Il banchiere Cesare Geronzi è stato condannato in via definitiva a 4 anni per il caso Cirio
Il banchiere Cesare Geronzi è stato condannato dalla Corte di cassazione a 4 anni di carcere per il cosiddetto “crac Cirio”, che nel 2002 causò la perdita di 1,125 miliardi di euro a 35 mila risparmiatori e alle altre società che avevano investito nell’azienda. L’allora proprietario di Cirio, Sergio Cragnotti, dovrà invece essere processato una seconda volta dalla Corte d’appello. All’epoca del crac, tecnicamente un default sulle obbligazioni emesse dalla società, Geronzi era presidente di Capitalia, una banca d’affari che aveva curato per Cirio l’emissione di alcune obbligazioni. In primo grado Geronzi era stato condannato a 4 anni, pena poi confermata in appello e cassazione. Di questi quattro anni, tre saranno scontati grazie all’indulto del 2006.
Geronzi, che oggi ha 82 anni, è stato per decenni uno dei principali esponenti della finanza italiana, in particolare di quella romana che spesso, per via dei suoi collegamenti con la Chiesa, viene definita “cattolica”, in opposizione alla finanza delle grandi banche del nord Italia, a lungo soprannominata “finanza laica”. Iniziò a lavorare in Banca d’Italia e poi divenne un importante manager bancario. Aggregando numerose altre società alla Cassa di Risparmio di Roma, una delle prime banche private che si trovò a gestire, creò Capitalia, una delle principali banche del centro Italia. Capitalia fu poi acquistata da Unicredit per 22 miliardi di euro e Geronzi divenne presidente di Mediobanca, la più importante istituzione della “finanza laica”. Passò poi alla presidenza delle Assicurazioni Generali, da cui fu costretto a dimettersi nel 2011. Oltre al crac Cirio, Geronzi è stato coinvolto anche nel fallimento di Parmalat.