Il problema del mondo con il cibo sta diventando l’opposto di prima
Oggi ci sono più persone obese che sottopeso, ed è un problema che riguarda sempre di più proprio i paesi poveri
Oggi nel mondo ci sono più persone obese che sottopeso. Si potrebbe pensare che sia una cosa positiva, legata al fatto che è diventato più facile procurarsi da mangiare e che c’è meno gente che soffre la fame, ma le cose non sono così semplici: ci sono altre forme di malnutrizione oltre alla denutrizione, e secondo molti esperti stiamo assistendo a una grande diffusione di malattie legate all’alimentazione come il diabete e le patologie cardiache. Altro fatto non scontato: queste malattie croniche e l’obesità a cui si accompagnano non sono proprie dei paesi più ricchi ma sono invece sempre più frequenti nei paesi in via di sviluppo, i posti dove fino a vent’anni fa in molti soffrivano la fame. Si è passati da una forma di malnutrizione per mancanza di cibo a una dovuta al consumo di cibi economici ma di bassa qualità, ipercalorici ma poco nutrienti: quello che alcuni chiamano “cibo spazzatura”. Chi ne è affetto è sovrappeso, ma comunque denutrito o malnutrito.
Il colore di ogni paese è determinato dal rapporto tra il fabbisogno energetico medio, diverso per ogni paese, e la disponibilità media di cibo in ogni paese. I paesi in rosso e giallo hanno il rapporto più problematico fra i due indicatori (mappa di Riccardo Pravettoni)
Le persone obese nel mondo sono più di 700 milioni e 108 milioni di loro sono bambini. Dal 1980 quattro milioni di persone sono morte a causa di condizioni legate all’obesità; da allora la percentuale di persone obese è raddoppiata in 73 diversi paesi. In Mali la percentuale di popolazione obesa è passata dallo 0,7 per cento nel 1980 all’11 per cento nel 2015; nello stesso periodo di tempo in Brasile si è passati dal 7 al 18 per cento di popolazione obesa (il 58 per cento è sovrappeso e ogni anno a 300mila persone viene diagnosticato il diabete di tipo 2), in Cina dallo 0,7 al 5 per cento. Il New York Times ha fatto una lunga analisi di questo fenomeno spiegando come si sia arrivati a questo punto.
Per moltissimi esperti di nutrizione l’epidemia di obesità dipende dalle vendite di cibi confezionati, che dal 2011 al 2016 sono aumentate del 25 per cento a livello mondiale secondo la società di ricerche di mercato Euromonitor, nei soli Stati Uniti del 10 per cento; nello stesso periodo il numero di ristoranti fast food è aumentato del 30 per cento. Per quanto riguarda le bibite gassate, in America Latina le vendite sono raddoppiate dal 2000.
Da alcuni anni le grandi aziende multinazionali del settore alimentare investono molto nel mercato dei paesi in via di sviluppo: nei paesi occidentali sempre più persone si preoccupano delle conseguenze di una dieta scorretta e cercano di alimentarsi in modo sano, mentre in posti come il Brasile e l’India questo tipo di attenzione non si è ancora diffusa e quindi le società di prodotti alimentari possono usare strategie di marketing aggressive. In India, per esempio, aziende come Mondelēz e Nestlé si stanno impegnando per proporre le merendine a base di cioccolato un prodotto per adulti e non solo per bambini e stanno tenendo molto bassi i prezzi dei prodotti dolciari per diffonderne il consumo. In Brasile da dieci anni Nestlé assume venditrici porta a porta (spesso donne in difficoltà economiche) per far arrivare i propri prodotti nelle favelas; fino allo scorso luglio sponsorizzava un’imbarcazione che consegnava latte in polvere, yogurt, biscotti e altri dolci alle comunità isolate del bacino del Rio delle Amazzoni.
L’obesità non dipende solo dall’assiduo consumo di merendine, patatine e bibite gassate, c’entrano anche i geni e lo stile di vita sedentario, e per questo gli amministratori di Nestlé difendono le proprie politiche di marketing dicendo che i loro prodotti hanno aiutato a diminuire il numero di persone che soffrono la fame e che le ricette di questi prodotti sono state cambiate in modo da essere più salutari. Tuttavia Sean Westcott, il capo del settore di ricerca e sviluppo sui prodotti alimentari di Nestlé, ha detto al New York Times che l’azienda non si aspettava che rendere i propri prodotti più disponibili nei paesi in via di sviluppo avrebbe causato una maggiore diffusione dell’obesità. Ha anche aggiunto che comunque parte del problema è la tendenza naturale delle persone a mangiare in modo eccessivo quando se lo possono permettere e che Nestlé cerca di educare i propri clienti a consumare i suoi prodotti nella giusta quantità.
Analizzando il caso del Brasile, che secondo il New York Times è emblematico del rapporto tra aumento dell’obesità e diffusione del “cibo spazzatura”, si capisce come nei paesi in via di sviluppo sia difficile fare informazione sulle corrette pratiche alimentari, sia per la buona reputazione di aziende come Nestlé che dà lavoro a 21mila persone nel paese e che con programmi come quello delle vendite porta a porta crea un legame con le fasce più povere della popolazione, sia per come gli interessi economici delle grandi aziende si intrecciano a quelli dei politici.
Nel 2010 le aziende del settore alimentare attive sul mercato brasiliano hanno fatto di tutto per ostacolare una serie di misure proposte dall’Agenzia Nazionale di Vigilanza Sanitaria (Anvisa), un organo governativo, per informare le persone sui rischi legati al consumo di alcuni cibi e bevande e porre alcuni limiti alle pubblicità di questi prodotti. La maggior parte delle misure furono ritirate per le critiche ricevute dalle industrie alimentari – che tra le altre cose accusarono l’Anvisa di voler limitare la loro libertà di espressione con i limiti sui messaggi pubblicitari – e per le poche che furono mantenute alcune aziende fecero causa all’agenzia.
Nel 2010 Dilma Rousseff, allora impegnata nella campagna elettorale per diventare presidente del Brasile, promise alle aziende alimentari che avrebbe modificato l’Anvisa: poco dopo l’inizio del suo mandato, nel 2011, ne licenziò il presidente per sostituirlo con un ex avvocato della divisione brasiliana della multinazionale Unilever, quella che possiede Algida, Knorr e Grom, tra le altre. Da allora l’agenzia ha smesso di cercare di limitare le strategie di marketing delle grandi aziende alimentari: nel 2012 una mostra organizzata dall’agenzia per informare le persone sui rischi dell’obesità aveva come sponsor Coca Cola.