Cosa deve fare Tiffany per tornare Tiffany
La più famosa azienda di gioielli al mondo ha perso fascino e le sue vendite sono in declino, ma la crisi non è inesorabile
Tiffany è probabilmente l’azienda di gioielli e argenteria più famosa al mondo: fondata nel 1837, era il simbolo del lusso negli anni Cinquanta, quando Truman Capote titolò il suo romanzo più popolare Colazione da Tiffany (Breakfast at Tiffany’s), poi diventato un film con Audrey Hepburn. Il suo prestigio è continuato nel tempo anche se negli ultimi trent’anni l’azienda è diventata più accessibile a tutti e ha puntato molto sulla clientela giovane con collezioni più economiche, come le chiavi, proposte dal 2009, e i ciondoli d’argento, soprattutto quelli a forma di cuore.
Negli ultimi tempi però Tiffany fa sempre più fatica, sia da un punto di vista economico – nel 2016 i guadagni sono diminuiti del 3 per cento rispetto all’anno prima, mentre le vendite nei negozi sono calate del 5 per cento – sia perché gli adolescenti la trovano sempre più noiosa e sorpassata, preferendole marchi più innovativi come Pandora o Alex and Ani. Soprattutto Tiffany sta attraversando un momento di crisi di identità e non riesce a mantenere il fascino da sempre legato al suo nome.
Negli ultimi anni ha cercato di reagire e rinnovarsi provando diverse strategie: ha nominato la sua prima direttrice creativa donna, Francesca Amfitheatrof, che ha disegnato delle linee più originali, e scelto un nuovo direttore esecutivo, Alessandro Bogliolo, in carica da inizio ottobre, con il compito di portarla fuori dalla stagnazione. Bogliolo ha una lunga esperienza nel settore del lusso: per quattro anni è stato amministratore delegato di Diesel e per 16 anni ha lavorato nell’azienda di gioielli di lusso Bulgari.
I problemi di Tiffany non sono insormontabili: Luca Solca, analista della società di investimenti Exane BNP Paribas, li ha riassunti per la rivista di moda Business of Fashion proponendo un po’ di fattibili soluzioni. «Il nocciolo del problema – scrive – sta nell’allestimento scarso dei negozi, nell’esperienza deludente che offrono ai clienti e nella “pretesa di essere qualcosa di esclusivo” mentre vende milioni di copie di uno stesso oggetto in tutto il mondo». Tiffany ha insomma un grosso problema con i suoi punti vendita, soprattutto negli Stati Uniti, che non sono abbastanza belli e attraenti, e un problema di immagine.
Per prima cosa Solca critica la confusione che nasce dal vendere sia alta gioielleria che argenteria: diamanti rarissimi mescolati a ciondolini d’argento e vassoi. La stessa Tiffany ha identificato il problema e ha cercato di ridurre la presenza dell’argenteria nei suoi nuovi negozi in Cina, non esponendola, relegandola nel fondo del negozio o al primo piano. Un passo più radicale sarebbe separare le due collezioni, per esempio vendendo l’argenteria solo online e magari appoggiandosi a un formato di negozi al dettaglio specializzati e in località più marginali, e offrire nei negozi soltanto l’alta gioielleria. In questo modo l’immagine di azienda di lusso sarà rafforzata.
Un altro passo sarà rinnovare completamente i negozi: molti, soprattutto quelli negli Stati Uniti in cui comprano i turisti, sono vecchi, hanno un allestimento sorpassato e non offrono un’esperienza eccezionale, che è invece la strategia scelta dalle aziende che funzionano per vendere al dettaglio. E poi bisogna puntare su nuovi settori – come la produzione di orologi femminili, cosa che Tiffany ha avviato da poco sull’esempio di altre catene di gioielli di lusso – e sulle linee di design, come la collezione T, dalle linee più moderne, disegnata negli ultimi anni.
In breve l’obiettivo di Tiffany dev’essere recuperare l’immagine di marchio esclusivo: il punto non è esserlo, ma dare ai clienti l’idea di esserlo. Per questo va ribaltata la strategia pubblicitaria, che dagli anni Novanta presenta soprattutto gli oggetti più accessibili anziché, come fa per esempio Cartier, mostrare i diamanti e gli orologi più esclusivi e desiderabili pur mantenendo una scelta di ciondoli e accessori più democratica.