L’assalto al Palazzo d’Inverno
Fu il momento culminante della Rivoluzione russa, quando i bolscevichi di Lenin deposero non lo zar – come credono in molti – ma un governo che oggi chiameremmo di "centrosinistra"
La Rivoluzione d’ottobre fu l’insurrezione guidata da Vladimir Lenin che portò alla creazione dell’Unione Sovietica. Il suo momento culminante fu l’assalto al Palazzo d’inverno, sede ufficiale del governo russo, avvenuto nella notte tra il 7 e l’8 novembre 1917: cioè la notte tra il 23 e il 24 ottobre secondo il calendario Giuliano utilizzato all’epoca in Russia. Questo lo sanno tutti quelli che ricordano almeno un po’ le cose studiate a scuola o all’università. Quello che pochi ricordano è che la Rivoluzione di ottobre non fu fatta contro lo zar, che era stato deposto otto mesi prima durante la Rivoluzione di febbraio. Quando i bolscevichi assaltarono il Palazzo d’inverno, al suo interno sedeva il governo provvisorio, formato dai leader rivoluzionari più liberali e moderati. L’assalto al Palazzo fu quindi, in un certo senso, uno scontro interno alla sinistra.
La storia di come si arrivò all’assalto del Palazzo è molto nota. Nel 1914 la Russia entrò nella Prima guerra mondiale del tutto impreparata. Gli eserciti dello zar subirono una sconfitta dietro l’altra mentre le loro poche vittorie furono sanguinose e futili. Nel 1916 i soldati erano stanchi di combattere, la situazione economica era disastrosa, mancavano cibo e beni di prima necessità. La popolazione delle grandi città, gli intellettuali e le forze politiche democratiche e intellettuali ne avevano oramai abbastanza del regime zarista. All’inizio del 1917 una serie di proteste nella capitale Pietrogrado (il cui nome era stato cambiato perché San Pietroburgo aveva un suono troppo tedesco) si trasformò in un’insurrezione generale. Dopo tre giorni di scioperi e scontri lo zar decise di abdicare: venne formato un governo provvisorio, formato in gran parte da liberali e da forze della sinistra moderata. Accanto al governo nacquero i “Soviet”, assemblee più o meno spontanee di soldati e operai in cui erano molto forti i partiti della sinistra più radicale: Socialisti Rivoluzionari, menscevichi e soprattutto quelli che sarebbero divenuti più famosi di tutti, cioè i bolscevichi.
I leader principali dei bolscevichi, da sinistra a destra: Stalin, Lenin e Kalinin
Per otto mesi la Russia fu governata con crescenti tensioni da questi due poteri: da un lato il governo provvisorio formato da borghesi, liberali e moderati, dall’altro i Soviet, e in particolare quelli di Mosca e Pietrogrado, le due città più grandi e importanti del paese. Con il passare dei mesi le loro posizioni si fecero sempre più distanti. I più moderati tra i leader dei Soviet si avvicinarono al governo provvisorio, tanto che uno dei loro leader, il Socialista Rivoluzionario Aleksandr Kerenskij, un famoso avvocato da anni impegnato in politica, ne divenne il capo. Dalla parte opposta anche la sinistra estrema divenne sempre più radicale. Ad aprile i bolscevichi ricevettero un inaspettato regalo quando il governo tedesco – all’epoca ancora in guerra con la Russia – aiutò Lenin a raggiungere Pietrogrado, trasportandolo dalla Svizzera, dove si trovava in esilio, fino alla Finlandia e da lì in Russia.
Sotto la guida di Lenin i bolscevichi misero in atto un’offensiva propagandistica basata un programma scritto apposta per attrarre le masse operaie delle grandi città e i soldati dell’esercito: fine immediata della guerra, distribuzione di pane alla popolazione e maggiore autorità e autonomia per i consigli degli operai e soldati. Il programma era riassunto nello slogan: “Tutto il potere ai Soviet!”. La posizione radicale e senza compromessi di Lenin e dei bolscevichi gli causò parecchi guai durante l’estate, quando per alcune settimane sembrava che il clima politico volgesse a favore del governo provvisorio. A un certo punto Lenin fu arrestato e così anche il suo compagno di partito Leon Trotsky, leader delle milizie bolsceviche. Ma fu una sconfitta temporanea.
