Cosa c’è dentro i “Paradise Papers”
Una montagna di documenti sottratti a due società finanziarie mostra gli investimenti off shore – legali ma imbarazzanti – di persone importanti e aziende famose
Una grande quantità di documenti finanziari – oltre 13 milioni di file – sono stati sottratti a due società che forniscono servizi finanziari off shore e poi inviati al giornale tedesco Süddeutsche Zeitung, che li ha condivisi con l’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) e altre testate internazionali. I documenti, che l’ICIJ ha deciso di chiamare “Paradise Papers”, raccontano gli investimenti di fondi e personaggi pubblici di vario tipo in località in cui esiste una tassazione molto bassa (molti sono comunemente definiti “paradisi fiscali”) in società off shore.
Si definisce società off shore un’organizzazione che ha la propria sede legale in un paese diverso da quello nel quale sviluppa i suoi affari principali: questo paese estero prevede spesso leggi e tassazioni morbide o flessibili. I cosiddetti “paradisi fiscali” offrono poi in genere ampia riservatezza sulle attività finanziarie che hanno sede nella loro giurisdizione. In moltissimi casi i “Paradise Papers” non mostrano niente di illegale – uno dei paesi di cui si parla è Malta, che è persino parte dell’Unione Europea – ma possono essere politicamente delicati o imbarazzanti per le persone e gli enti coinvolti. La società a cui è stata rubata la gran parte dei documenti, che si chiama Appleby/Estera, ha detto di non aver fatto niente di illegale.
I documenti coprono un periodo che va dal 1950 al 2016 e riguardano tantissime aziende famose e persone importanti che in qualche momento a vario titolo hanno posseduto direttamente o indirettamente investimenti in società off shore; di seguito alcune delle storie più significative.
Il fondo privato della regina Elisabetta II
Milioni di sterline della regina Elisabetta II sono stati investiti legalmente in un fondo nelle Isole Cayman. Quel fondo a sua volta detiene quote di minoranza in due società accusate in passato di approfittare delle situazioni economiche difficili delle famiglie più povere. Una di queste società si chiama BrightHouse: è una catena di negozi di noleggio e acquisto di beni attraverso pagamenti settimanali; i prodotti finiscono per essere venduti a un prezzo molto alto, grazie a tassi di interessi altissimi, mascherato dalle piccole dimensioni della rata settimanale. Il Ducato di Lancaster, che si occupa degli investimenti privati del sovrano del Regno Unito, ha detto di non sapere nulla della quota in BrightHouse.
Bono Vox, Malta e la Lituania
Il cantante degli U2 era co-direttore di una società con sede a Malta che ha comprato un centro commerciale in Lituania nel 2007. L’operazione era legale e Malta non è tecnicamente un paradiso fiscale, ma le sue tasse per i profitti di società straniere sono molto basse, allo scopo di incentivare gli investimenti dall’estero. La società è stata chiusa nel 2015, Bono ne era socio di minoranza.
Il ministro del Commercio di Trump e i russi
Wilbur L. Ross, ministro del Commercio degli Stati Uniti, dopo essere diventato membro dell’amministrazione Trump ha mantenuto legalmente i suoi investimenti in una società legata al genero di Vladimir Putin, Kirill Shamalov, e a un oligarca russo soggetto a sanzioni internazionali, Gennady Timchenko, grande amico di Putin e suo compagno di judo. La società, che si chiama Navigator Holdings e si occupa di trasporto merci, guadagna ogni anno milioni di dollari da Sibur, una società energetica russa i cui proprietari comprendono il genero di Putin e l’oligarca di cui sopra. Ross controlla il 31 per cento di Navigator Holdings attraverso una catena di società nelle Isole Cayman.
Altri membri del governo Trump
Gary D. Cohn – capo dei consulenti economici della Casa Bianca, ex alto dirigente di Goldman Sachs – è associato a 22 società finanziarie con sede nelle Bermuda. Rex Tillerson – segretario di Stato, ex capo della società petrolifera Exxon – era parte del cda di una società congiunta tra Exxon e il governo dello Yemen che gestiva le operazioni di Exxon in Yemen.
La Russia, Facebook e Twitter
Due società statali russe in passato hanno investito in Facebook e Twitter attraverso un socio in affari di Jared Kushner, genero e alto consigliere di Donald Trump alla Casa Bianca. Il socio in questione è l’imprenditore russo Yuri Milner, che condusse gli investimenti per conto del governo russo e ha anche una quota in una società insieme a Kushner. Facebook e Twitter non sapevano che l’investimento di Milner era stato condotto con i fondi della banca statale VTB e con una società finanziaria di Gazprom, una grandissima compagnia energetica russa.
L’investimento in Twitter era da 191 milioni di dollari e risale al 2011. Quello in Facebook valeva azioni per un miliardo di dollari. La società di Milner, attraverso cui furono effettuati gli investimenti, ha quote anche di Cadre (una start-up di cui Kushner è coproprietario, insieme al fratello) e poi grandi società come Airbnb, Spotify e Alibaba. Milner vive nella Silicon Valley. Sia la banca VTB che Gazprom sono oggetto di sanzioni internazionali. L’investimento di Gazprom in Facebook si è concluso cinque anni fa, quando Facebook si è quotata in borsa.
Glencore, Israele e un miliardario israeliano
La più grande società mineraria al mondo, Glencore, ha prestato 45 milioni di dollari a un miliardario israeliano, Dan Gertler, perché facesse da intermediario in occasione di un importante accordo per lo sfruttamento dei giacimenti in Repubblica Democratica del Congo. Gertler ha notoriamente ottimi rapporti con il presidente della Repubblica Democratica del Congo e i suoi stretti consiglieri. Glencore è stata criticata a lungo per i suoi rapporti col governo locale: in passato ha finanziato il presidente Joseph Kabila per l’acquisto di armi per la sua milizia personale, in cambio dello sfruttamento di una miniera di diamanti.
Il consigliere di Justin Trudeau
Un fondo di investimenti familiare di Stephen Bronfman, consigliere e fundraiser per il primo ministro canadese Justin Trudeau, ha effettuato operazioni che, secondo il Guardian, “potrebbero avere legalmente aggirato il fisco negli Stati Uniti, in Canada e in Israele”. Insomma non è nemmeno certo che l’aggiramento, che eventualmente sarebbe stato legale, sia davvero avvenuto.