Harvey Weinstein provò a fermare le accuse contro di lui in modo molto aggressivo

Secondo il New Yorker ingaggiò due società di intelligence per convincere le attrici a non parlare e i giornalisti a non scrivere

 (LOIC VENANCE/AFP/Getty Images)
(LOIC VENANCE/AFP/Getty Images)

Il 6 novembre è uscito sul New Yorker un articolo che sostiene – citando come fonti “decine di pagine di documenti e sette persone direttamente coinvolte” – che il produttore cinematografico Harvey Weinstein pagò due diverse agenzie di investigazione privata perché provassero a non far uscire le accuse nei suoi confronti. Weinstein ha 65 anni ed è ormai un ex potentissimo produttore cinematografico. Nelle ultime settimane è stato accusato da più di 90 donne di molestie sessuali e da alcune di stupro; sono state aperte indagini nei suoi confronti a Londra, Parigi e New York. L’articolo del New Yorker è intitolato “L’esercito di spie di Harvey Weinstein” e l’ha scritto Ronan Farrow: giornalista, figlio di Mia Farrow e Woody Allen e autore di uno dei due articoli che a inizio ottobre diedero il via alla serie di accuse contro Weinstein.

Farrow ha scritto che già dall’autunno 2016 Weinstein pagò due società di intelligence: la Kroll – «una delle più grandi società al mondo per i servizi di intelligence aziendale» – e la Black Cube, una società israeliana «guidata per la maggior parte da ex agenti del Mossad e di altri servizi segreti israeliani». Weinstein le pagò perché sapeva che qualche giornalista stava provando a raccogliere testimonianze da diverse attrici sulle voci che circolavano da anni sul suo comportamento, e voleva evitare che le attrici parlassero o i giornalisti scrivessero.

L’articolo di Farrow è molto lungo e parla di diverse pratiche messe in atto da Weinstein e dalle società pagate da Weinstein per provare a non far trapelare le accuse. Ci sono persone che hanno usato false identità per ingannare le accusatrici di Weinstein e farsi raccontare con chi avevano parlato, persone che si sono finte accusatrici di Weinstein per farsi dare informazioni dai giornalisti, pressioni di Weinstein (per esempio nei confronti di Asia Argento) per avere un incontro prima che lei parlasse con la stampa, giornalisti che hanno avvisato Weinstein che qualcuno stava scrivendo delle accuse contro di lui. Farrow ha scritto che «Weinstein controllava di persona l’andamento delle indagini» fatte dalle due società da lui pagate.

Nell’articolo viene spesso fuori il nome di Rose McGowan, una delle prime attrici ad aver accusato Weinstein di averla stuprata. Farrow scrive che due investigatori privati di Black Cube usarono false identità per incontrare McGowan: un’agente finse di essere un’attivista per i diritti delle donne registrando di nascosto almeno quattro conversazioni avute con lei. Secondo quanto scritto da Farrow, quella stessa agente finse anche – in un’altra occasione – di essere una donna molestata da Weinstein, per poter così incontrare un giornalista e provare a farsi dire quali altre donne avevano intenzione di accusare Weinstein (così da poter riferire a lui i loro nomi).

Farrow ha scritto anche che Black Cube assunse un giornalista investigativo a cui chiese, tra le altre cose, di parlare con alcune delle donne che accusavano Weinstein. Al giornalista fu anche chiesto di registrare di nascosto una conversazione con McGowan e di far avere il contenuto a Black Cube. Sempre secondo quanto scritto da Farrow, Weinstein chiese sia a Black Cube che a Kroll di raccogliere anche informazioni sui giornalisti che stavano scrivendo delle accuse, per provare a trovare qualcosa di compromettente nel loro passato e ricattarli. Sarebbero stati aperti dossier su Adam Moss, direttore del New York Magazine, e su Ben Wallace, collega di Farrow al New Yorker. In entrambi i casi le società non avrebbero però trovato nulla di compromettente. Wallace ha raccontato a Farrow che si accorse che la donna con la falsa identità aveva qualcosa di losco: perché gli fece troppe domande sulle altre donne e perché quando raccontò la sua (finta) esperienza aveva “una recitazione da soap-opera”.

Nell’articolo di Farrow si parla anche del ruolo che alcuni avvocati di Weinstein ed ex dipendenti delle sue società di produzione avrebbero avuto nei rapporti tra lui, Black Cube e Kroll. Farrow ha parlato soprattutto del ruolo che avrebbe avuto David Boies, famoso per essere stato l’avvocato di Al Gore dopo le elezioni da lui perse nel 2000. Farrow ha scritto che Boies firmò uno dei contratti in cui si chiedeva a Black Cube di provare a scoprire informazioni su un articolo che il New York Times stava scrivendo, nello stesso momento in cui il suo studio stava anche difendendo il New York Times in una causa per diffamazione. Boies ha commentato dicendo che ha sbagliato a collaborare con quelle società.

Farrow ha scritto che nel dicembre 2016 Dylan Howard – responsabile dei contenuti pubblicati da American Media Inc., che pubblica lo screditato tabloid National Enquirer – avvisò Weinstein che uno dei suoi giornalisti stava raccogliendo informazioni sulle accuse contro di lui.

L’articolo parla anche di Asia Argento, una delle donne che hanno raccontato a Farrow gli abusi subiti da Weinstein. In questo nuovo articolo Farrow ha scritto: «Nel dicembre 2016 Weinstein chiese all’attrice Asia Argento di incontrarsi in Italia con i suoi investigatori privati. Argento, che si sentiva pressata a dover dire sì, rifiutò dopo che il suo compagno, lo chef e personaggio televisivo Anthony Bourdain, le consigliò di non andare».

Riguardo le cose che ritiene abbiano fatto Black Cube e Kroll, Farrow ha scritto che operazioni di quel tipo sono spesso tenute segrete «e sono spesso fatte attraverso gli studi legali, così da renderle protette dal rapporto tra cliente e avvocato, evitando che se ne possa parlare in un tribunale». Sallie Hofmeister, portavoce di Weinstein, ha detto: «È falso suggerire che in qualsiasi momento si sia provato a colpire o non far parlare qualche persona». Black Cube non ha per ora commentato la cosa, dicendo che per politica aziendale non commenta mai niente.