Non è vero che l’ISIS rivendica qualsiasi cosa
Ed è il motivo per cui la rivendicazione dell'attacco di Las Vegas non dovrebbe essere sottovalutata: ma se le cose intanto fossero cambiate?
Da giorni la polizia del Nevada e l’FBI sono alla ricerca di un movente per la strage di domenica scorsa a Las Vegas, dove Stephen Paddock ha sparato sul pubblico di un concerto country dal 32esimo piano del suo hotel, uccidendo 58 persone e ferendone oltre 500 prima di uccidersi. L’assalitore – un uomo bianco statunitense di 64 anni – aveva con sé un arsenale di armi, con fucili modificati per sparare a ripetizione e migliaia di munizioni, utilizzate per un attacco preparato meticolosamente nei giorni precedenti con modalità insolite rispetto ai numerosi altri casi di sparatorie negli Stati Uniti dei tempi recenti. Sulla ricerca del movente si innestano le nuove rivendicazioni dello Stato Islamico (o ISIS), che continuano a definire Paddock un “soldato” del gruppo terroristico, nonostante non siano ancora emerse prove di qualsiasi tipo per dimostrarlo. Proprio la mancanza di un movente apparente rende il caso di Las Vegas fin qui diverso dalle altre sparatorie di massa della storia statunitense: di solito nel giro di poche ore gli investigatori trovano prove e testimonianze di problemi mentali dell’attentatore, o sue idee politiche o religiose molto estremiste.
Alle rivendicazioni dello Stato Islamico dei giorni scorsi si è aggiunta ieri “Naba”, la newsletter che viene pubblicata settimanalmente dall’ISIS per aggiornare sulle proprie attività e farsi propaganda. L’edizione di questa settimana mostra il Mandalay Bay Hotel, l’albergo dal quale Paddock ha sparato, tinto di rosso sangue e con frasi per festeggiare il risultato ottenuto dal loro “soldato”. “Naba” sostiene che Paddock si fosse convertito alla causa dell’ISIS sei mesi fa, fornendo per la prima volta una linea temporale e qualche dettaglio in più rispetto alle rivendicazioni precedenti, che erano molto generiche. La newsletter racconta in breve come è stato condotto l’attacco, con informazioni derivate probabilmente dalla lettura di giornali e di siti di news occidentali. Ancora una volta, però, non vengono portate prove per dimostrare che Paddock fosse effettivamente un “soldato” dell’ISIS, condizione che ha rinnovato dubbi e perplessità tra esperti e analisti. Molti hanno detto che all’ISIS non costa niente rivendicare attacchi che non ha compiuto ma Rukmini Callimachi, tra le più grandi esperte dello Stato Islamico e autrice di articoli sul terrorismo per il New York Times, invita a non sottovalutare le rivendicazioni di questi giorni e a non farsi condizionare dal luogo comune per cui “nel dubbio, l’ISIS rivendica sempre”. La storia recente dimostra che sono molto rari i casi in cui lo Stato Islamico si sia attribuito la paternità di un attacco, compiuto da un suo militante o di simpatizzanti.
Su Telegram, il sistema per scambiarsi messaggi criptati utilizzato da molti membri dell’ISIS con decine di chat dove condividono informazioni e seguono le attività del gruppo, alcuni militanti hanno iniziato a sostenere che i governi dell’Occidente in combutta con i media vogliano insabbiare il “martirio” di Las Vegas. Naturalmente non è così: da giorni si parla in tutto il mondo della possibilità che sia stato un membro dell’ISIS a effettuare l’attacco. Diversi esperti invitano però a non escludere a priori che possa esserci stato un ruolo del gruppo terroristico, in attesa di prove convincenti sul movente di Paddock. Callimachi spiega così, infatti, perché non è d’accordo con gli analisti arrivati rapidamente alla conclusione che a Las Vegas non possa essere stato l’ISIS:
Dal 2014 ho tenuto aggiornata una timeline. Ogni volta che l’ISIS ha rivendicato un attacco in Occidente, me lo sono annotata. Mesi dopo, sono andata a vedere cosa mi ero segnata e cosa avessero scoperto le indagini. La mia lista non è completa, ma in oltre 50 casi che mi ero annotata, ho potuto trovare solo 3 rivendicazioni che si sono rivelate false.
