L’Uzbekistan sta cambiando in meglio
Tra la sorpresa di molti esperti, uno dei paesi meno liberi al momento si sta piano piano aprendo, ma siamo ancora molto lontani da qualsiasi cosa che assomigli a una democrazia
In Uzbekistan da un anno a questa parte le cose stanno cambiando in meglio, tra lo stupore di molti analisti ed esperti. Dopo la morte dell’ex presidente Islam Karimov, nel settembre 2016, il governo uzbeko ha cominciato a introdurre delle piccole ma significative aperture nel proprio sistema politico e sociale: per esempio ha dato più poteri ai consigli municipali eletti, ha organizzato incontri con organizzazioni per la difesa dei diritti umani e ha ridotto il numero degli studenti che vengono destinati alla raccolta di cotone in campi di proprietà del governo con stipendi bassissimi. Ha anche allentato leggermente il controllo sul giornalismo politico e ha permesso qualche dibattito politico televisivo in diretta. L’Uzbekistan, il terzo paese per popolazione in Asia centrale, era conosciuto fino a poco tempo fa come uno dei paesi meno liberi al mondo.
È difficile dire cosa stia succedendo, anche perché la struttura di potere uzbeka è molto chiusa e opaca. Potrebbe essere l’inizio di cambiamenti politici più ampi, legati a riforme economiche liberiste, oppure – dicono alcuni osservatori internazionali – potrebbe essere solo un tentativo per spingere la comunità internazionale a eliminare le sanzioni imposte sulle esportazioni di cotone, che stanno danneggiando l’economia uzbeka. Il New York Times ha provato a raccontare come stanno andando le cose, concentrandosi su diverse cose interessanti, per esempio sullo scontro di potere tra due personaggi chiave del regime dell’Uzbekistan: il presidente Shavkat Mirziyoyev, che sembra essere il principale promotore di questi cambiamenti, e Rustam Inoyatov, capo dei servizi segreti uzbeki, che rappresenterebbe invece l’ala più dura e intransigente del governo.
Il fatto che Mirziyoyev venga considerato il politico che più sta promuovendo il cambiamento in Uzbekistan, racconta il New York Times, è sorprendente: all’inizio del suo mandato era molto diffusa tra esperti ed analisti la convinzione opposta. Mirziyoyev era stato per 13 anni primo ministro sotto la presidenza Karimov e si era sempre mostrato in accordo con le dure politiche di repressione attuate dall’allora presidente uzbeko. Sembra che le cose siano cambiate: sembra che Mirziyoyev sia riuscito, almeno per ora, a imporsi su Inoyatov, potente capo dell’agenzia d’intelligence interna uzbeka, il SNB, che prese il posto del KGB dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Inoyatov viene considerato l’ala dura del regime per diverse ragioni: per esempio perché era stato lui a convincere l’ex presidente Karimov a perseguire e arrestare la sua stessa figlia, Gulnara Karimova, con le accuse di estorsione e appropriazione indebita. Non è chiaro in che modo Mirziyoyev sia riuscito ad ottenere più potere di Inoyatov nell’Uzbekistan post-Karimov. E non è chiaro nemmeno per quale motivo il governo stia promuovendo questi cambiamenti.
Secondo il New York Times, una ragione potrebbe essere la necessità dell’Uzbekistan di fare riforme economiche e smantellare il vecchio sistema imposto da Karimov, che aveva mantenuto il paese in una situazione di preoccupante povertà. Per aprirsi agli investimenti stranieri, il governo uzbeko starebbe cercando di cambiare la sua immagine in Occidente, oltre che di migliorare i suoi rapporti con gli stati vicini, come l’Afghanistan. Anche il vecchio culto della personalità che glorificava Karimov sta subendo dei cambiamenti: il nuovo governo sta cercando di promuovere una nuova idea nazionale, non più centrata su Karimov ma su un “Islam illuminato”, basata sulla modernizzazione dell’Islam, la religione maggioritaria in Uzbekistan.
Non si può ancora dire se le aperture del governo uzbeko dureranno nel tempo o se siano solo delle mosse temporanee per ottenere altro. C’è anche da considerare che le recenti aperture e la minore repressione non significa che l’Uzbekistan sia cambiato da un giorno all’altro, o che sia diventato anche lontanamente un paese democratico: per esempio il mese scorso è stato arrestato un noto scrittore dissidente, Nurullo Otahonov; non è ancora stata permessa l’istituzione di organizzazioni non governative indipendenti né di partiti politici; e migliaia di persone sono ancora imprigionate per le loro idee politiche, più di quante siano rinchiuse nelle prigioni di tutte le altre repubbliche ex sovietiche.
Steve Swerdlow, ricercatore di Human Rights Watch ed esperto del sistema politico uzbeko, ha detto: «La questione ora è capire quanto questi cambiamenti diventeranno strutturali e sostenibili» nel tempo. Il New York Times ha scritto comunque che se i cambiamenti continueranno «ridisegneranno la mappa politica nel centro dell’Asia».