C’è una grave epidemia di peste in Madagascar
Sono stati registrati 343 casi di peste polmonare, la più pericolosa, e almeno 42 persone sono morte: l'OMS sta intervenendo
In Madagascar è in corso un’epidemia di peste polmonare, la forma più grave e mortale della peste, che secondo il ministero della Salute del paese ha interessato finora almeno 343 persone e ha causato la morte di 42. Le stime sono riferite al rapporto dello scorso 7 ottobre, ma le autorità sanitarie dicono che la quantità di nuovi casi sta aumentando rapidamente e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è attivata per monitorare la situazione. Focolai di peste sono ricorrenti in Madagascar, ma di solito riguardano la peste bubbonica, che può essere trattata più facilmente e con minori complicazioni, e aree rurali e remote.
La nuova epidemia sta invece interessando alcune delle principali città del Madagascar e potrebbe diventare un serio problema: mentre quella bubbonica è trasmessa dal passaggio di pulci e pidocchi da ratti a esseri umani, la peste polmonare si può trasmettere per via aerea, più o meno come un raffreddore o un’influenza, quindi molto più facilmente e velocemente.
La peste è causata dal batterio Yersinia pestis, che viene in contatto con l’uomo per via diretta quando si viene morsi dalle pulci dei ratti, o per via indiretta se si viene morsi da un ratto o da un altro roditore infestato dalle pulci. I sintomi dipendono molto dalle aree in cui si concentrano le colonie di batteri nell’organismo, che portano quindi alla definizione di peste polmonare, bubbonica o setticemica. La peste polmonare ha un periodo di incubazione (cioè il tempo che passa tra il momento del contagio e quello in cui si hanno i primi sintomi) che varia a seconda delle persone e va da 1 a 7 giorni. Di solito si hanno abbassamento della temperatura corporea, difficoltà a respirare, tosse e debolezza. Se la malattia non viene trattata per tempo, si aggiungono altri disturbi come gravi problemi neurologici ed edema polmonare acuto (accumulo di liquidi nei polmoni), che causa la morte.
Il primo caso identificato in Madagascar della nuova epidemia è stato un uomo di 31 anni, che aveva sintomi simili a quelli della malaria e che aveva compiuto un viaggio da un’area rurale del paese fino alla capitale Antananarivo. È morto il 27 agosto scorso e nelle settimane seguenti sono stati rilevati diversi casi di peste lungo il tragitto che aveva seguito per raggiungere la città. Il picco è stato registrato ad Antananarivo, dove è stata disposta la chiusura delle scuole e la cancellazione di alcuni eventi pubblici, per evitare grandi assembramenti di persone che fanno aumentare il rischio di contagio. L’epidemia interessa ormai 20 distretti in 10 regioni del paese e sta continuando a estendersi velocemente.
L’OMS è stata informata sulla situazione alla fine di settembre, dopo che era stata segnalata la morte di una donna di 47 anni in uno degli ospedali di Antananarivo. Il rischio di contagio, secondo l’organizzazione internazionale, è alto a livello nazionale mentre è classificato come moderato per le aree geografiche intorno al Madagascar. L’OMS non ritiene che per ora ci siano rischi consistenti a livello internazionale, ma la situazione è tenuta sotto controllo e le valutazioni del rischio potrebbero cambiare nei prossimi giorni.
L’OMS ha disposto la consegna di 1,2 milioni di dosi di antibiotici nel Madagascar la settimana scorsa: se trattata per tempo con questi farmaci, la peste polmonare può essere curata con relativa facilità. È stato inoltre disposto un fondo di emergenza da 1,5 milioni di dollari ed è in programma l’invio di altri farmaci.
Nell’immaginario collettivo, la peste è soprattutto associata al medioevo e alle grandi epidemie che interessarono l’Europa, come la “peste nera” che uccise decine di milioni di persone. In realtà la malattia è un problema attuale in diversi paesi in giro per il mondo, anche se il tasso di mortalità dei contagiati si è ridotto drasticamente grazie agli antibiotici. L’OMS stima che il picco più recente di casi di peste sia stato nel 2013, quando ne furono segnalati 772 con la morte di 130 persone.