, Yisrael Katz, ha detto che è arrivato il momento di un’offensiva diplomatica contro l’Iran ed Hezbollah, possibilmente guidata dalle Nazioni Unite. I leader sauditi si sono espressi con parole simili, e lo stesso ha fatto Hariri, anche se non si sa se per volontà propria o costretto. Per il momento comunque sembra improbabile che la crisi possa portare a una guerra. Diversi analisti sostengono che il prossimo passo dell’Arabia Saudita contro il Libano potrebbe essere diplomatico ed economico, sul modello di quello adottato negli ultimi mesi per il Qatar.
Intanto ieri è arrivato a Riyad anche il presidente francese Emmanuel Macron, che ha voluto «enfatizzare l’importanza dell’integrità e stabilità del Libano». Macron ha detto di sperare che tutti i politici libanesi possano vivere liberamente in Libano, senza subire minacce di alcun tipo. Alla domanda se Hariri avesse cercato di ottenere asilo politico in Francia, ha risposto: «Per ora non abbiamo ricevuto alcuna richiesta».