La prima unione civile celebrata in carcere
Per Rebibbia è stata una giornata di festa, racconta Repubblica: si sono unite due compagne di cella di 25 e 29 anni
Giovedì nel carcere di Rebibbia, a Roma, si è celebrata la prima unione civile in un carcere italiano. Si sono unite due compagne di cella di 25 e 29 anni, Adriana e Camila. Le due si erano conosciute proprio dentro al carcere (entrambe sono dentro per reati legati al traffico di droga). «Per Rebibbia è stata una giornata di festa», hanno raccontato Enrico Bellavia e Maria Elena Vincenzi su Repubblica. L’idea di celebrare la cerimonia in carcere era stata condivisa sia dalla direttrice sia da psicologi ed educatori: alla cerimonia hanno assistito anche l’assessore allo Sport della città, Daniele Frongia, e il garante dei detenuti del Lazio. Camila uscirà dal carcere all’inizio del 2018, Adriana nel 2019.
«Siamo felicissime, sogniamo di poter vivere insieme fuori al più presto, anche se qui dentro ci siamo trovate ed è nato il nostro amore», raccontano [le spose] a Marta Bonafoni, consigliere regionale, e a Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio.
Coccolate dalle compagne, aiutate da agenti ed educatori, sostenute dalla famiglia di Adriana, hanno celebrato l’unione civile, la prima in un penitenziario. Un punto di non ritorno nel difficile cammino per garantire l’affettività anche a chi è recluso. Due anni fa, il primo incontro. Adriana racconta senza pudori: «Ho sempre saputo di essere omosessuale. Ho avuto altre compagne, ma nulla di paragonabile a Camila. All’inizio avevo paura, non capivo se lei fosse davvero innamorata». Le porte girevoli della giustizia hanno fornito le prove che cercavano.
Adriana, polacca, 25 anni, è venuta in Italia da bambina. La madre e il suo nuovo marito a lavorare nei campi. Lei a crescere tra lavori di casa e amicizie sbagliate. Poco più che maggiorenne, i primi problemi. Due anni fa, il carcere. E qui conosce Camila, 29 anni, un figlio piccolo rimasto con i nonni in Brasile. A vederle sembrano quasi coetanee, «non glielo dica che si monta la testa».