L’esercito al fronte subì ulteriori disfatte, la situazione economica e alimentare della città peggiorò ulteriormente e il governo si trovò rapidamente in una situazione disperata. Seppur una minoranza nel paese, i bolscevichi iniziarono a diventare sempre più forti a Pietrogrado: a ottobre erano ormai i padroni assoluti dei Soviet cittadini. A metà ottobre Lenin poté tornare in città senza più timore di essere arrestato. La leadership del partito si riunì e con un voto per dieci a due del suo comitato dirigente decise di rimuovere il governo, con la forza se necessario.
Nei tre giorni successivi a Pietrogrado il clima divenne tesissimo. I bolscevichi iniziarono apertamente a raccogliere le forze con cui rimuovere il governo. Kerenskij e i suoi ministri cercarono di radunare in città truppe leali, ma non sembrava possibile trovarne in città, dove tutta la guarnigione era oramai stufa della guerra e del governo provvisorio e disposta a tutto pur di non vedersi inviata di nuovo al fronte. Il 6 novembre Kerensky prese in prestito un’auto dall’ambasciata americana (al governo era risultato impossibile trovare qualsiasi altro veicolo) e lasciò Pietrogrado. Quella sera soldati e marinai dei soviet insieme a gruppi di operai armati occuparono senza sparare un colpo tutti gli uffici telegrafici della città, le centrali telefoniche e le stazioni ferroviarie. Entrarono negli arsenali cittadini e furono accolti dagli abbracci dei soldati di guardia.
La mattina del giorno dopo, il 7 novembre, quel che restava del governo provvisorio si riunì al Palazzo d’Inverno, antica dimora degli zar e oggi parte del Museo dell’Hermitage, un maestoso e imponente edificio affacciato sul fiume Neva. A proteggerli c’era la piccola guarnigione del palazzo: un migliaio tra cadetti dell’accademia e cosacchi e altre mille soldati di un battaglione femminile. I bolscevichi a quel punto potevano contare su circa 40 mila uomini armati oltre ai marinai della base di Kronstadt, un gruppo particolarmente radicale che aveva già processato e fucilato un ammiraglio e parecchi altri ufficiali. Erano loro a manovrare l’incrociatore Aurora, che durante la giornata si ancorò nella Neva, puntando minacciosamente i suoi cannoni contro il palazzo. La guarnigione intanto aveva barricato tutte le entrate del palazzo, mentre il governo si riuniva e discuteva il suo futuro tenendosi lontano dalle finestre, per timore di attirare il fuoco dei bolscevichi.
L’assalto al palazzo dal film “Ottobre” (1928) di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn
Per tutto il giorno non ci furono né scontri né spari. Anzi: alcuni funzionari riuscirono a uscire dal palazzo e altri a entrarvi. Soltanto al tramonto il blocco divenne completo. I ministri tennero la loro ultima riunione in una sala buia, per timore di attirare l’attenzione accendendo le luci. Coraggiosamente decisero di respingere l’ultimatum con cui i bolscevichi gli chiesero di arrendersi. Poco dopo, erano le due di notte, i bolscevichi attaccarono. I piccoli cannoni sequestrati dagli arsenali cittadini spararono contro le barricate, l’Aurora sparò contro il palazzo ma solo colpi a salve, che fecero poco altro oltre che rimbombare su tutta la città. La guarnigione, sostanzialmente, non oppose resistenza. Non ci furono scontri violenti e cariche alla baionetta, ma soltanto qualche sporadica sparatoria negli immensi corridoi del palazzo. Alla fine tutto si risolse in pochi minuti, con due morti, qualche decina di feriti e l’arresto di tutti i componenti del governo.
Nelle settimane successive, Lenin e i bolscevichi presero il controllo di Pietrogrado e di tutte le principali istituzioni politiche russe, instaurando quella che divenne in breve tempo una dittatura, con arresti arbitrari e fucilazioni. Poco dopo Lenin firmò la pace con la Germania che aveva chiesto per mesi, ma questo non significò portare finalmente la pace in Russia. Iniziò una guerra civile tra i bolscevichi e le forze rimaste fedeli allo zar, che si erano riorganizzate alla periferia dell’impero e avevano ricevuto aiuti e finanziamenti dalle potenze occidentali, spaventate dalla rivoluzione comunista. Con l’assalto al Palazzo d’Inverno iniziò così un altro conflitto che sarebbe durato cinque anni, fino all’ottobre del 1922. A quel punto Lenin era oramai malato e indebolito e un nuovo leader si stava affacciando alla guida dello stato che aveva creato nella notte del 7 novembre: Josif Stalin.