In molti casi l’ISIS esagera con il numero dei morti, dei feriti e con la portata generale degli attacchi, ma le sue rivendicazioni sono quasi sempre corrette e puntuali; e anzi è capitato che l’ISIS non abbia rivendicato attacchi che le intelligence occidentali ritengono siano stati compiuti da persone molto vicine allo Stato Islamico. Accade talvolta che le informazioni siano meno precise: in molti casi gli attacchi sono condotti da simpatizzanti dell’ISIS che si radicalizzano da soli, che scelgono da soli il loro obiettivo e si organizzano autonomamente. Del resto sono gli stessi leader dell’ISIS a invitare militanti e simpatizzanti a essere autonomi e a organizzare quanti più attacchi possibile: tenere traccia di tutto è complicato anche per loro.
In generale, l’ISIS si attribuisce la paternità degli attacchi che ha “ispirato” oltre a quelli gestiti direttamente dal suo gruppo. Finora nel caso di Las Vegas non sono però emerse prove che dimostrino un legame tra Paddock e lo Stato Islamico, per questo c’è chi ritiene che la rivendicazione sia solo strumentale e tesa a distrarre l’attenzione dalle importanti perdite militari che il gruppo sta subendo tra Siria e Iraq. Il fatto è che ci sono molti altri attentati sospetti o ricondotti all’ISIS che lo stesso Stato Islamico non ha mai rivendicato, anche quando aveva la possibilità di farlo. Tra questi ci sono la sparatoria su un treno diretto da Amsterdam a Parigi nel 2015, la sparatoria al Museo ebraico di Bruxelles dell’anno precedente e l’attacco all’aeroporto di Istanbul del 2016, mai rivendicato dall’ISIS nonostante le indagini abbiano indicato l’origine dell’attentato nel terrorismo islamico.
A prescindere da un coinvolgimento diretto o indiretto ancora tutto da dimostrare, l’insistenza dell’ISIS su Las Vegas merita di essere approfondita e non sottovalutata. Anche per questo motivo le indagini si stanno concentrando sulla vita che conduceva Paddock, sulle sue conoscenze e su eventuali sue attività online dove per molti inizia la radicalizzazione, attraverso i canali della propaganda di gruppi come lo Stato Islamico, nonché sull’eventualità di una sua effettiva recente conversione all’Islam.
Intanto, un funzionario di polizia ha detto in forma anonima ad Associated Press che dalle indagini sono emerse prenotazioni effettuate da uno Stephen Paddock per stanze d’albergo e su Airbnb in prossimità di altri concerti. Una prenotazione fu effettuata lo scorso agosto presso un hotel nelle vicinanze del festival musicale Lollapalooza a Chicago, mentre a fine settembre era stato prenotato un appartamento su Airbnb vicino a dove si stava tenendo lo spettacolo “Life Is Beautiful” a poca distanza dalla Strip, la lunga via dei casinò di Las Vegas. In entrambi i casi la posizione delle sistemazioni consentiva di dominare dall’alto l’area circostante, ma non è chiaro perché Paddock avesse fatto le prenotazioni e nel caso di Chicago non si sa ancora se si fosse poi presentato all’hotel. La polizia di Las Vegas ha inoltre confermato che probabilmente Paddock aveva pronto un piano per fuggire dopo l’attacco dal Mandalay Bay, ma non ha per ora fornito altri dettagli.
Al di là di tutte le cautele del caso, e dell’importanza di non sottovalutare le rivendicazioni dello Stato Islamico, va comunque tenuto conto che ultimamente la stessa Amaq ha dimostrato di essere meno credibile di un tempo, ingigantendo le notizie per coprire le gravi difficoltà che sta attraversando l’ISIS anche nel suo settore dei media, uno di quelli più organizzati e potenti. Come ha scritto Daniele Raineri sul Foglio, «o il gruppo terroristico più pericoloso ma anche più in crisi del mondo non riesce a tirare fuori qualche prova a sorpresa – per esempio un video di Paddock che giura fedeltà a Baghdadi, la cosiddetta bay’a – oppure Amaq, che temiamo per i suoi annunci di stragi, ha fatto un passo verso il ridicolo».